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A differenza dei Dsga, dei docenti e del personale Ata che restano titolari di sede fino all’eventuale mobilità decisa da loro stessi, per i dirigenti scolastici è prevista una mobilità d’ufficio dopo un determinato numero di anni in sede, imposta dalla normativa anticorruzione nei confronti dei dirigenti pubblici.
Si tratta di una disposizione finora abbastanza ignorata, ma che, invece, sembra che possa ora trovare applicazione immediata, non solo per i presidi che completano quest’anno il nono anno di permanenza, ma cumulando di colpo tutto l’effetto pregresso.
Con il PNRR in corso, già partito malissimo tra ritardi e impostazioni dirigiste errate, la stretta sul dimensionamento che porterà di per sé a un tourbillon di presidenze e gli altri problemi strutturali, non sembra proprio il momento opportuno per applicare automatismi. Si facessero piuttosto più controlli (concentrati anche sulla sostanza e non solo sulla forma), si ricostituisca un corpo ispettivo nutrito e strutturato, si rimuovano (anche dopo un anno) i dirigenti che non raggiungono gli obiettivi e si premino coloro che migliorano la qualità del servizio valutandone i risultati e il profilo professionale, invece di inseguire fantasmi corruttivi che si rifanno a regole pensate per organizzazioni ben diverse dalle istituzioni scolastiche, nelle quali – ricordiamolo – la ripartizione di competenze è variegata (a partire dalla doppia firma Ds-Dsga per gli atti contabili) e dispersa tra i vari Organi collegiali e non (Collegio docenti, Consiglio di Istituto, RSU, Revisori dei conti, ecc …) e dove servono tutti o quasi per fare qualcosa, mentre basta uno o quasi per interdire qualunque cosa. La scuola soffre soprattutto di asimmetria operativa, non di corruzione. Si valuti di conseguenza se modificare la norma prevedendo regole diverse per il settore della scuola.
Intendiamoci: applicare una politica di job rotation è una buona pratica in tutte le professioni per allargare le esperienze e consolidare le competenze delle risorse umane. Ma va gestita, va guidata nell’interesse delle organizzazioni sulle quali si applica e dei rispettivi stakeholders. Decretare un improvviso “tutti da prua a poppa e da poppa a prua” potrebbe determinare un marasma organizzativo ingestibile.
E ammesso che si voglia proprio applicare la regola al settore della scuola, si pone una questione di opportunità sul fatto di applicarla in un solo colpo e acriticamente con effetto immediato. Lo sconvolgimento per l’equilibrio del sistema sarebbe assicurato, come si evince dai numeri sopra stimati. E non essendoci graduatorie di merito (come a seguito di un concorso) come faranno gli Uffici scolastici regionali a individuare criteri di assegnazione di così tanti presidi alle nuove sedi?
E’ inspiegabile che, proprio mentre il Governo in carica prevede una semplificazione e un allentamento dei vincoli previsti dal Codice per gli appalti (che arrivano a decine o centinaia di milioni di euro), la scuola sia colpita da queste operazioni che hanno una valenza teorica ma che non hanno un corrispettivo pratico. Quasi un accanimento terapeutico. Ma tant’è: spesso la burocrazia è più forte della logica e della esigenza di miglioramento del servizio.
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