Nuovo appuntamento con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di memoria.
Abbiamo un estremo bisogno di stabilità e di prevedibilità, di conferma delle nostre aspettative, a causa dell’enorme massa di stimoli da cui siamo costantemente investiti. Questo lo sapevamo per quanto riguardava le nostre operazioni cognitive di ordine superiore, come il giudizio o il ragionamento. La nostra ricerca di stabilità influenza tuttavia perfino la percezione, il processo psichico con cui elaboriamo i dati sensoriali in forme che per noi hanno un qualche significato. Qualcosa, quindi, che dovrebbe offrire gli stessi “mattoni originari” per la costruzione del nostro pensiero più complesso.
Diverse ricerche effettuate in questi ultimi venti anni riportano questo dato: la percezione di un’immagine immediatamente precedente (uno stimolo che viene chiamato, per questo motivo, induttore) condiziona la nostra percezione di una immagine successiva, ad esempio, dal punto di vista della valutazione della numerosità della quantità degli elementi che contiene.
Questo significa che due gruppi di persone a cui viene sottoposta per breve tempo la stessa immagine con lo stesso numero di figure in essa rappresentate (come gruppi di punti bianchi e neri), tendono a stimare non le stesse quantità ma quantità differenti di punti in tale immagine, se sono stati prima sottoposti, rispettivamente, ad altre immagini contenenti un numero di oggetti più ampio o più ridotto. Più ne hanno visti poco prima, più sembrerà loro di vederne subito dopo (e viceversa) nella nuova immagine che hanno davanti.
E’ come se il cervello, anziché affidarsi ad una percezione che funge da oggettivo “registratore di cassa” della realtà esterna, giocasse a fare le parti di un ragioniere un po’ scorretto, il quale, pur di far quadrare la propria partita doppia, falsa i dati in ingresso o li mescola in modo indebito fra di loro.
In effetti, esso opera una sorta di (scorretta) media, mescolando quello che abbiamo percepito prima (dati conferiti dalla memoria) con la percezione in atto. Un bel guaio. Ciò che vediamo è il frutto di un via vai di dati fra il potente passato (memoria) e la irrefrenabile proiezione verso il futuro (aspettative), con il malcapitato presente (visione) che si trova schiacciato, come un manzoniano vaso di coccio fra due prepotenti (e onnipresenti) vasi di ferro.
A questo punto, viene da chiedersi di quale aspetto del nostro pensiero possiamo fidarci, se anche i suoi mattoni naturali non sono affatto al di sopra di ogni sospetto. In effetti, questo della dipendenza seriale è uno dei nostri tanti bias, cioè qualcosa che ci induce costantemente in errore (è onnipresente nella visione), poiché rappresenta una forma di condizionamento inconscio (da priming) della nostra stessa capacità di percepire i dati del mondo esterno, interpretati come più simili all’immediato passato di quanto non siano realmente.
Come se non bastassero le già ben note illusioni ottiche, questo è un altro scherzetto che ci tira la nostra percezione. Ma, perché ci siamo evoluti in questo modo? In effetti, così ci guadagniamo in stabilità, in quanto, piuttosto che percepire il caos di frammenti informativi continuamente discordanti, tendiamo a percepire (comunque sbagliando) pacchetti di informazioni più simili fra loro: uno dei tanti giochetti con cui probabilmente riusciamo ad evitare di mandare in tilt l’intera baracca mentale.
Ciò però ha un costo importante per noi e spiega ulteriormente la tendenziale rigidità degli schemi cognitivi con cui valutiamo le situazioni in cui ci troviamo. Se perfino la percezione è influenzata dai nostri schemi mentali, si capisce quanto sia difficile correggere o perfino smussare convinzioni, pregiudizi e credenze radicate. Un aspetto di autoconsapevolezza su cui non sarebbe male riflettere con gli studenti.
In effetti, gli esseri umani tendiamo a preferire la routine e la prevedibilità al cambiamento. E la meraviglia la apprezziamo, certo, ma se non modifica troppo gli schemi cognitivi con cui siamo abituati a gestire le nostre decisioni più frequenti e rilevanti. Altrimenti, non è più vissuta come meraviglia ma come spiacevole turbamento, come entropico aumento di disordine nella nostra rappresentazione della realtà.
Sta di fatto che il tradizionale L’ho visto proprio coi miei occhi! potrebbe cominciare a convivere con un più inquietante L’ho visto proprio con la mia memoria!
v.: Fornaciai M., Togoli I. and Bueti D.. Perceptual History Biases Are Predicted by Early Visual-Evoked Activity. J. Neurosci 2023; 10.1523/JNEUROSCI.1451-22.2023 (https://doi.org/10.1523/JNEUROSCI.1451-22.2023)
v.: Pascucci, D., Tanrikulu, Ö. D., Ozkirli, A., Houborg, C., Ceylan, G., Zerr, P., Rafiei, M., & Kristjánsson, Á. (2023). Serial dependence in visual perception: A review. Journal of Vision, 23(1):9, 1–23 (https://doi.org/10.1167/jov.23.1.9)
Il presente articolo fa parte della rubrica Scienze per la Scuola, curata da Giovanni Morello. Vedi anche gli altri articoli pubblicati:
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