L’appuntato ucciso dalle Br Il figlio denuncia la banda P38: troppi i nostalgici  degli Anni di piombo

di Redazione Cronache

Bruno D’Alfonso è carabiniere (in pensione) a sua volta: figlio di Giovanni, che morì nella sparatoria del 1975 in cui perse la vita anche Mara Cagol. «Dopo la denuncia ho ricevuto anche minacce. La provocazione è una cosa, l’apologia di reato un’altra»

A presentare il primo esposto per denunciare l’esibizione della P38 Gang, la band che inneggia alla lotta armata contro lo Stato, è stato Bruno D’Alfonso, uno dei tre figli di Giovanni, l’appuntato ucciso il 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta tra Arzello di Melazzo e Acqui Terme (Alessandria) nel conflitto a fuoco con i brigatisti rossi in cui morì anche Mara Cagol, la moglie di Renato Curcio.

La band si era già esibita il 25 aprile a Pescara, poi è tornata nuovamente sul palco a Reggio Emilia(dove è arrivata la polemica con le relative indagini sui quattro componenti del gruppo). Bruno D’Alfonso, 57 anni, carabiniere anche lui (in pensione) che da anni si batte per ristabilire la verità sulla morte del padre, ha poi ricevuto una minaccia che collega alla sua denuncia della band: gli è stata mandata via social da un profilo fake una foto in bianco e nero del padre in divisa da carabiniere e sopra, in caratteri rossi, una grande X e la scritta «Sei il prossimo».

«Non ho dubbi — ha spiegato Bruno D’Alfonso all’Agi — la minaccia è legata all’esposto che ho presentato contro l’esibizione in un locale di Pescara della P38 Gang. Credo anche che non debba essere permesso a nessuno, nemmeno in nome della libertà di espressione artistica, di inneggiare al terrorismo e offendere la memoria di quanti di quel terrorismo sono stati vittime e dei loro familiari». D’Alfonso è netto: «La provocazione è una cosa, l’apologia di reato un’altra: la P38 Gang non è un fenomeno nuovo, si sono messi assieme almeno due anni fa e fanno più o meno regolarmente concerti: al di là dell’oltraggio per chi ha pagato con la vita, il rischio è che qualche pazzo gli dia retta e che decida di passare dalle parole ai fatti impugnando un’arma».

Bruno D’Alfonso ha collaborato alla realizzazione del libro Brigate Rosse. L’invisibile, edito da Falsopiano e scritto dai giornalisti Simona Folegnani e Berardo Lupacchini, che ha portato anche alla riapertura dell’indagine sulla sparatoria del 1975 (non è stato ancora scoperto chi fosse il brigatista fuggito dopo aver partecipato al conflitto a fuoco): «Sono indignato, e soprattutto preoccupato — osserva D’Alfonso — perché girando l’Italia per presentare il libro ho capito che ci sono ancora dei “nostalgici” degli anni di piombo e in particolare delle Br. Tutto questo non può essere tollerato».

17 maggio 2022 (modifica il 17 maggio 2022 | 19:52)

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, 2022-05-17 19:45:00, Bruno D’Alfonso è carabiniere (in pensione) a sua volta: figlio di Giovanni, che morì nella sparatoria del 1975 in cui perse la vita anche Mara Cagol. «Dopo la denuncia ho ricevuto anche minacce. La provocazione è una cosa, l’apologia di reato un’altra», Redazione Cronache

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