Letta, il tour lombardo sul bus elettrico (tra dossier e social curati da solo)

di Marco Imarisio

La campagna del segretario dem: incontri con imprenditori e nelle cooperative. E l’approccio resta quello del professore

DAL NOSTRO INVIATO
BRESCIA — Fino a qui tutto bene, o quasi. Le foto per il battesimo dell’ormai celebre bus elettrico vengono scattate di fretta nel parcheggio appena fuori dal casello, per recuperare il ritardo dovuto alla coda causata da un incidente sull’autostrada. Enrico Letta sale a bordo, si mette in posa tra i sedili di tela bianca. E via per un tragitto di appena tre chilometri, fino alla piazza del Mercato di Brescia. Non sarà una passeggiata, non solo in senso metaforico, ma almeno i tragitti saranno brevi. Più il mezzo è grande, più l’autonomia è limitata. Il bus può viaggiare solo su strade statali, affidandosi alle poche colonnine sul percorso o alle prese industriali. «Con questa scelta vogliamo attirare l’attenzione sui problemi della mobilità sostenibile, denunciando la carenza di piazzole per la ricarica sulle strade del nostro Paese» dicono dalla sua squadra, per poi precisare che il resto del viaggio in Italia proseguirà «a spina di pesce», con due auto a fare da staffetta per gli spostamenti più impegnativi.

La prima giornata delle due settimane «che devono cambiare il nostro Paese» comincia dal centro di Milano, dalla sede di Assolombarda. Anche qui con una mezzora di ritardo dovuta al cambio di percorso dell’auto (a benzina) per via di un pacco sospetto ritrovato in via Larga. «Ti do del tu, perché ci conosciamo da almeno vent’anni», così lo accoglie il presidente Alessandro Spada, che poi disegna un quadro preciso e drammatico dell’emergenza energetica che sta strangolando le aziende lombarde. Ne cita una per tutte, la Piper Plant, cento milioni di euro di fatturato nel 2021, con una bolletta mensile passata da 160 a 900mila euro. «Ti chiediamo di insistere con il primo ministro Draghi affinché sia presa una decisione prima dei tempi stabiliti dall’Unione europea». Qui dentro, l’attuale presidente del Consiglio è davvero un convitato di pietra, oggetto di una nostalgia preventiva che si taglia con il coltello, come la nebbia di una volta.

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Letta ascolta, prende appunti. Non annuisce mai, non cambia mai una espressione vagamente accigliata. Esordisce salutando Benito Benedini e Gianfelice Rocca, seduti nelle prime file, entrambi chiamati solo con il loro nome di battesimo. «Sono stato tante volte in questa sala, in tanti ruoli diversi» dice con un vago tono di rimpianto. Sentirsi a casa non significa però esserlo davvero. Le osservazioni che arrivano dalla platea mettono in risalto qualche contraddizione recente del Pd, come quella su «termovalorizzatori, rigassificatori e centrali nucleari, tutte cose che ci servono per evitare in futuro di dipendere ancora da un tubo che porta gas dalla Russia».

A questi possibili punti di attrito, l’ospite risponde con una rivendicazione destinata a essere uno dei temi portanti di questi ultimi giorni. Potete e dovete fidarvi di noi, dice ai titolari di una fetta importante di Pil italiano, perché abbiamo dimostrato di essere persone serie, siamo stati l’unico partito che ha sempre sostenuto Draghi fino all’ultimo. Gli applausi sono tutt’altro che freddi. Anche se molti degli astanti tengono a precisare che sono dedicati a lui, «diligente e preparato come sempre», non al partito che rappresenta.

A ogni spostamento in auto si immerge nei dossier preparati dal portavoce Michele Bellini, suo allievo prelevato dalla facoltà parigina di Sciences Po come altri giovani collaboratori. Ogni tanto prende in mano il telefono e scorre i social, che si cura da solo. Forse il problema di Enrico Letta è che in cuor suo rimane ancora professore, un ruolo esercitato per sette anni in Francia, che lui stesso dichiara di avere molto amato.

«Impariamo come si vota. In questo caso è semplice: basta fare una croce sul simbolo del Pd». L’accoglienza alla Peppone di Sergio Bernini, presidente della cooperativa sociale Geocar, non gli fa cambiare approccio e tono. Nella cascina del Seicento circondata dalla zona industriale di Piacenza, è quasi una festa tra amici. Letta siede al centro di una piccola sala. Un giovane ospite della cooperativa gli consegna un regalo, una paletta di metallo con in cima un fiocco nero. Lo accetta con un sorriso e una emozione evidente. Quando si tratta di congedare il ragazzo, all’improvviso appare impacciato, con il braccio destro che per un istante rimane a mezz’aria. Quasi fosse incerto sul tipo di contatto fisico da usare, se un abbraccio, una carezza, oppure un semplice «ciao» con la mano come infine decide di fare.

Ma per studiare, studia. E altrettanto vale per l’impegno e la pazienza. Alla Loggia dei Militi di Cremona, mentre cerca di raggiungere il palco dove lo attende tra gli altri Carlo Cottarelli, lo ferma un giornalista televisivo. L’operatore dice che bisogna rifare, ci sono problemi. Lui ripete per tre volte la stessa identica frase. Più o meno, il concetto è che in queste due settimane «decisive» si rivolgeranno al 42 per cento di indecisi.

Eppure, sempre più spesso affiora uno spostamento in avanti dell’orizzonte, chissà se voluto oppure frutto dell’inconscio. «Le principali città lombarde sono amministrate da noi» dice sul palco di Cremona. «Cosa aspettiamo a vincere le prossime Regionali?». Lo ripete anche a Brescia e a Bergamo, raggiunta con il bus elettrico. In Lombardia si vota nel 2023. Tra qualche giorno ci sono le elezioni politiche. «Nessun destino è già scritto» ripete la candidata al Senato e sua fedelissima Simona Malpezzi. A patto di crederci per davvero.

9 settembre 2022 (modifica il 9 settembre 2022 | 23:34)

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