Il sindaco di Napoli ora può agire

Mezzogiorno, 29 marzo 2022 – 09:32 di Francesco Donato Perillo Draghi viene a Napoli e porta al sindaco un miliardo e 254 mila euro. Sappiamo che non basteranno, ma in questo momento sono risorse essenziali come l’acqua per una città paralizzata dal dissesto. Vi saranno poi ulteriori tranches per alimentare una macchina comunale che dovrà rispondere recuperando crediti e riscossioni, mettendo a profitto sia il patrimonio che le aziende partecipate. Vi sarà monitoraggio del governo e ulteriori (e insostenibili) oneri per i cittadini in caso di inadempienza. Possiamo dire che il «patto con Napoli» è dunque onorato? Sappiamo tuttavia che un vero «patto» è molto, molto di più di una linea di finanziamento: è una volontà collettiva di riscatto dal degrado che è sotto i nostri occhi tutti i giorni e facciamo finta di non vedere. Nell’editoriale di domenica su questo giornale Mario Rusciano ha proposto una riflessione sull’attesa dei finanziamenti del «Salva Napoli», senza dei quali non pare possibile cominciare a dare segnali di svolta alla città. Un sindaco finora in attesa del «Salva Napoli», di fatto prudentemente in stand by. Mi chiedo però se la città si possa permettere uno stile di amministrazione di questo tipo. Se, anche con la provvidenziale iniezione finanziaria, non si rischi di mantenere una linea di galleggiamento non in grado di affondare il bisturi nella cancrena dei vecchi problemi e incidere sui comportamenti, vincendo finalmente quell’invisibile forza d’inerzia che per decenni ha immobilizzato la città. È vero che veniamo da un decennio di populismo tanto visionario e roboante quanto vacuo. È vero che senza soldi non si cantano messe, com’ è vero anche che Manfredi ha chiaramente subordinato la sua candidatura al patto col Governo per il «salva Napoli», ma per salvare Napoli servono anche risorse organizzative, una scossa, una voce, una presenza sul campo che fin qui non è stata percepita dalla gente. È possibile che nell’attesa, anche con le scarse risorse residuali, non vi siano state iniziative da avviare, priorità indifferibili, progetti immediatamente realizzabili? Il punto è che non è vero che programmare progetti che giustamente restino nel tempo, com’è nell’indirizzo impresso da Manfredi alla sua consiliatura, sia incompatibile col dare anche segnali di svolta immediati: vi sono risorse organizzative prima ancora di risorse finanziarie, risorse umane da attivare e non solo risorse economiche da implorare. Ci chiediamo, ad esempio, perché nei 180 giorni di amministrazione non si sia rimesso mano alla moto la macchina amministrativa. Non mi riferisco solo all’inaccettabile ritardo nella nomina delle giunte delle Municipalità, la cui funzione andrebbe da subito, da ieri, rivitalizzata. Mi riferisco al Comune di Napoli, la più grande «azienda» del Mezzogiorno con le sue aziende Partecipate. Mancano mille persone, dice il sindaco, citando un dato di dimensionamento quantitativo, ma dimenticando che ve ne sono più di 5000 demotivate e male organizzate, per le quali è indilazionabile, immediatamente attuabile, un piano di riorganizzazione, con una mappatura delle competenze, una riqualificazione di tutto il personale, una riconversione al digitale dei meno anziani, una politica gestionale basata sul raggiungimento degli obiettivi e non sulle appartenenze. Vi è urgenza di immettere uno spirito e una mentalità nuove in una macchina spenta che fornisce un inadeguato livello di servizio ai cittadini. Aspettiamo il «salva Napoli»? Intanto non c’è neppure l’assessore al Personale e all’Organizzazione. E la polizia municipale? Sono pochi e insufficienti? Ma siamo sicuri che quei duemila vigili disponibili gettino tutti il cuore oltre l’ostacolo, che il manipolo dei pochi si stia battendo anima e corpo per la legalità quotidiana per i vicoli e per le piazze dei nostri quartieri? Aspettiamo i rinforzi del Salvanapoli? C’è poi l‘esercito di riserva dei percettori del Reddito di cittadinanza. Qui è stata avviata solo il mese scorso una timida iniziativa per trecento risorse da avviare al giardinaggio. Ma sono migliaia, centinaia di migliaia. C’è un piano per formarli e impiegarli