Landini: «I partiti sono lontani dalla gente, basta bonus a pioggia, si punti sull’industria»

Maurizio Landini, all’assemblea della Cgil lei ha detto che il sistema politico è «destrutturato e distante dai cittadini». Che intende?
«Ho visto la gestione dell’elezione del presidente della Repubblica da parte dei partiti. E vedo la rottura fra mondo del lavoro e rappresentanza politica. Un nostro sondaggio mostra che circa il 60% degli italiani pensa che la politica sia importante, ma non si sente rappresentato nel quadro attuale. È problema molto serio. E riguarda tutti, forze politiche e sociali: c’è bisogno di un nuovo protagonismo del mondo del lavoro. La politica deve ripartire da qui».

Il problema riguarda anche il sindacato?
«Sì. E le imprese. Noi dobbiamo allargare la rappresentanza fino al lavoro autonomo. E la democrazia: più spazio ai delegati eletti sui luoghi di lavoro e alle Camere del lavoro nei territori. Noi della Cgil siamo arrivati all’assemblea di sabato dopo oltre 1.500 assemblee con più di 60 mila persone coinvolte. Ma non è un tema solo sindacale o sociale, è anche politico».

Lei ha detto anche che il governo esce indebolito dalla vicenda del Quirinale.
«Rischiamo una lunga campagna elettorale. Ciò che accade nel centrodestra è sotto gli occhi di tutti, ma anche nel cosiddetto campo largo del centrosinistra c’è molta discussione dentro i 5 Stelle e sulla nascita di un non meglio identificato centro. C’è stata un’evidente contraddizione fra il considerare strategico il ruolo di Mario Draghi e le contrarietà alla sua elezione».

La preoccupa?
«Mi preoccupa la distanza del quadro politico dal Paese reale. Ci sono riforme urgenti da realizzare e noi chiediamo che il sindacato sia coinvolto, prima di decidere».

Concorda con Giancarlo Giorgetti, quando il ministro allo Sviluppo dice che bisogna darsi una politica industriale per sostenere il settore dell’automotive?
«Denunciamo l’assenza di politica industriale da anni. Manca un’azione del governo e delle politiche pubbliche, anche sugli investimenti».

Sull’auto elettrica l’Italia è in ritardo?
«Lo è perché in anni passati governo e imprese hanno detto che non era questa la prospettiva. Poi Volkswagen ci investe 86 miliardi di euro. È una transizione che va governata. I sindacati metalmeccanici e Federmeccanica, di Confindustria, hanno chiesto un tavolo di confronto alla presidenza del Consiglio».

Risposte?
«Ancora no, ma è un’emergenza. In Italia abbiamo una capacità produttiva da 1,5 milioni di auto e ne facciamo meno della metà. Tutto ciò va incoraggiato con politiche industriali che portino Stellantis a svolgere un ruolo da protagonista. Bisogna favorire le aggregazioni nella componentistica, dove abbiamo notevoli competenze. Serve un ruolo pubblico d’indirizzo o perderemo posizioni».

Secondo Carlos Tavares di Stellantis in Italia i costi del lavoro sono più bassi, ma i costi di produzione doppi rispetto ad altri Paesi europei. Sembra un ultimatum: risolvete l’inefficienza.
«Non c’è ancora stato un luogo in cui si potesse avere con trasparenza questa discussione. Governo, sindacati, imprese della filiera e Stellantis devono parlarsi per costruire un sistema che oggi non c’è. Non per chiedersi come rinviare l’avvento dell’auto elettrica, ma come governare la transizione. Quando in piena pandemia è stato fatto un enorme prestito a Fca, oggi Stellantis, nessuno ha chiesto niente del genere. Invece il governo francese è presente nell’azienda e si fa sentire».

Lei dice che il Recovery (Pnrr) va cambiato per sostenere l’automotive. Dove si taglia, sul superbonus?
«Invece dei bonus a pioggia, servono incentivi mirati come in Francia per aprire e sostenere il mercato dell’auto elettrica. Con i bassi salari attuali, i lavoratori rischiano di non potersela permettere».

