editoriale Mezzogiorno, 28 ottobre 2022 – 08:32 di Enzo d’Errico Più che una manifestazione per la pace, quella di oggi è una chiamata alle armi. Fatta in nome di un potere personale a caccia di rivincite dopo il disastro elettorale di un mese fa. Vincenzo De Luca può chiamare in piazza il Circo Togni, sventolare l’adesione della Sacra Famiglia con il bue e l’asinello, resuscitare per ventiquattr’ore la defunta Eav grazie ai bus noleggiati, ma non sarà mai in grado di sfuggire alla verità. Che è chiara, limpida, evidente a chi ha ancora occhi sgombri per guardare e cervello buono per pensare: con questa iniziativa, la Campania modella il suo profilo su quello delle «democrature» orientali, regimi autoritari mascherati dietro una parvenza di libertà. Mai prima d’ora, infatti, si era vista un’istituzione pubblica organizzare un’iniziativa che definire «politica» arreca torto alla residua nobiltà di questa parola. Mai prima d’ora qualcuno, eletto per rappresentare l’intera cittadinanza e non una parte sola, aveva finanziato con ben 300 mila euro – soldi che appartengono a tutti, non al governatore e i suoi compari – una prova di forza che ha, come unico scopo, l’affermazione del proprio dominio sul territorio. Da oggi in poi, chiunque sarà autorizzato a storcere per fini privati l’istituzione che presiede e a spendere il denaro pubblico per rinsaldare la sua egemonia. Potranno farlo i governi regionali del centrodestra, casomai allestendo e foraggiando cortei contro l’aborto o in difesa della famiglia tradizionale. Potranno farlo i leghisti che amministrano il nord est, sfilando in nome dell’autonomia differenziata. E nessuno potrà obiettare che le istituzioni, con i fondi statali ad esse affidati, devono essere al di sopra delle parti perché De Luca ha già spostato i confini, mischiando politica e propaganda come nei peggiori regimi autoritari. Da giorni, infatti, raccontiamo storie che ricordano le adunate dei balilla fascisti o dei pionieri comunisti: pullman presi in affitto da Palazzo Santa Lucia, tramite l’Eav (sì, proprio l’ente regionale che trasforma le giornate dei pendolari in trials di sopravvivenza), per andare a prendere i bambini nelle scuole e portarli in piazza; il prontuario che prescrive le frasi da scrivere sugli striscioni, le bandiere autorizzate e gli slogan ammessi. Manca soltanto la divisa. Ma prima o poi arriverà anche quella. Sgomenta vedere a cosa si è ridotta una sinistra imbelle, capace soltanto di gridare all’inesistente pericolo fascista senza far caso agli avanzati esperimenti di autocrazia compiuti all’ombra del suo vessillo. Sgomenta vedere che perfino la parte «nobile» di Napoli – dal sindaco Manfredi all’Università, da sindacati come Cgil e Uil ad associazioni significative del Terzo settore – si è piegata al volere dello zar salernitano pur di evitare il conflitto, termine che nella Storia è sempre stato la miccia del progresso e che oggi, invece, viene considerato il male assoluto, quasi che l’accondiscendenza sia diventata l’unico modo di stare al mondo. Soltanto la Cisl e l’Unione Industriali sono state capaci di pronunciare un no secco, inequivocabile. La realtà, spiace dirlo, è che il tessuto connettivo della città si sta irrimediabilmente slabbrando, la nostra stessa identità culturale sembra ormai ridotta a un gadget per turisti mordi e fuggi e in questo vuoto – dove mancano l’immaginario e il reale, il senso di comunità e la pulizia delle strade – cresce la malerba dell’autoritarismo in formato terzo millennio. Qualcuno obietterà: manifestiamo per la pace, un valore ineludibile. Potrei rispondere: e ci mancava pure che lo facevate per la guerra… senza dimenticare, poi, che la pace è stata spesso il pretesto per le oscene adunate del regime sovietico. Tuttavia preferisco rivolgere a mia volta una domanda: d’accordo, ma per quale pace? Quella che prevede la resa dell’Ucraina all’invasore russo? Quella che, casomai, assegna definitivamente a Putin le repubbliche del Donbass e la Crimea? Boh, a leggere i comunicati di Palazzo Santa Lucia si resta annebbiati dal fumo di parole messe in fila un po’ a casaccio. Discutiamo, al contrario, di cose terribilmente serie, drammatiche, complesse che non possono essere affrontate con il grottesco cipiglio di un potestà al declino, votato unicamente a consolidare la sua traballante rendita di posizione. Anche perché, parliamoci chiaro, se esiste uno che la pace nemmeno sa dove sta di casa, costui è Vincenzo De Luca che nella violenza verbale, nell’insulto a piede libero, nel familismo e nella vendetta contro gli avversari ha forgiato il suo potere. Cosa l’ha indotto stavolta a spingersi tanto in là, forzando oltremodo la macchina di un’amministrazione ormai asservita ai suoi capricci, alimentando sotto traccia il timore di ritorsioni che da sempre incute? Affiorano due ipotesi. La prima: costruire, mediante la