La lezione di Anna Politkovskaja Chiamare le cose con il loro nome

di VERA POLITKOVSKAJA

Uscirà a gennaio per Rizzoli il libro della figlia della giornalista russa assassinata nell’ottobre del 2006. «Mia madre ha considerato la sua morte possibile come il prezzo da pagare per la scelta di vita che aveva fatto»

Sono passati sedici anni dall’omicidio di mia madre, la giornalista Anna Politkovskaja. Mia madre è sempre stata vista come una persona scomoda non soltanto dalle autorità russe ma anche da quanti, tra le persone comuni, semplicemente aprono i giornali e leggono gli articoli. Perché la maggioranza della popolazione russa crede purtroppo a tutto quello che viene diffuso dagli schermi dei canali di Stato, un mondo virtuale creato dalla propaganda dove, tutto sommato, ogni cosa pare andare bene. Mentre i problemi che vengono segnalati periodicamente alla popolazione sono soltanto i problemi imputabili invece per gran parte ai Paesi occidentali o, come si usa dire in Russia con un sorrisetto, «all’Occidente in decomposizione».

Nei suoi articoli mia mamma non parlava mai di cose piacevoli; quasi sempre, il suo ruolo era quello di portatrice di cattive notizie. Diceva la verità, nuda e cruda, sui soldati, sui banditi, sulla gente comune finita nel tritacarne della guerra. Parlava di dolore, sangue, morte, corpi lacerati e destini infranti.

Ho cominciato a vivere con il pensiero che un giorno, prima o poi, mia madre avrebbe potuto non esserci più, molto tempo prima che venisse uccisa. «Vivere con il pensiero» non è però l’espressione più corretta. Meglio forse dire che, semplicemente, vivevo, come se la nostra famiglia fosse la più ordinaria del mondo, come se la vita che conducevamo fosse tra le più normali. E, in effetti, fino a un certo punto lo era, sebbene mia madre abbia sempre saputo che la sua sarebbe stata una fine violenta. Tuttavia, la guardava da una prospettiva puramente pratica, addirittura ci scherzava su e, comunque, ne parlava sempre con calma. Era una donna pragmatica, ed era spaventata dalla morte solo nella misura in cui l’avrebbe potuta cogliere all’improvviso, troppo presto, in un momento magari in cui noi, i suoi figli, non ci eravamo ancora «alzati in piedi», non ci eravamo ancora stabilizzati e sistemati nella vita. Con lei però non abbiamo mai parlato della sofferenza che può provocare la perdita dei propri cari, o del suo stesso possibile destino. Nessun discorso pomposo e lacrimoso, nessune mani torte, anche perché con lei sarebbe stato inutile: con lei, l’unica possibile linea d’azione era guardare a testa alta e dritto in faccia il proprio destino.

Eppure, nonostante tutto, non abbiamo potuto evitare l’effetto sorpresa, quando è successo: è stata uccisa nel momento in cui meno me l’aspettavo. Il fatto è che mia madre non si è mai nascosta da nessuno, non ha mai smesso di lavorare, di aiutare le persone; ha sempre considerato la sua morte possibile come il prezzo da pagare per la scelta di vita che aveva fatto e per il percorso professionale che stava percorrendo.

Il 7 ottobre 2006, il giorno in cui mia madre è stata uccisa, avevo ventisei anni e mi stavo preparando a diventare madre a mia volta. Fino a quel momento avevo voluto credere che la popolarità di Anna Politkovskaja in Occidente potesse in qualche modo proteggerla dagli eventuali rischi, da una morte violenta. Mi sbagliavo.

I dittatori hanno bisogno di sacrificare persone per consolidare il proprio potere. L’unico modo per proteggere la libertà è combattere la menzogna e dire la verità. In Russia la libertà manca. Ho deciso di scrivere questo libro per ricordare la lezione che mia madre ci ha lasciato: chiamare sempre tutti con il proprio nome, compresi i dittatori.