Incentivare gli acquisti, invece della filiera, non è un modo di mandare soldi ai produttori cinesi o coreani?
«Mi fa piacere che Giorgetti se ne preoccupi, ma c’era anche lui quando il governo ha preso le sue decisioni. Il confronto con le parti sociali in molti casi non c’è stato».

Però lei dice che non vede le condizioni «di un generico patto sociale e di una indistinta concertazione».
«Perché penso ad accordi precisi. In primo luogo: basta precarietà. Cancelliamo forme contrattuali assurde come il lavoro a chiamata, intermittente, i tirocini extra-curriculari, definendo un unico contratto di inserimento al lavoro co a contenuto formativo e finalizzato alla stabilità. E vanno aumentati i salari, che sono tra i più bassi in Europa: non è più tollerabile».

Per alzarli, Carlo Bonomi di Confindustria vi invita ad accettare contratti aziendali di produttività.
«Noi siamo per stabilizzare i precari, sia nel pubblico che nel privato. Siamo per investire in formazione, perché fa la differenza. In vent’anni la contrattazione aziendale non è cresciuta, sono cresciuti i contratti nazionali pirata. È il momento di una legge sulla rappresentanza e di riconoscere ai contratti nazionali il ruolo di autorità salariale che aumenti il potere d’acquisto».

Le risorse dove si trovano, secondo lei?
«Sul piano delle politiche pubbliche, con un piano fiscale a favore di chi lavora. La crescita dei salari è la condizione perché riprendano i consumi. Non è il momento di un riformismo competitivo di cui parla Bonomi. Ma del riformismo cooperativo, della giustizia sociale, con un fisco che colpisca la rendita finanziaria, l’evasione e l’elusione, liberando risorse per i redditi e le pensioni più basse».

