La storia dello scantinato dell’orrore: 360 persone tenute 28 giorni in ostaggio dall’esercito russo

di Greta Privitera

Da una scuola di Yahidne, una città a 20 chilometri da Chernihiv, arrivano i racconti raccapriccianti dei sopravvissuti a quello che sembra un incubo. Lavrov risponde: «La Russia non è perfettamente pulita, è quello che è. Non abbiamo vergogna»

Una porta di legno verde. A destra i nomi delle persone morte all’interno, a sinistra i nomi di quelle uccise per mano russa. Dentro, l’orrore.
Oggi il mondo scopre la storia – raccontata anche in un rapporto della Nazioni Unite – dello scantinato della scuola di Yahidne, a 20 chilometri da Chernihiv, dove per 28 giorni (dal 4 al 31 marzo), 360 persone, tra cui 74 bambini, sono state tenute in ostaggio dall’esercito di Putin. Senza acqua, luce, cibo. Bilancio finale: dieci morti.

A scoperchiare l’inferno, una domanda di Steve Rosenberg, giornalista della Bbc, al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, proprio sulla scuola di Yahidne. «Questo è combattere i nazisti?». Lavrov: «La Russia non è perfettamente pulita. La Russia è quello che è. E non abbiamo vergogna di mostrare quello che siamo». Ma quello che sembra l’accenno a una prima ammissione da parte del Cremlino, viene diluito subito con un: «È un gran peccato, ma i diplomatici internazionali, compreso l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, il segretario generale e altri rappresentanti dell’Onu, sono sotto pressione dall’Occidente. E amplificano notizie false diffuse dall’Occidente». Tradotto: noi russi siamo quello che siamo, certo, ma voi occidentali esagerate con la propaganda contro Putin.

La foto del seminterrato della scuola di Yahidne era stata postata anche dalla parlamentare del partito ucraino di sinistra Holos, Inna Sovsun, qualche giorno dopo la liberazione dei 360 ostaggi. Le prime a raccontare quei momenti terribili erano state due sopravvissute, Svitlana Baranova e Lilia Bludshaya.

«Ci hanno costretto a entrare in quella stanza senza ventilazione, né servizi igienici, né luce». Non c’era abbastanza spazio per i letti, dormivano a terra: «Gli orchi – i russi – ci aprivano la porta alle sette del mattino per farci andare in bagno. E non sempre. A volte passavano due o tre giorni senza aprire. Avevamo quattro secchi a uso “bagno”, ma non bastavano mai. Non c’erano cappe, c’era una puzza terribile. L’odoroe era così pesante che alcuni sono morti per mancanza di ossigeno», ha detto Baranova .

I cadaveri venivano portati nel locale caldaia. Se c’erano persone che morivano di notte, i loro corpi giacevano accanto ai vivi fino alla mattina seguente. Dopo i primi giorni, qualcuno è impazzito. C’era chi urlava, chi sbatteva le mani al muro. «Dei 360 ostaggi, 70-80 erano bambini. Il più piccolo aveva 21 giorni. Non mangiavamo, non bevevamo, i piccoli gridavano. Le madri chiedevano ai soldati russi l’acqua bollente per cucinare, ma niente».Il 30 marzo, da fuori non hanno sentito più le voci dei loro carcerieri, ma non avevano notizie della guerra da quasi un mese: «Non sapevamo se era finita, se c’era ancora l’esercito fuori dalla porta. Così abbiamo deciso di farci una bandiera bianca con degli stracci e di raggiungere a piedi il vicino villaggio di Krasne dove abbiamo incontrato i soldati ucraini. Eravamo liberi. Eravamo felici, ci abbracciavamo, piangevamo. Lì, ho capito che ero una sopravvissuta», ha concluso Baranova .

Oggi si conoscono anche i volti e i nomi dei soldati-carcerieri. La maggior parte sono giovani che vengono da Tuva, una Repubblica centromeridionale della Siberia, tra le regioni più povere della Russia. Mark Krutov, giornalista di Radio Free Europe/radio Liberty, ha provato a contattarli via social, dove postano foto in costume con fidanzate. Non hanno mai risposto.

16 giugno 2022 (modifica il 16 giugno 2022 | 21:09)

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, 2022-06-16 23:22:00, Da una scuola di Yahidne, una città a 20 chilometri da Chernihiv, arrivano i racconti raccapriccianti dei sopravvissuti a quello che sembra un incubo. Lavrov risponde: «La Russia non è perfettamente pulita, è quello che è. Non abbiamo vergogna» , Greta Privitera

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