Colto, profondo, pessimista Un ricordo dellAvvocato

C aro Aldo,
ho letto sulla sua intervista a Jas Gawronski, grande amico di Gianni Agnelli. Al di l delle tante notizie, alcune veramente inedite, della vita e delle passioni di un uomo cos straordinario come l’Avvocato, sono rimasto colpito, ma fino a un certo punto, quando Jas dice la Ferrari lo appassionava perch era sua; la Juve era un vero amore. Mi ricordo da ragazzo, quando leggevo sul Corriere dello Sport, che i giocatori della Juventus firmavano tutti il contratto in bianco: la cifra ce la metteva l’Avvocato e, intervistati, non c’era un calciatore insoddisfatto. Lei lo ha conosciuto?
Gaetano Villani

Caro Gaetano,
Secondo la leggenda, la cifra non la indicava Agnelli bens Boniperti; ma sia Zoff sia Tardelli mi hanno raccontato che non era proprio cos, che un margine di trattativa c’era. All’epoca i giocatori appartenevano alle societ. Ora appartengono di fatto ai procuratori, che spesso sono la rovina del calcio di oggi. Ma se raccontiamo soltanto l’aspetto sportivo e mondano dell’Avvocato, rischiamo di darne una lettura riduttiva. Gianni Agnelli era la Fiat: il pi importante gruppo industriale italiano, che egli gest in prima persona solo per brevi periodi, ma su cui regn per tutta la vita, da quando nel 1945 mor suo nonno. Come ha ricordato Jas Gawronski, molti manager si sono detti: la Fiat sono io. Qualcuno, come Vittorio Valletta — un grande italiano oggi del tutto dimenticato —, con qualche ragione. Ma tutti, ovviamente in circostanze diverse e non paragonabili, da Romiti a Marchionne passando per Morchio, alla fine hanno dovuto cedere il passo alla famiglia. Ho conosciuto Agnelli nel 1997, quando gli mandai un libro sulla Torino degli anni 50 che avevo appena pubblicato. Fu l’allora direttore della Stampa Carlo Rossella a consigliarmi di farlo; da solo non ci avrei mai pensato. Pochi giorni dopo, cit il libro in un’intervista a Gad Lerner e mi mand a chiamare. Un personaggio come lui non si pu liquidare in poche righe; ci vorrebbe una biografia, che tuttora manca. Posso dirle questo: l’Avvocato era molto diverso dall’immagine che tanti avevano di lui. Era pi colto, pi profondo, pi pessimista; non tanto sull’azienda, quanto sull’Italia.

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Storia

Perch boss e padrino non sono le parole giuste

In queste settimane i titoli dei giornali italiani usano dei termini come boss o padrino per indicare un criminale latitante da 30 anni. Anche sulla stampa inglese ho letto l’utilizzo del termine Godfather, che il titolo del famoso film di Francis Ford Coppola, interpretato da Marlon Brando. Da quanto ho letto pare che proprio la locandina di quel film fosse appesa nell’abitazione del latitante, quindi immagino che per lui sentirsi chiamare padrino potesse essere inteso come un omaggio devozionale e un’equiparazione a un’iconica figura del cinema. Credo che utilizzare termini come boss o padrino sia giornalisticamente del tutto sbagliato, perch sono parole che hanno un’accezione molto positiva. Boss lo posso anche dire verso un mio amico ad esempio, per fargli un complimento rispetto alla sua leadership carismatica: Sei un vero boss!. Padrino deriva da padre, una parola nobile perch attiene all’ambito religioso, ad indicare la persona che nel battesimo e nella cresima garantisce protezione, cura e sostegno morale. Mi rivolgo quindi ai media: usate altre parole. Usate quelle giuste. Ci sono termini molto pi corretti: mafioso, capomafia, stragista, criminale, pluri omicida, assassino… Ci sono termini precisi che indicano delle responsabilit legate ai fatti. Non usate termini ingannevoli e, in fondo, adulatori perch soprattutto le generazioni pi giovani devono provare solo disprezzo verso le azioni illegali della criminalit organizzata e non percepire fascino o idealizzazione.
Damiano Michieletto

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