LItalia digitale pensi in grande (col Pnrr) Perché piccolo e locale non è più bello

economia & politica

di Ferruccio de Bortoli25 gen 2023

L’Italia digitale pensi in grande (con il Pnrr): piccolo e locale non è più bello

Il pi grande interrogativo politico dell’anno ruota intorno alle due riforme istituzionali contenute nel programma del governo Meloni. Da una parte il presidenzialismo, caro alla destra storicamente centralista e, dall’altro, l’autonomia differenziata, battaglia identitaria sulla quale si gioca il futuro della Lega, non solo la leadership di Matteo Salvini. Nonostante il cronoprogramma deciso all’ultimo vertice tra i leader, resta una faglia profonda che divide comunque la maggioranza di governo.

Tante piccole Enel

Al di l del numero delle competenze concorrenti eventualmente trasferite alle Regioni — in base agli articoli 116 e 117 della Costituzione — non si pu pensare che l’autonomia differenziata non abbia conseguenze di carattere economico sulla competitivit dell’intero sistema. Si pensi solo al rischio di avere tante Enel regionali. Oppure amministrazioni che intratterranno politiche commerciali autonome verso i partner esteri. Il Paese ha bisogno, specie nei settori avanzati, di soggetti pi forti: gruppi industriali e fornitori di servizi, almeno a livello nazionale, in grado di competere, in prospettiva sui mercati internazionali. Non di soggetti in house, cio regionali o comunali, dipendenti dagli umori politici locali, con una missione territoriale tanto orgogliosa, nelle situazioni migliori, quanto limitata dal punto di vista della gestione e dell’innovazione. Hanno certamente, in qualche caso, esperienza, tecnologia e competenze, ma vanno integrate in un’ottica di efficienza, e non di controllo in chiave sovranista. Fratelli d’Italia e Lega sono divisi sul tema delle riforme istituzionali. Nel senso che ognuno vorrebbe la propria non quella dell’altro che magari digerir.

La sfida della transizione digitale

Ma vi una convergenza evidente: ed l’avversione, non sempre dissimulata, per le grandi dimensioni. Gruppi che tendono a sfuggire all’intermediazione politica e ad essere spesso sospettate di non fare l’interesse nazionale. Con sfumature diverse, entrambi i partiti di governo ne diffidano. Una pulsione che non assente nemmeno negli schieramenti di opposizione: dai Cinque Stelle a correnti del Pd. Come sappiamo il 27 per cento dei prestiti e dei sussidi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) investito nella transizione digitale del Paese. la sfida, insieme a quella ecologica, dall’esito della quale dipende il nostro futuro.

Il Pnrr dei territori

Se c’ un settore nel quale la dimensione fa la differenza (creando purtroppo anche monopoli globali, ma questo un altro discorso) proprio il digitale. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica ha fatto nei giorni scorsi un’affermazione importante passata per quasi inosservata. In un incontro con gli assessori delle Regioni, Alessio Butti (Fratelli d’Italia) ha detto che per accelerare la trasformazione digitale del Paese sar utile valorizzare le societ in house che, alla luce degli investimenti sostenuti e delle competenze ed esperienze acquisite, possono, ad esempio, cooperare nelle attivit riguardanti il cloud dei dati della pubblica amministrazione. In tale ottica, in accordo con il ministro Fitto (delle Autonomie regionali, ndr) abbiamo chiesto una rimodulazione dei parametri del Pnrr puntando proprio sul maggiore coinvolgimento dei territori. La filosofia di fondo del Pnrr non taglia fuori gli enti locali che, anzi, sono chiamati ad essere enti attuatori. Pi i Comuni delle Regioni. Promuove le collaborazioni pubblico-privato e incoraggia le economie di scala. Senza le quali non c’ transizione. Soprattutto nel digitale. Dalla creazione della nuvola nazionale dei dati al fascicolo sanitario elettronico (Fse) per fare solo due esempi. Ed quello che lo stesso Butti ha sostenuto nelle audizioni alle Camere del 13 e 14 dicembre. In un intervento, assai ben documentato, nel quale ha affrontato anche lo spinoso tema dei ritardi nella connettivit e nelle reti ultraveloci di Tim e Open Fiber.

