Le scienziate-sub che piantano alghe nel mare di Capri: «Così torna la vita»

di Carlotta Lombardo

La missione contro i danni dei pescatori di frodo. «Con le bombole ci immergiamo fino a 50 metri di profondità per campionare le piantine»

Le foreste ferite di Capri vivono sotto il mare. Sono l’habitat ideale per moltissimi organismi viventi, come i pesci, che ci depongono le uova; e come gli alberi di una foresta tropicale sono capaci di produrre ossigeno e abbattere l’anidride carbonica. Fronde marine composte da un’alga bruna tipica del Mediterraneo, la Cystoseira , che potrebbe crescere rigogliosa ma che a Capri, sotto i Faraglioni, è stata annientata dallo scempio dell’uomo. I pescatori di frodo di datteri, per estrarre dalla roccia calcarea i prelibati frutti di mare, hanno spazzato via con i martelli pneumatici ogni forma di vita, alghe comprese. Senza di queste, in un ambiente così desertificato, addio anche a pesci e ad altri organismi. Ma se un giorno queste alghe, preziose custodi della biodiversità, ricominceranno a crescere il merito sarà di quattro ricercatrici dell’Università di Trieste. Un team tutto al femminile che, da maggio e per un anno, è impegnato in una operazione di restauro ecologico dei fondali marini dell’isola.

Con muta e bombole le ricercatrici si immergono fino a 50 metri di profondità, all’ombra degli spettacolari scogli che spuntano dal mare come Ciclopi, per prelevare i campioni di acqua in superficie e in profondità. Lo scopo è individuare i danni e i siti più idonei dove intervenire. Le ricercatrici sono tutte subacquee. «Necessariamente, — dice Annalisa Falace, 55 anni, docente di Algologia all’Università di Trieste e a capo del progetto —. Per raccogliere campioni di alghe non c’è altro modo». La squadra, collaudatissima e composta da studiose italiane e croate — con Falace, la biologa Sara Kaleb e le dottorande Marina Srijemsi e Martina Grigoletto —, sta lavorando al ripopolamento della foresta marina come farebbe un gruppo di agricoltori in una serra. «Con la differenza che sulla Terra coltiviamo dal Neolitico, sott’acqua iniziamo ora», puntualizza Falace. L’originalità del metodo, sviluppato nell’ambito del progetto europeo ROC-POPLife, sta nella produzione in acquari di nuove «plantule» da reintrodurre in ambiente marino, senza danneggiare i siti donatori.

«In acqua cerchiamo le alghe in buone condizioni, ne prendiamo un pezzo con gli elementi riproduttivi, lo portiamo in laboratorio e lo replichiamo con le colture. Le nuove piantine poi tornano in mare, crescono e dopo un anno diventano fertili e producono nuove piante — spiega Falace —. Risultati? Con la stessa tecnica ho ricolonizzato in tre anni un chilometro di costa nelle aree protette delle Cinque Terre e di Miramare». Con lei, da 20 anni, lavora la biologa Sara Kaleb, 41 anni, croata di nascita: «Insieme abbiamo costruito il laboratorio di Algologia di Trieste e siamo il cuore di un team non a caso tutto femminile — ricorda Falace —. Siamo idealiste. Non abbiamo le classiche ambizioni del contesto accademico, tipicamente maschile, ma il sogno di ripristinare quello che c’era per consegnare qualcosa di migliore».

Una passione nata da bambina quando, a cinque anni, Falace legge un libro il cui protagonista è un algologo di Capri. «Me ne sono innamorata perdutamente — racconta adesso —. Mamma era maestra e ho iniziato a leggere presto. In fondo c’era la classificazione delle alghe e l’ho imparata a memoria. Più tardi, al liceo, in gita a Trieste con mio padre, vidi una targa al Castello di Miramare con riportato il nome di “Guido Bressan, algologo”. Era domenica, lo chiamai a casa sua. Ci diede appuntamento in un caffè di Trieste… Anni dopo, è diventato il mio professore».

8 agosto 2022 (modifica il 8 agosto 2022 | 23:12)

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, 2022-08-08 22:08:00, La missione contro i danni dei pescatori di frodo. «Con le bombole ci immergiamo fino a 50 metri di profondità per campionare le piantine», Carlotta Lombardo

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