Kherson, libera e stremata: «I russi hanno portato via tutto». Gli abbracci dopo il terrore

di Andrea Nicastro

Nella città non ci sono acqua, elettricità e rete internet. «Molti ragazzi sono stati torturati». Kiev ha ripreso circa 60 insediamenti. Ma le infrastrutture sono state compromesse

DAL NOSTRO INVIATO
MYKOLAIV — Non c’è elettricità, internet, acqua corrente o riscaldamento a Kherson, ma chi è rimasto in città adesso è felice. Davanti ai telefonini dei militari ucraini è una festa. Cittadini che fino a qualche giorno fa non osavano sollevare lo sguardo sulle pattuglie russe si sono avvolti nelle bandiere gialle e blu e hanno tagliato i crisantemi nei giardini. Li offrono ai soldati, li appoggiano sui blindati. Chi è rimasto a Kherson ieri ha riempito l’enorme piazza del municipio per abbracciare i soldati, applaudirli, intonare con loro l’inno nazionale. A marzo quella stessa piazza, dominata da un palazzone d’epoca sovietica, sprigionava tutt’un altro sentimento. «Kherson è ucraina» gridavano i manifestanti in faccia ai soldati di Mosca. I «liberatori» russi tenevano il dito sul fucile, sopportavano per qualche minuto e poi sparavano in aria per disperdere il corteo. Venerdì, i liberatori ucraini hanno lasciato le armi appese alle spalle per abbracciare la gente. È facile vedere la differenza.

Controllo nemico

«Mesi e mesi di terrore. I russi ti fermavano per i documenti e poteva succederti di tutto. Potevano arrestarti, spararti, picchiarti. Il minimo era che ti chiedessero soldi o ti rubassero il cellulare con la scusa di qualche messaggio sospetto». Polina ha 61 anni ed è una pensionata della fabbrica di porte FPK Korabel. Dall’inizio della guerra fa la volontaria nell’ospedale Luchanskogo. Parla con il Corriere via Facebook. Tra una risposta e l’altra, dice di girare per le strade come una rabdomante in cerca del segnale. Le due antenne accese ieri con generatori diesel erano insufficienti per una città che doveva raccontare al mondo una notte durata otto mesi.

«Abito sull’Isola Potëmkin, vicina al centro, dove una volta c’erano i cantieri navali. Nei primi giorni gli abitanti del quartiere si riparavano nei rifugi antiatomici sovietici, ma appena arrivati i russi li hanno occupati loro. Stavano lì o nelle scuole. Noi civili potevamo essere arrestati in qualunque momento. In strada o a casa. Tanti ragazzi sono stati portati via, torturati o lasciati incappucciati per giorni nelle loro cantine. Era l’arbitrio assoluto. Di notte chiedevano l’oscuramento, se filtrava una bava di luce sparavano alla finestra. Secondo me, nei primi mesi hanno cercato davvero di farci diventare Russia. Certe cose le potevi comprare solo con monete russe e i rubli li guadagnavi lavorando per loro o prendendo il passaporto. Tanti l’hanno fatto perché ci credevano o perché gli conveniva. Mia nipote, ad esempio, studia da infermiera al Medical College di via Perekopska. I russi hanno fatto venire i loro insegnanti: è gratis se volete. Nella sua classe non è tornata nessuno. Ma in altre sì».

I saccheggi

I Secondo i dati di Mosca prima dei soldati sono stati evacuati da Kherson 88mila civili e altri 50mila dal resto della provincia. Collaborazionisti o sinceri ammiratori di Putin. «Certe sere, soprattutto al sabato, i russi organizzavano feste nelle loro basi e tante ragazze andavano a ballare. So anche di matrimoni tra ucraine e soldati. Quelle sono scappate di sicuro».

Tutti uguali i russi? «Ogni contingente che cambiava prima di partire entrava nelle case e si prendeva quel che voleva: vestiti, lavatrici, televisori. Caricavano sui camion militari e via. Via via che passavano i mesi diventavano più insofferenti. Forse perché c’era meno da rubare. Forse perché non riuscivano a conquistare Odessa».

Dei cecchini russi che Kiev temeva potessero essere lasciati in città, per il momento non c’è traccia. Di sbandati neppure. Dal punto di vista russo, il ripiegamento sembra aver funzionato. Per Mosca la capitale amministrativa della provincia «è momentaneamente trasferita a Henichesk», vicino alla Crimea. Le strade che portano a Kherson sono minate e i ponti distrutti come da manuale militare per dare il tempo ai russi di assestarsi nelle nuove posizioni.

Per Volodymyr Zelensky le sue Forze Armate hanno ripreso il controllo di «oltre 60 insediamenti» della provincia. Il capoluogo, però, non è ancora sicuro. Il coprifuoco resta dalle 17 alle 8. Centinaia di poliziotti e soldati hanno iniziato i rastrellamenti e le bonifiche dalle trappole esplosive. Secondo il presidente ne sono state disattivate già duemila. Un geniere è rimasto ferito. «Prima di andarsene i russi hanno voluto umiliare la popolazione distruggendo le infrastrutture civili, ma noi ricostruiremo tutto». Scontri a fuoco nei pressi della diga di Nova Kachovka, uno dei pochi punti in cui è teoricamente possibile passare il Dnipro. Tre travate sono state fatte brillare e l’acqua esce abbondante.

12 novembre 2022 (modifica il 12 novembre 2022 | 22:11)

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