La Nobel Maria Ressa: «L’inizio fu la Crimea. La disinformazione social uccide la democrazia»

di Alessandra Muglia

La giornalista filippina: i populisti usano la Rete per spargere menzogne e distruggere gli avversari È un momento decisivo: se cadiamo noi, cadrete anche voi»

«È questione di vita o di morte per la democrazia nel mondo. Se noi cadiamo, cadrete anche voi prima o poi». Maria Ressa riesce a sorridere anche quando prospetta scenari plumbei. Parla su Zoom, alle sue spalle la redazione open space di Rappler, il sito di notizie indipendente fondato da lei nel 2012, finito nel mirino del presidente delle Filippine Duterte per aver sfidato l’impunità della guerra alla droga e gli abusi di potere.

I sondaggi danno in vantaggio Marcos jr, la democrazia ha le ore contate?
«Mi chiedo quanto i nostri sondaggi siano in grado di predire il risultato di un’elezione».

Perché ritiene i destini politici di Paesi diversi siano così interdipendenti?
«Sono i social media a mostrarci che viviamo tutti nello stesso mondo. Siamo tutti manipolati nelle nostre emozioni. Se riesci a far credere alla gente le tue bugie, puoi controllarla, a Manila come a Milano. La società di consulenza Cambridge analitica scelse di testare nelle Filippine le sue tattiche di manipolazione di massa, per poi esportarle in Occidente. La talpa Christopher Wylie ci ha definito la “capsula di Petri”. Abbiamo fatto da cavie».

Perché le Filippine?
«La battuta qui è che le Filippine hanno trascorso 300 anni in un convento e 50 anni a Hollywood: 300 anni colonizzati dalla Spagna, 50 anni sotto gli Stati Uniti. Siamo la più grande nazione cattolica dell’Asia, i nostri 110 milioni di persone parlano inglese e da 5 anni i filippini trascorrono la maggior parte del tempo sui social media. Facebook è il nostro Internet. Ma Cambridge analitica ha testato queste tattiche di manipolazione di massa anche in Kenya e Nigeria, Paesi dove è più facile passare “inosservati”».

Quando tutto è partito?
«Sto lavorando a un nuovo libro, How to stand up to a dictator. L’anno scorso, quando ho consegnato la prima bozza, il mio prologo riguardava l’annessione russa della Crimea nel 2014: è stato allora che abbiamo cominciato ad assistere alla frammentazione della realtà e al suo impatto geopolitico. A causa della disinformazione si potevano vedere due realtà diverse. Hanno iniziato a circolare slogan sulla “denazificazione” e “gli ebrei di Odessa”. La stessa narrativa usata poi per invadere l’Ucraina. A dimostrazione che le fake news non svaniscono da sole. Le Filippine sono un caso esemplare di come questa disinformazione sta cambiando la storia: chiunque vinca le presidenziali determinerà non soltanto il nostro futuro ma il nostro passato. Marcos junior è qui 36 anni dopo dalla cacciata della sua famiglia che ha sottratto allo stato 10 milioni dollari e ora molti credono che, con lui al potere, gran parte di questo tesoro tornerà indietro».

Com’è che la gente ci crede?
«I social media sono un sistema di modifica del comportamento. Quando ti infetti con il virus della menzogna, non sai più a cosa credere. Si vede una realtà alternativa. Così oggi molti filippini si ritrovano a ritenere il dittatore Marcos il più grande leader che abbiamo mai avuto. Le elezioni qui sono emblematiche: con la disinformazione vediamo la storia cambiare davanti i nostri occhi. Se Marcos jr vince, come indicano i sondaggi, sarà determinante non soltanto per il nostro futuro ma anche per il nostro passato».

Ha lanciato l’allarme nel 2016, a che punto è la lotta alla disinformazione?
«Stiamo iniziando ora a capirne l’effetto cruciale: sta uccidendo la democrazia. I leader populisti usano i social come arma per spargere menzogne e distruggere gli avversari e una volta eletti erodono la democrazia dall’interno. Nel 2014 con la Crimea è iniziato il domino: con le “operazioni di informazione” russe, la tattica ha funzionato; nel maggio 2016 si insedia Duterte, un mese dopo la Brexit e l’ascesa di Trump. Nel 2017 la vittoria degli indipendentisti in Catalogna. Nel 2019 l’ascesa di Bolsonaro in Brasile. Questa è una dinamica globale. I social media hanno permesso alla propaganda di prosperare e a certi leader di creare la propria realtà e di sottrarsi ai dibattiti e alle domande dei giornalisti. Così ha fatto anche Marcos jr. Abbiamo ribattezzato la sua campagna “Fortezza Marcos”, se entri non ne esci più. Il punto è: i filippini hanno scelto da persone libere? Come si possono avere elezioni corrette se non conosci correttamente i fatti?».

Lei è un’icona della lotta alle fake news, sentita anche al Senato Usa: cosa occorre fare per evitare il peggio?
«Noi a Rappler possiamo lottare contro la disinformazione perché abbiamo i dati: siamo partner di Facebook per il fact-checking. Sono ovviamente molto critica per quanto poco abbia fatto questa società. I suoi algoritmi sono opinioni in codice che promuovono contenuti divisivi o che intrattengono piuttosto che informare. Come se la decisione di un editore venisse moltiplicata milioni e milioni di volte».

Quali gli antidoti?
«I governi devono mettere dei guard rail su queste piattaforme. Dobbiamo ritenerle responsabili dell’amplificazione di pregiudizi rispetto ai fatti. Senza una realtà di fatti condivisi, non ci potranno essere elezioni corrette e le democrazie moriranno. È un problema di modello di business, se non si cambia il costo sarà alto. Credo che ci sia ancora tempo per guarire».

Ha vinto il Nobel per la Pace nel 2021. Come si può ottenere la pace in Ucraina?
«Rispondo con un parallelo. A fine febbraio, quando Mosca ha attaccato l’Ucraina, è stato il momento in cui Leni Robredo (la sfidante pro democrazia di Marcos junior, ndr ) ha iniziato ad attirare centinaia di migliaia di persone ai suoi raduni. È stato Zelensky a ispirare non soltanto il suo popolo ma anche il mondo. Quando gli hanno offerto di andarsene al sicuro, ha risposto io sto qui. E ha inspirato la gente a resistere. Quest’uomo ha galvanizzato il mondo libero. Avere dei modelli a cui ispirarsi è cruciale per la natura umana. Lo si vede anche nelle Filippine. Sabato al comizio conclusivo di Leni Robredo c’era un milione di persone. Non si sa se questo le basterà per vincere: la sua rimonta è partita in ritardo rispetto alla disinformazione di Marcos, all’opera dal 2014. Questi buoni leader non hanno chance se i social non cambiano le regole di distribuzione delle news».

8 maggio 2022 (modifica il 8 maggio 2022 | 22:44)

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