Inviata da Nicola Tenerelli – Il DDL per l’attuazione dell’autonomia differenziata voluto dal ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, il leghista Roberto Calderoli, è stato approvato unanimemente dal consiglio dei ministri.
Il disegno prevede l’attuazione del titolo V della Costituzione anche relativamente al tema scuola- università; significa che ogni regione italiana potrebbe non solo determinare leggi per un assetto gestionale regionalizzato della formazione (è bene ricordarlo, la materia scolastica è stata richiesta da otto regioni), ma anche dettarne programmi, materie, indirizzo politico.
Secondo alcuni, la Carta sembrerebbe offrire alcune resistenze a tale progetto autonomista; all’art. 117 leggiamo che lo Stato ha legislazione esclusiva delle “norme generali sull’istruzione; […] Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: […] istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; […] ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi”.
Quali potrebbero essere le “norme generali sull’istruzione” che lo Stato dovrebbe mantenere per impedire che sul territorio nazionale vengano a costituirsi venti scuole differenti?
A un’analisi sommaria potrebbe sembrare che il freno a tale completa devoluzione della scuola e dell’università sia rappresentato dal valore giuridico del titolo di studio (le regioni al momento concedono solo diplomi ITS, un gradino sotto la laurea).
Il valore legale di lauree e diplomi (posto che non venga eliminato come da decenni chiedono gli esponenti iperliberisti) sarebbe comunque raggirabile, poiché i nuovi titoli di nuove istituzioni potrebbero essere riconosciuti nell’EQF – Quadro europeo delle qualifiche – oppure iscrivibili in appositi albi o elenchi (art.2229 e seguenti del Codice Civile), di conseguenza accettati dallo Stato italiano.
In un paese che a causa della mancanza di medici si dispone di assumerne provenienti da oltreoceano e si considerano ottimali diplomi accademici conseguiti chissà dove, appare risibile pensare che il valore di un titolo, seppur conferito da un’istituzione scolastica autonoma regionale, possa essere invalidato da una limitazione burocratica (vedi sentenza del Consiglio di
Stato del 29 dicembre 2022).
In questa sede il problema che si vuole sottolineare non è però nel merito degli aspetti economici e burocratici che pure sono importanti: gabbie salariali e livelli di servizi differenziati paventati con l’autonomia regionale.
Si vuole porre l’attenzione sul valore della coscienza identitaria e sul senso di nazionalità (consequenzialmente di solidarietà e sussidiarietà) che la scuola italiana contribuisce a formare nel futuro cittadino.
Qualcuno potrebbe interpretare favorevolmente tale eterogenesi della cittadinanza, soprattutto se consideriamo che in queste ore la Duma ha imposto per la scuola russa (con la legge federale n° 261 del 14 luglio 2022) una sola acritica interpretazione della storia e un unico manuale di storia per tutti gli studenti russi, al fine di creare l’unità culturale attorno all’imperialismo putinista.
Occorre sottolineare che la scuola repubblicana, tanto bistrattata, ha saputo costruire con sagacia un’azione identitaria, riconducendo generazioni di studenti e docenti nel solco del dettato costituzionale in maniera esemplare ma libera, senza aver mai avuto la necessità di enumerare dettami che indirizzassero verso un’etica della cittadinanza di stato.
Il primo a legiferare sull’educazione civica nelle scuole, Aldo Moro nel 1958 operò per motivare la scuola verso un processo di cittadinanza attiva, trasversale alle discipline e alle tematiche di studio, apartitica e determinata verso la responsabilizzazione del soggetto nella società.
Il DDL Calderoli porta con sé il rischio di distruggere la magica alchimia che ha coalizzato gli italiani della repubblica, affrancandoli sia dalla mistificazione dell’unità risorgimentale, sia dall’italianità frutto della “pedagogia del manganello” (l’espressione è di Mimmo Franzinelli).
La divisione della scuola italiana in tante amministrazioni regionalizzate può divenire un vulnus per l’autorevolezza della cultura nazionale nonché una minaccia per l’ideale di cittadinanza finora sedimentato; inoltre, rischia di trasferire l’egoismo delle piccole patrie anche nel nostro paese.
Affidare il senso profondo della formazione umanistica e valoriale a tanti piccoli centri di potere comporta il pericolo di trasferire un surrettizio senso di appartenenza nelle giovani generazioni; la facile tentazione di gestire la formazione della cittadinanza finalizzandola alla conservazione del potere acquisito potrebbe far nascere progetti etici discordanti, “cittadinanze multiple” i cui riflessi potrebbero risultare non politicamente gestibili.