per la pubblica utilità, per opere di piccola e ordinaria manutenzione, di sorveglianza ecologica per la gestione della differenziata, per la segnalazione degli sversamenti di materassi e di poltrone sui marciapiedi, di monopattini e di carcasse abbandonate, per un serio potenziamento dei servizi cimiteriali e di giardinaggio? Si tratterebbe di un progetto che non ha bisogno della mano di Draghi. E la movida? Un’ordinanza di facciata non mette a posto la coscienza. Cosa costerebbe puntare con decisione su precise aree delocalizzate e riconoscere incentivi e facilitazioni agli esercenti? Con troppa timidezza si è cominciato a ragionare sul futuribile molo San Vincenzo, ma la città metropolitana offre numerose altre destinazioni, immediatamente disponibili in ogni Municipalità su cui accendere i riflettori della notte, promuovendo spettacoli live, autorizzando chioschi e allestimenti rimovibili per la ristorazione. Lo si fa per le fiere e per i mercatini di Natale. E il turismo? Dov’è il collegamento con la cultura, il nostro patrimonio più grande? Una convenzione con i privati consentirebbe, ad esempio, di aprire ai circuiti turistici con un voucher e ticket unico non solo la rete museale, ma i magnifici palazzi storici di cui disponiamo, di organizzare visite guidate ai luoghi delle fiction di successo ispirate alla città: Pizzofalcone, Rione Luzzatti, Scampia, Quartieri spagnoli. E poi tour attraverso la Napoli obliqua delle sue scale. Serve un Salvanapoli? In verità bisognerebbe ascoltare di più la «città di sotto», quella della gente che vive la sua quotidianità, quella del buonsenso, delle piccole cose fattibili ma che sono una torcia nel buio. Come ogni malato anche le città, in attesa della cura, rischiano di morire. Una cura che non viene solo dal passo ingegneristico del costruttore, dal calcolo, della pianificazione, della logica della quantità, ma ci si aspetta dall’amore del contadino che accarezza le sue pianticelle, ara la sua terra e ogni giorno le parla. 29 marzo 2022 | 09:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-29 07:33:00, Mezzogiorno, 29 marzo 2022 – 09:32 di Francesco Donato Perillo Draghi viene a Napoli e porta al sindaco un miliardo e 254 mila euro. Sappiamo che non basteranno, ma in questo momento sono risorse essenziali come l’acqua per una città paralizzata dal dissesto. Vi saranno poi ulteriori tranches per alimentare una macchina comunale che dovrà rispondere recuperando crediti e riscossioni, mettendo a profitto sia il patrimonio che le aziende partecipate. Vi sarà monitoraggio del governo e ulteriori (e insostenibili) oneri per i cittadini in caso di inadempienza. Possiamo dire che il «patto con Napoli» è dunque onorato? Sappiamo tuttavia che un vero «patto» è molto, molto di più di una linea di finanziamento: è una volontà collettiva di riscatto dal degrado che è sotto i nostri occhi tutti i giorni e facciamo finta di non vedere. Nell’editoriale di domenica su questo giornale Mario Rusciano ha proposto una riflessione sull’attesa dei finanziamenti del «Salva Napoli», senza dei quali non pare possibile cominciare a dare segnali di svolta alla città. Un sindaco finora in attesa del «Salva Napoli», di fatto prudentemente in stand by. Mi chiedo però se la città si possa permettere uno stile di amministrazione di questo tipo. Se, anche con la provvidenziale iniezione finanziaria, non si rischi di mantenere una linea di galleggiamento non in grado di affondare il bisturi nella cancrena dei vecchi problemi e incidere sui comportamenti, vincendo finalmente quell’invisibile forza d’inerzia che per decenni ha immobilizzato la città. È vero che veniamo da un decennio di populismo tanto visionario e roboante quanto vacuo. È vero che senza soldi non si cantano messe, com’ è vero anche che Manfredi ha chiaramente subordinato la sua candidatura al patto col Governo per il «salva Napoli», ma per salvare Napoli servono anche risorse organizzative, una scossa, una voce, una presenza sul campo che fin qui non è stata percepita dalla gente. È possibile che nell’attesa, anche con le scarse risorse residuali, non vi siano state iniziative da avviare, priorità indifferibili, progetti