Laurent Cantet: «No ai Rambo dei social»

di Stefania Ulivi

Il regista di «Arthur Rambo»: c’è una generazione dominata dalla rabbia e denuncio la pericolosità dei provocatori del web

Arthur come il poeta giovane e ribelle. Rambo come il reduce giustiziere di Stallone. Era questo lo pseudonimo dietro a cui si nascondeva su Twitter Karim D. giovane di origini arabe cresciuto nella banlieue parigina, fresco della pubblicazione del romanzo d’esordio che ha fatto impazzire l’intellighenzia francese, eleggendolo a simbolo della Francia multiculturale. Aveva scelto quello pseudonimo, in passato, come atto di provocazione per postare tweet antisemiti, omofobi e misogini. Ma proprio nel momento del trionfo qualcuno li rilancia e nel giro di 48 ore, raccontate a ritmo serrato da Laurent Cantet nel suo ultimo film, Arthur Rambo, in sala da noi il 22 aprile con Kitchen Film, lo vediamo precipitare dalle stelle alle stalle. Cantet — atteso a Roma al Nuovo Sacher il 1° aprile per i Rendez-vous 2022, festival del cinema francese — racconta al Corriere di essersi ispirato al caso di Mehdi Meklat, divenuto celebre in Francia nel 2017 come commentatore radiofonico e scrittore e quindi messo alla gogna quando emergono vecchi tweet postati sotto il falso account Marcelin Deschamps. «È stato un clic, ma il film non è un biopic. Conoscevo Meklat per il sul suo blog sulla banlieu e come tanti ascoltavo la sua rubrica su France Inter, aveva 17 anni, mi colpiva per la freschezza. Quando sono usciti i suoi tweet, inaccettabili, ho avuto una vertigine. Come era possibile che la stessa persona fosse l’autore delle riflessioni che mi avevano colpito ma anche di quei messaggi scioccanti e inammissibili, come ragiona una persona capace di tanto?»

Che risposta si è dato?
« C’era qualcosa che non arrivavo a comprendere e penso che neanche lui capisse. Volevo analizzare questo abisso che resta un enigma. Già dai tempi de La classe, mi interrogo sul ruolo delle reti sociali nella nostra vita, soprattutto in quella dei giovanissimi, che nella confusione imperante cercano lì risposte rapide e facili. Non condanno i social, li trovo molto utili ma vanno utilizzati conoscendone i meccanismi».

Perché ha ambientato il film nell’arco di 48 ore?
«Per evidenziare l’accelerazione dei meccanismi di comunicazione. Geniale, certo, alla portata di tutti, ma dove, per farsi notare, si cerca la popolarità attraverso la provocazione, l’estrema semplificazione, togliendo significato alle parole e dando un’illusione di libertà. H ate speech non vuol dire libertà di pensiero, è pericoloso e ambiguo».

Perché Arthur Rambo?
«Per giocare sul contrasto tra due sistemi di riferimento molto marcati dal punto di vista generazionale: la poesia di Rimbaud, ovvero una certa idea di cultura classica, e la pura brutalità di Rambo, eroe popolare. Dicotomia che aiuta a capire il conflitto interiore di Karim, tra ambizione letteraria e rabbia».

Ecco, la rabbia. È un tema molto presente nel film.
«Domina la vita dei giovani di seconda generazione. Karim la sua l’ha addomesticata, il libro gli ha permesso un’ascesa sociale negata a altri, ha accesso al mondo degli intellettuali che lo scarica quando si scopre cosa ha scritto. E gli torna addosso rilanciata dal fratello piccolo Farid e dai suoi amici che credono in Arthur Rambo. Lui lo ha creato per provocare, come forma di satira ma si accorge che i giovani ci credono. Sono questi ragazzi che voglio raccontare con il mio cinema, vivono una grande solitudine, non trovano risposte. Costantemente sotto il giudizio altrui: della famiglia, degli amici, nel caso di Karim, anche quelli della web tv che si sentono traditi, dei follower».

Protagonista è uno di loro Rabah Nait Oufella, aveva 13 anni quando ha partecipato a «La classe» per cui lei ha vinto la Palma d’oro.
«Ha continuato a recitare. Per la sua storia poteva capire i tormenti del personaggio».

Dal film emerge una Francia come Paese pieno di contrasti sociali, politici, generazionali.
«Che l’era digitale amplifica. La semplificazione non aiuta. Bisogna, al contrario, accettare la complessità, non giudicare ma continuare a interrogarsi».

27 marzo 2022 (modifica il 27 marzo 2022 | 19:43)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-03-27 19:12:00, Il regista di «Arthur Rambo»: c’è una generazione dominata dalla rabbia e denuncio la pericolosità dei provocatori del web, Stefania Ulivi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version