Le Fake news sulla guerra in Ucraina: come riconoscerle (ed evitare di diffonderle sui social)

di Paolo Ottolina

I consigli degli esperti del New York Times e di Walter Quattrociocchi, che da anni si occupa di disinformazione. Regola aurea: «Quanto mi piace quell’informazione che ho appena letto o visto? Se mi piace troppo, allora deve suonare una campana»

Distinguere ciò che è reale in Ucraina e ciò che è creato con la volontà di disinformare è piuttosto difficile anche per chi fa il mestiere di giornalista. Per i lettori lo è ancora di più, soprattutto con la mole di testi, foto e video che si vedono scorrere davanti nei feed dei social media. Quando il comune cittadino condivide o rilancia uno di questi contenuti la sua responsabilità cresce: da attore passivo si trasforma in soggetto attivo, per quanto modesto possa essere il suo seguito. In qualche modo partecipa alla propaganda della guerra, che è vecchia quanto i conflitti umani ma che con l’invasione dell’Ucraina ha mostrato tutta la sua capacità di riconfingurarsi attorno ai social network. «È vero che nel dibattito c’è una polarizzazione fortissima» ci spiega Walter Quattrociocchi, che da anni si occupa di disinformazione e fake news ed è docente di Informatica alla Sapienza di Roma e responsabile del Data and Complexity for Society Lab. «C’è un modello “macro” che ha da una parte chi è contro Putin e dall’altra chi lo sostiene. Ma all’interno dei due schieramenti si creano fratture più piccole, che innescano meccanismi come quello delle “echo chamber” dove ognuno trova una sua narrativa. Il meccanismo ricorsivo è quello dell’indignazione e della creazione del nemico. Di questa dinamica la disinformazione è parte integrante».
Come sopravvivere all’ondata di emotività di questi giorni? «L’emotività è proprio il “business model” delle piattaforme social. Bisogna attendere che il meccanismo del nemico e dell’indignazione arrivi a saturazione. Dalle nostre ricerche abbiamo evidenze che confermano la cosiddetta legge di Godwin: “A mano a mano che una discussione online si allunga, la probabilità di un paragone riguardante i nazisti o Hitler tende ad 1». Ovvero che – in questo meccanismo tossico di creazione del nemico – se si va avanti abbastanza a discutere qualcuno tirerà fuori Hitler.

Per rendere l’ambiente delle news meno intossicante, il New York Times ha provato a stendere un breve vademecum, per attivare utili dubbi prima di cliccare su «ritwitta» o di commentare sotto un post di Facebook. «È importante perché tutti abbiamo il diritto alla verità. E più facciamo per inquinare l’ambiente dell’informazione, peggio sarà» dice Joan Donovan, che dirige il Shorenstein Center on Media, Politics and Public Policy di Harvard, attivo sul tema della disinformazione.

Il consiglio di Quattrociocchi è questo: «Quanto mi piace quell’informazione che ho appena letto o visto? Se mi piace troppo, allora deve suonare una campana. Perché per il cosiddetto “pregiudizio di conferma” è proprio in questi casi che si controlla meno».

I consigli degli esperti del Nyt invece sono questi:
1.Chi sta condividendo il contenuto che a tua volta vorresti inoltrare ad altri? Molti giornalisti e fonti ufficiali hanno la spunta blu accanto al nome. Questo non garantisce che diffondano notizie verificate, ma è un buon punto di partenza. Ah, attenzione agli account parodia.
2.Se un account ha la spunta blu, cercate di capire se sono reporter sul posto oppure se sono esperti della materia che di solito citano fonti affidabile. O invece se sono soltanto social-star che cercano qualche facile “mi piace”
3.Gli account con i numeretti (“Stellina120362824”) sono molto, molto spesso account fasulli, creati da poco per motivi di propaganda o governati da un bot (un’automazione). Soprattutto se l’account risulta attivato da poco e ha un bassissimo numero di follower.
4.Troppi hashtag: se per attirare l’attenzione su Instagram un post che parla di guerra ha anche l’hashtag #catoftheday forse è bene diffidare.
5.Google ti aiuta. Se la foto che ti ha scioccato su Twitter e su Facebook non si trova da nessuna parte su Google, è possibile che sia di qualche guerra o tragedia precedente, che non c’entra con l’Ucraina.
6.Un occhio ai fact-checkers. Molte organizzazioni, soprattutto le agenzie di stampa, hanno team dedicati a verificare le notizie, soprattutto in periodi ad alta intensità di news come quello attuale
7.Attenti alle raccolte fondi. Tra le centinaia di iniziative legittime, si infilano anche i truffatori. Verifica online se l’organizzazione che propone la raccolta di denaro è reputata.

C’è da ricordare che comunque sia Twitter che Meta ovvero Facebook/Instagram (le tre piattaforme sono state bloccate in Russia) hanno messo in campo iniziative legate alla guerra e alla circolazione di informazioni sui rispettivi social network. Twitter, oltre a lavorare sulla moderazione dei tweet (sia con la rimozione di contenuti, sia riducendo le possibilità che alcuni altri finiscano sulle timeline degli utenti), ha creato strumenti per giornalisti e lettori come una pagina argomento sulla guerra e una lista di fonti affidabili. Facebook da parte sua ha rimodulato le sue policy in modo che gli utenti ucraini possano pubblicare post anche minacciosi nei confronti dei russi, chiarendo però con Nick Clegg, portavoce e presidente degli Affari globali di Meta, che le nuove regole si applicano solo in Ucraina e «solo nel contesto del discorso sull’invasione militare russa dell’Ucraina».

23 marzo 2022 (modifica il 23 marzo 2022 | 12:08)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-03-23 19:09:00, I consigli degli esperti del New York Times e di Walter Quattrociocchi, che da anni si occupa di disinformazione. Regola aurea: «Quanto mi piace quell’informazione che ho appena letto o visto? Se mi piace troppo, allora deve suonare una campana», Paolo Ottolina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version