immediatamente realizzabili? Il punto è che non è vero che programmare progetti che giustamente restino nel tempo, com’è nell’indirizzo impresso da Manfredi alla sua consiliatura, sia incompatibile col dare anche segnali di svolta immediati: vi sono risorse organizzative prima ancora di risorse finanziarie, risorse umane da attivare e non solo risorse economiche da implorare. Ci chiediamo, ad esempio, perché nei 180 giorni di amministrazione non si sia rimesso mano alla moto la macchina amministrativa. Non mi riferisco solo all’inaccettabile ritardo nella nomina delle giunte delle Municipalità, la cui funzione andrebbe da subito, da ieri, rivitalizzata. Mi riferisco al Comune di Napoli, la più grande «azienda» del Mezzogiorno con le sue aziende Partecipate. Mancano mille persone, dice il sindaco, citando un dato di dimensionamento quantitativo, ma dimenticando che ve ne sono più di 5000 demotivate e male organizzate, per le quali è indilazionabile, immediatamente attuabile, un piano di riorganizzazione, con una mappatura delle competenze, una riqualificazione di tutto il personale, una riconversione al digitale dei meno anziani, una politica gestionale basata sul raggiungimento degli obiettivi e non sulle appartenenze. Vi è urgenza di immettere uno spirito e una mentalità nuove in una macchina spenta che fornisce un inadeguato livello di servizio ai cittadini. Aspettiamo il «salva Napoli»? Intanto non c’è neppure l’assessore al Personale e all’Organizzazione. E la polizia municipale? Sono pochi e insufficienti? Ma siamo sicuri che quei duemila vigili disponibili gettino tutti il cuore oltre l’ostacolo, che il manipolo dei pochi si stia battendo anima e corpo per la legalità quotidiana per i vicoli e per le piazze dei nostri quartieri? Aspettiamo i rinforzi del Salvanapoli? C’è poi l‘esercito di riserva dei percettori del Reddito di cittadinanza. Qui è stata avviata solo il mese scorso una timida iniziativa per trecento risorse da avviare al giardinaggio. Ma sono migliaia, centinaia di migliaia. C’è un piano per formarli e impiegarli per la pubblica utilità, per opere di piccola e ordinaria manutenzione, di sorveglianza ecologica per la gestione della differenziata, per la segnalazione degli sversamenti di materassi e di poltrone sui marciapiedi, di monopattini e di carcasse abbandonate, per un serio potenziamento dei servizi cimiteriali e di giardinaggio? Si tratterebbe di un progetto che non ha bisogno della mano di Draghi. E la movida? Un’ordinanza di facciata non mette a posto la coscienza. Cosa costerebbe puntare con decisione su precise aree delocalizzate e riconoscere incentivi e facilitazioni agli esercenti? Con troppa timidezza si è cominciato a ragionare sul futuribile molo San Vincenzo, ma la città metropolitana offre numerose altre destinazioni, immediatamente disponibili in ogni Municipalità su cui accendere i riflettori della notte, promuovendo spettacoli live, autorizzando chioschi e allestimenti rimovibili per la ristorazione. Lo si fa per le fiere e per i mercatini di Natale. E il turismo? Dov’è il collegamento con la cultura, il nostro patrimonio più grande? Una convenzione con i privati consentirebbe, ad esempio, di aprire ai circuiti turistici con un voucher e ticket unico non solo la rete museale, ma i magnifici palazzi storici di cui disponiamo, di organizzare visite guidate ai luoghi delle fiction di successo ispirate alla città: Pizzofalcone, Rione Luzzatti, Scampia, Quartieri spagnoli. E poi tour attraverso la Napoli obliqua delle sue scale. Serve un Salvanapoli? In verità bisognerebbe ascoltare di più la «città di sotto», quella della gente che vive la sua quotidianità, quella del buonsenso, delle piccole cose fattibili ma che sono una torcia nel buio. Come ogni malato anche le città, in attesa della cura, rischiano di morire. Una cura che non viene solo dal passo ingegneristico del costruttore, dal calcolo, della pianificazione, della logica della quantità, ma ci si aspetta dall’amore del contadino che accarezza le sue pianticelle, ara la sua terra e ogni giorno le parla. 29 marzo 2022 | 09:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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