Lavoro, la grande trappola, sempre più precarietà: Sono i nuovi poveri

di Enzo Riboni

Tra i nuovi contratti del 2021 sette su dieci a tempo determinato. Il tasso dei poveri con un impiego resta pi alto della media Ue. E l’Italia l’unico Paese che in 30 anni ha visto diminuire i salari

Lavoro precario, vulnerabile, insicuro, povero e di bassa qualit. Il mercato del lavoro italiano, anche in fase di pandemia declinante, resta una realt malata, bisognosa di cure, soprattutto di politiche attive che tardano a venire. Sono tanti gli studi che fotografano queste debolezze, a partire del Rapporto annuale Istat 2022 che certifica la caduta del cosiddetto lavoro standard, cio quello a tempo indeterminato e a tempo pieno: nel 2021 (ultima rilevazione), guardando alla totalit dei lavoratori occupati, gli standard erano solo sei su dieci. Per converso aumenta il lavoro dipendente a tempo determinato, spesso con contratti di breve durata. A conferma arriva il Rapporto Inapp 2022 – Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro, che evidenzia come il trend in atto porter a un peggioramento della foto Istat: i nuovi contratti di lavoro stipulati nel 2021 rafforzano la trappola della precariet, visto che ben 7 su 10 sono a tempo determinato.

Quando non una scelta

Si parla di trappola perch chi inciampa nella precariet difficilmente riesce a liberarsene. Sempre dall’indagine Inapp infatti emerge come, in un triennio, solo nel 35% dei casi il lavoro non standard muta in standard, mentre nel 30% torna a replicarsi come lavoro atipico e in un ulteriore 35% di casi si trasforma per met in disoccupazione in cerca di lavoro e per met in uscita dal mercato. Anche una specifica attivit non standard, il part-time, desta preoccupazioni: secondo l’Istat interessa gi un quinto degli occupati e quello involontario – cio non scelto del lavoratore ma imposto – secondo l’Inapp nel 2021 ha coinvolto l’11,3% degli interessati contro una media Ocse del 3,2%. Tutti elementi che espongono anche chi non disoccupato al rischio povert.

Prendendo come campione l’insieme dei lavoratori dipendenti pubblici e privati, compresi i part-time e i part-year che hanno lavorato poche settimane o pochi giorni nell’anno (esclusi domestici, agricoli e autonomi) il 23,3% aveva nel 2021 – secondo l’Inps – una retribuzione annua inferiore ai 780 euro al mese, quota massima del Reddito di cittadinanza. L’Inapp spiega poi che, nell’ultimo decennio, il tasso di lavoro povero, cio la percentuale di chi, pur lavorando, vive in una famiglia a rischio povert, non mai diminuito, restando pari all’11,3%, cio 2,1 punti percentuali sopra quello dell’Unione europea. Ci significa che, tra i lavoratori con reddito pi basso, cio sotto i 10 mila euro lordi all’anno (sono l’8,7% del totale) il 12% non in grado di provvedere autonomamente a una spesa improvvisa essendo senza risparmi e non potendo ottenere crediti mentre il 20% riesce a fronteggiare solo spese fino a 300 euro. Quasi uno su tre, inoltre, ha dovuto posticipare cure mediche.

Anche i lavoratori che non rischiano la povert, in Italia hanno stipendi che spesso fanno arrancare per arrivare a fine mese, a causa della progressione a marcia indietro delle retribuzioni. Il nostro, infatti, l’unico Paese, che, in 30 anni, ha registrato un calo dei salari mediamente del 2,9%, a fronte di una crescita Ocse del 38,5%. Restringendo l’intervallo di tempo il crollo retributivo medio si fa ancora pi pesante: -8,3% nell’ultimo decennio. Un quadro in cui ai bassi stipendi si contrappongono alte differenze tra chi guadagna poco e chi tanto.

Secondo il Forum Disuguaglianze e Diversit, infatti, dal 1990 al 2017 l’indice di Gini, che misura l’equidistribuzione dei redditi da lavoro assegnando zero alla perfetta uguaglianza e 100 alla totale disuguaglianza, aumentato da 36,6 a 44,7. Le cause di una tale dinamica salariale sono diverse – commenta il presidente Inapp Sebastiano Fadda – e una di queste il meccanismo di negoziazione dei salari. Resta bassa infatti (4%) la quota di imprese che dichiarano di applicare entrambi i livelli di contrattazione, aziendale e nazionale. In sette anni, poi, si ridotto il numero di imprese che dicono di adottare un Contratto nazionale di lavoro (-10%), mentre si pi che duplicata la quota di aziende che dichiarano di non applicare alcun contratto (dal 9% nel 2011 al 20% nel 2018).

C’ poi un ultimo dato, quello demografico, che segnala come l’allargamento dell’occupazione avvenuta lo scorso anno (+314mila unit a novembre 2022 rispetto allo stesso mese del 2021) per i pi giovani non sia del tutto rassicurante. Secondo un’indagine della Fondazione Di Vittorio, infatti, l’aumento tendenziale in gran parte determinato da occupati over 64 (raddoppiati tra il 2008 e il 2022) un dato che fa aumentare l’et media dei lavoratori: gli over 50 sono il 40% del totale.

10 febbraio 2023 (modifica il 10 febbraio 2023 | 22:20)

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