Alla Buchmesse il progetto nato in Italia

Sedici anni fa, il 7 ottobre 2006, la giornalista russa Anna Politkovskaja fu assassinata davanti alla porta di casa. Per la prima volta, la figlia Vera, oggi 42enne, fuggita dalla Russia e residente in una località sicura con la famiglia, ha scelto di raccontare la vita e le battaglie per la libertà della madre e il suo dissenso per la politica di Vladimir Putin. Lo farà in un libro, Mia madre l’avrebbe chiamata guerra, scritto con la giornalista Sara Giudice, che uscirà a gennaio per Rizzoli e di cui Vera Politkovskaja racconta la genesi nel documento che pubblichiamo qui sopra. Come ha annunciato Rizzoli, alla Fiera di Francoforte le offerte per l’acquisizione dei diritti internazionali del volume sono giunte da molti Paesi di tutto il mondo: un progetto nato dall’editore italiano che sta ottenendo un grande interesse internazionale. Spiega Massimo Turchetta, direttore generale e publisher di Rizzoli: «La vocazione di Rizzoli è sempre stata per la saggistica internazionale, abbiamo acquisito anche l’autobiografia di Angela Merkel che è un po’ il libro della Fiera di quest’anno. La cosa interessante è che un libro come quello di Vera Politkovskaja è un progetto che parte dall’Italia, in Rizzoli, e ha suscitato interesse in tutto il mondo. Esiste un territorio di progetti di livello mondiale che finora gli italiani hanno battuto solo in parte: ci sono personalità di grande rilievo che sono di enorme interesse per il pubblico internazionale. Gli editori italiani devono esplorare un mercato che copre tutto il mondo, dal Giappone alla Terra del Fuoco». Cita l’esempio di un altro progetto nato in Rizzoli e che alla Fiera di Francoforte ha ottenuto successo, il libro Fratelli, di Santo Versace. E spiega che molto è cambiato in questi anni di pandemia: «La Fiera è una comunità che si ritrova, dopo gli anni del Covid, e quello editoriale è un mondo in cui ancora il rapporto personale ha una rilevanza estrema. Lo ha ancora di più visti i tempi che stiamo vivendo, la pandemia, la guerra, e che hanno cambiato il senso del ritrovarsi». E conclude Turchetta spiegando il senso di questa visione globale dalle prospettive nuove: «Fare editoria, oggi, significa vedere il mondo in modo più empatico». (ida bozzi)

Il memoir

Vera Politkovskaja, oggi 42 enne; aveva 26 anni quando sua madre Anna, giornalista della «Novaya Gazeta», nota per il suo dissenso nei confronti di Vladimir Putin, venne uccisa sulle scale della sua casa di Mosca. Il libro Mia madre l’avrebbe chiamata guerra, di Vera Politkovskaja (in collaborazione con Sara Giudice), uscirà per Rizzoli a gennaio 2023. Racconterà la vita e le battaglie della giornalista assassinata Alla Fiera di Francoforte i diritti internazionali del libro sono stati venduti in vari Paesi del mondo. La giornalista Anna Politkovskaja (1958-2006) su «Novaja Gazeta» e nei libri espresse critiche riguardo alla politica di Putin e alla guerra cecena. Fu assassinata nel 2006 a Mosca. Tra i suoi saggi: Cecenia. Il disonore russo (Fandango, 2003), La Russia di Putin (Adelphi, 2005), Un piccolo angolo d’inferno (Rizzoli, 2008).

19 ottobre 2022 (modifica il 19 ottobre 2022 | 22:58)

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, 2022-10-19 22:22:00, Uscirà a gennaio per Rizzoli il libro della figlia della giornalista russa assassinata nell’ottobre del 2006. «Mia madre ha considerato la sua morte possibile come il prezzo da pagare per la scelta di vita che aveva fatto», VERA POLITKOVSKAJA

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