Piattaforme nazionali e federalismo digitale

La digitalizzazione della Pubblica amministrazione (6,7 miliardi dal Pnrr) e, in particolare, la creazione di una piattaforma nazionale digitale dei dati richiedono una strategia e una direzione centrale. Del resto la recente costituzione di 3-I, la societ pubblica per lo sviluppo dei software degli enti previdenziali, dell’Istat e degli organismi centrali della Pubblica amministrazione, va esattamente in quella direzione. Appare dunque problematico, se non pericoloso — ammesso che questo sia il reale orientamento — modificare il Pnrr per rendere possibile una sorta di malinteso federalismo digitale che tenda comunque a salvare tutte le societ in house regionali, con relativi fornitori molto attivi nelle operazioni di lobbying, sulla cui efficienza ci sarebbe molto da dire, e ad ostacolare l’accentramento e la gestione nazionale dei dati.

Ha senso pensionare lo Spid?

Qualche perplessit ha suscitato anche l’orientamento ad avere un’unica identit digitale — senza troppi ricorsi a provider privati — superando il dualismo tra Spid (33,5 milioni di identit rilasciate, 12 mila e 624 enti pubblici accreditati) e Cie, la Carta di identit elettronica (32,4 milioni) che sembra preferita. Lo Spid ci ha messo 10 anni a raggiungere simili risultati, pur avendo una parte rilevante di account non utilizzati. Forse meglio assicurarne un uso pi efficiente e una migliore interoperabilit.

L’esempio della sanit

L’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, che un po’ il padre politico di Giorgia Meloni, intervenuto, domenica 15 gennaio, alla trasmissione di Lucia Annunziata. E nel dichiarare tutta la sua contrariet all’autonomia differenziata, ha detto: Ma possibile che la pandemia non ci abbia insegnato nulla?. Si ricorder la pessima figura della societ in house lombarda Aria nella prima fase dell’emergenza Covid, con la Regione pi ricca d’Italia costretta ad affidarsi alle Poste, simbolo del pi pervasivo statalismo in tempi in cui la Lega bossiana sognava addirittura la secessione. Soltanto con il governo Draghi, e con l’opera di Vittorio Colao (al ministero, soppresso, della Transizione digitale) si riusciti a creare un’interoperabilit dei sistemi sanitari regionali. I dati del fascicolo sanitario — con la storia della salute di tutti i cittadini — sono a disposizione di Aziende territoriali della salute, Regioni e ministero. Ovviamente nel rispetto della privatezza. E abbiamo appena visto a Palermo quanta importanza abbia avuto, nella lotta alla criminalit organizzata, disporre di dati sanitari della Regione (ottenuti fuori dalla Regione). La transizione digitale poggia sulla creazione di un polo strategico nazionale, in collaborazione con Microsoft, Google e Oracle e, per il cloud nazionale, nel coinvolgimento di Tim, Leonardo, Cdp equity e Sogei.

Il rischio di essere piccoli

Butti ha parlato pi volte della necessit di contrastare lo strapotere delle Big Tech. Il sottosegretario giustamente preoccupato per la minaccia alla sovranit digitale nazionale rappresentata dal Cloud Act americano, che eserciterebbe la propria giurisdizione anche sul territorio italiano. E ha aggiunto sul tema, Paesi come Francia, Germania e Spagna hanno adottato misure che non risulta siano state considerate dal precedente governo o, se considerate, sono state evitate per ragioni che dovremo evidentemente approfondire. Il non detto presto spiegato con il sospetto — sotterraneo ma diffuso, non solo nel centrodestra — di essere stati in passato troppo condiscendenti con lo strapotere tecnologico ed economico delle grandi multinazionali del settore. Ma non attribuendo qualche spazio in pi a societ locali e nello sbandierare un velleitario sovranismo che li si possa contrastare efficacemente. Anzi, si finisce per fare del tutto il loro interesse. Perch, nelle difficolt, chi piccolo e locale non pu che ricorrere ai grandi fornitori. Con costi aggiuntivi e un potere negoziale pressoch nullo.

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