di Clarida Salvatori
Le Unità speciali di continuità assistenziale regionale erano state create per l’emergenza Covid e sono state prorogate fino a fine giugno. Il coordinatore Pier Luigi Bartoletti: « Un servizio del genere, con l’esperienza che ha acquisito, va tenuto in piedi»
Hanno prestato servizio nel cuore della pandemia. Hanno sfidato il Covid per due anni. Ma ora rischiano di sparire. L’esistenza e l’attività delle Uscar (Unità speciali di continuità assistenziale regionale) del Lazio, come di tutte le altre a livello nazionale, erano infatti legate allo stato di emergenza, che è terminato il 31 marzo.
Le unità – sono nate a marzo del 2020, proprio all’inizio della pandemia – sono state temporaneamente prorogate fino alla fine di giugno. Cosa ne sarà poi è ancora un interrogativo senza risposta. «Ma in ogni caso un servizio del genere, con il grande patrimonio di conoscenza del virus che ha acquisito sul campo, va in qualche modo tenuto in piedi» è l’appello di Pier Luigi Bartoletti, il coordinatore delle Uscar nel Lazio.
Sono stati infatti questi 400 medici e 700 infermieri che, di fronte a un virus che faceva davvero paura perché era ancora uno sconosciuto, con le loro tute bianche, le cuffie e le visiere che li rendevano quasi irriconoscibili, sono andati nel cuore dei cluster per eseguire screening sulla popolazione a bordo delle loro unità mobili. È accaduto a Celleno e a Nerola, a Contigliano così come a Fiano Romano e a Campagnano.
Ad attendere i voli dal Bangladesh in aeroporto e i pullman dei romeni in autostrada, quando queste due popolazioni erano una minaccia per il grande numero dei contagi, c’erano loro. E sempre loro, nell’estate del 2020, hanno fatto i tamponi ai vacanzieri in partenza e di rientro dalla Spagna, dalla Sardegna, dalla Grecia e da Malta. Centinaia di migliaia di test somministrati. Oltre 60mila interventi domiciliari per casi sospetti e nelle residenze per anziani.
Oggi il lavoro delle Uscar è cambiato: all’attività di prevenzione si è aggiunta quella di cura. «Oltre che a supporto nei drive-in per i tamponi, siamo nei centri vaccinali dello Spallanzani e di Fiumicino, – spiega Bartoletti -. Eseguiamo le vaccinazioni domiciliari. Ci occupiamo, come personale specializzato, di somministrare gli anticorpi monoclonali nelle strutture resid enziali, con 12 equipaggi attivi ogni giorno. Siamo stati, e siamo ancora, ovunque sia servito, e tuttora serva, il nostro impegno».
Difficile pensare che una simile esperienza possa perdersi nel nulla, dopo due anni così intensi trascorsi a combattere un nemico di cui pian piano si è scoperto quali siano le vittime preferite, le complicanze, le mutazioni, ma anche la cura e la prevenzione. «Impossibile fare previsioni sul futuro delle Uscar – è ancora Bartoletti a parlare -. Non dipende da noi. La decisione non spetta a noi. Noi siamo stati e saremo ancora a disposizione per andare ovunque serva a contrastare il Covid».
E non solo. «Anche in previsione di una fase futura che non è ancora chiara in termini epidemiologici – conclude il coordinatore delle unità -. E alla luce, per esempio, di questa nuova minaccia virale che arriva dal Regno Unito con l’epatite acuta che colpisce i bambini. È il segno evidente che, oltre al Covid, ci sono anche altre malattie infettive che continuano a esistere».
25 aprile 2022 (modifica il 25 aprile 2022 | 08:23)
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, 2022-04-25 14:44:00, Le Unità speciali di continuità assistenziale regionale erano state create per l’emergenza Covid e sono state prorogate fino a fine giugno. Il coordinatore Pier Luigi Bartoletti: « Un servizio del genere, con l’esperienza che ha acquisito, va tenuto in piedi», Clarida Salvatori