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Che intende? «Ho visto la gestione dell’elezione del presidente della Repubblica da parte dei partiti. E vedo la rottura fra mondo del lavoro e rappresentanza politica. Un nostro sondaggio mostra che circa il 60% degli italiani pensa che la politica sia importante, ma non si sente rappresentato nel quadro attuale. È problema molto serio. E riguarda tutti, forze politiche e sociali: c’è bisogno di un nuovo protagonismo del mondo del lavoro. La politica deve ripartire da qui». Il problema riguarda anche il sindacato? «Sì. E le imprese. Noi dobbiamo allargare la rappresentanza fino al lavoro autonomo. E la democrazia: più spazio ai delegati eletti sui luoghi di lavoro e alle Camere del lavoro nei territori. Noi della Cgil siamo arrivati all’assemblea di sabato dopo oltre 1.500 assemblee con più di 60 mila persone coinvolte. Ma non è un tema solo sindacale o sociale, è anche politico». Lei ha detto anche che il governo esce indebolito dalla vicenda del Quirinale. «Rischiamo una lunga campagna elettorale. Ciò che accade nel centrodestra è sotto gli occhi di tutti, ma anche nel cosiddetto campo largo del centrosinistra c’è molta discussione dentro i 5 Stelle e sulla nascita di un non meglio identificato centro. C’è stata un’evidente contraddizione fra il considerare strategico il ruolo di Mario Draghi e le contrarietà alla sua elezione». La preoccupa? «Mi preoccupa la distanza del quadro politico dal Paese reale. Ci sono riforme urgenti da realizzare e noi chiediamo che il sindacato sia coinvolto, prima di decidere». Concorda con Giancarlo Giorgetti, quando il ministro allo Sviluppo dice che bisogna darsi una politica industriale per sostenere il settore dell’automotive? «Denunciamo l’assenza di politica industriale da anni. Manca un’azione del governo e delle politiche pubbliche, anche sugli investimenti». Sull’auto elettrica l’Italia è in ritardo? «Lo è perché in anni passati governo e imprese hanno detto che non era questa la prospettiva. Poi Volkswagen ci investe 86 miliardi di euro. È una transizione che va governata. I sindacati metalmeccanici e Federmeccanica, di Confindustria, hanno chiesto un tavolo di confronto alla presidenza del Consiglio». Risposte? «Ancora no, ma è un’emergenza. In Italia abbiamo una capacità produttiva da 1,5 milioni di auto e ne facciamo meno della metà. Tutto ciò va incoraggiato con politiche industriali che portino Stellantis a svolgere un ruolo da protagonista. Bisogna favorire le aggregazioni nella componentistica, dove abbiamo notevoli competenze. Serve un ruolo pubblico d’indirizzo o perderemo posizioni». Secondo Carlos Tavares di Stellantis in Italia i costi del lavoro sono più bassi, ma i costi di produzione doppi rispetto ad altri Paesi europei. Sembra un ultimatum: risolvete l’inefficienza. «Non c’è ancora stato un luogo in cui si potesse avere con trasparenza questa discussione. Governo, sindacati, imprese della filiera e Stellantis devono parlarsi per costruire un sistema che oggi non c’è. Non per chiedersi come rinviare l’avvento dell’auto elettrica, ma come governare la transizione. Quando in piena pandemia è stato fatto un enorme prestito a Fca, oggi Stellantis, nessuno ha chiesto niente del genere. Invece il governo francese è presente nell’azienda e si fa sentire». Lei dice che il Recovery (Pnrr) va cambiato per sostenere l’automotive. Dove si taglia, sul superbonus? «Invece dei bonus a pioggia, servono incentivi mirati come in Francia per aprire e sostenere il mercato dell’auto elettrica. Con i bassi salari attuali, i lavoratori rischiano di non potersela permettere». Incentivare gli acquisti, invece della filiera, non è un modo di mandare soldi ai produttori cinesi o coreani? «Mi fa piacere che Giorgetti se ne preoccupi, ma c’era anche lui quando il governo ha preso le sue decisioni. Il confronto con le parti sociali in molti casi non c’è stato».Però lei dice che non vede le condizioni «di un generico patto sociale e di una indistinta concertazione». «Perché penso ad accordi precisi. In primo luogo: basta precarietà. Cancelliamo forme contrattuali assurde come il lavoro a chiamata, intermittente, i tirocini extra-curriculari, definendo un unico contratto di inserimento al lavoro co a contenuto formativo e finalizzato alla stabilità. E vanno aumentati i salari, che sono tra i più bassi in Europa: non è più tollerabile». Per alzarli, Carlo Bonomi di Confindustria vi invita ad accettare contratti aziendali di produttività. «Noi siamo per stabilizzare i precari, sia nel pubblico che nel privato. Siamo per investire in formazione, perché fa la differenza. In vent’anni la contrattazione aziendale non è cresciuta, sono cresciuti i contratti nazionali pirata. È il momento di una legge sulla rappresentanza e di riconoscere ai contratti nazionali il ruolo di autorità salariale che aumenti il potere d’acquisto». Le risorse dove si trovano, secondo lei?«Sul piano delle politiche pubbliche, con un piano fiscale a favore di chi lavora. La crescita dei salari è la condizione perché riprendano i consumi. Non è il momento di un riformismo competitivo di cui parla Bonomi. Ma del riformismo cooperativo, della giustizia sociale, con un fisco che colpisca la rendita finanziaria, l’evasione e l’elusione, liberando risorse per i redditi e le pensioni più basse»., Photo Credit: , , www.corriere.it, %%item_url %%, Economia, Economia, Economia, Leggi di più, , https://images2.corriereobjects.it/methode_image/2022/02/14/Economia/Foto-Economia/43.0.560677709-0045.JPG, Corriere.it – Homepage, Corriere.it – Notizie e approfondimenti di cronaca, politica, economia e sport con foto, immagini e video di Corriere TV. Meteo, salute, guide viaggi, Musica e giochi online , https://www.corriere.it/rss/images/logo_corriere.gif, http://xml2.corriereobjects.it/rss/homepage.xml, Federico Fubini

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