manifestazione, un’imponente arma di distrazione di massa che riuscisse a cancellare l’onta del massacro elettorale. La seconda: mettere in campo il nucleo originario dell’esercito con il quale avrebbe intenzione di conquistare il Pd nazionale o, nel peggiore dei casi, di trattare condizioni favorevoli per sé e per i suoi nel nuovo gruppo dirigente. Si tratta di obiettivi per certi versi anche legittimi, purché non perseguiti storcendo le funzioni istituzionali e utilizzando per fini personali il denaro pubblico. Ciò che invece appare politicamente spregevole è la strumentalizzazione di una tragedia epocale per il proprio tornaconto, l’abuso truffaldino di una ricorrenza drammatica come il centenario della marcia su Roma per inscenare un raduno propagandistico stile Orban. La libertà non sale sui bus noleggiati da un governatore con i soldi degli altri. La libertà va in piazza da sola. Quando e come vuole. La newsletter del Corriere del MezzogiornoSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 28 ottobre 2022 | 08:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-28 10:47:00, editoriale Mezzogiorno, 28 ottobre 2022 – 08:32 di Enzo d’Errico Più che una manifestazione per la pace, quella di oggi è una chiamata alle armi. Fatta in nome di un potere personale a caccia di rivincite dopo il disastro elettorale di un mese fa. Vincenzo De Luca può chiamare in piazza il Circo Togni, sventolare l’adesione della Sacra Famiglia con il bue e l’asinello, resuscitare per ventiquattr’ore la defunta Eav grazie ai bus noleggiati, ma non sarà mai in grado di sfuggire alla verità. Che è chiara, limpida, evidente a chi ha ancora occhi sgombri per guardare e cervello buono per pensare: con questa iniziativa, la Campania modella il suo profilo su quello delle «democrature» orientali, regimi autoritari mascherati dietro una parvenza di libertà. Mai prima d’ora, infatti, si era vista un’istituzione pubblica organizzare un’iniziativa che definire «politica» arreca torto alla residua nobiltà di questa parola. Mai prima d’ora qualcuno, eletto per rappresentare l’intera cittadinanza e non una parte sola, aveva finanziato con ben 300 mila euro – soldi che appartengono a tutti, non al governatore e i suoi compari – una prova di forza che ha, come unico scopo, l’affermazione del proprio dominio sul territorio. Da oggi in poi, chiunque sarà autorizzato a storcere per fini privati l’istituzione che presiede e a spendere il denaro pubblico per rinsaldare la sua egemonia. Potranno farlo i governi regionali del centrodestra, casomai allestendo e foraggiando cortei contro l’aborto o in difesa della famiglia tradizionale. Potranno farlo i leghisti che amministrano il nord est, sfilando in nome dell’autonomia differenziata. E nessuno potrà obiettare che le istituzioni, con i fondi statali ad esse affidati, devono essere al di sopra delle parti perché De Luca ha già spostato i confini, mischiando politica e propaganda come nei peggiori regimi autoritari. Da giorni, infatti, raccontiamo storie che ricordano le adunate dei balilla fascisti o dei pionieri comunisti: pullman presi in affitto da Palazzo Santa Lucia, tramite l’Eav (sì, proprio l’ente regionale che trasforma le giornate dei pendolari in trials di sopravvivenza), per andare a prendere i bambini nelle scuole e portarli in piazza; il prontuario che prescrive le frasi da scrivere sugli striscioni, le bandiere autorizzate e gli slogan ammessi. Manca soltanto la divisa. Ma prima o poi arriverà anche quella. Sgomenta vedere a cosa si è ridotta una sinistra imbelle, capace soltanto di gridare all’inesistente pericolo fascista senza far caso agli avanzati esperimenti di autocrazia compiuti all’ombra del suo vessillo. Sgomenta vedere che perfino la parte «nobile» di Napoli – dal sindaco Manfredi all’Università, da sindacati come Cgil e Uil ad associazioni significative del Terzo settore – si è piegata al volere dello zar salernitano pur di evitare il conflitto, termine che nella Storia è sempre stato la miccia del progresso e che oggi, invece, viene considerato il male assoluto, quasi che l’accondiscendenza sia diventata l’unico modo di stare al mondo. Soltanto la Cisl e l’Unione Industriali sono state capaci di pronunciare un no secco, inequivocabile. La realtà, spiace dirlo, è che il tessuto connettivo della città si sta irrimediabilmente slabbrando, la nostra stessa identità culturale sembra ormai ridotta a un gadget per turisti mordi e fuggi e in questo vuoto – dove mancano l’immaginario e il reale, il senso di comunità e la pulizia delle strade – cresce la malerba dell’autoritarismo in formato terzo millennio. Qualcuno obietterà: manifestiamo per la pace, un valore ineludibile. Potrei rispondere: e ci mancava pure che lo facevate per la guerra… senza dimenticare, poi, che la pace è stata spesso il pretesto per le oscene adunate del regime sovietico. Tuttavia preferisco rivolgere a mia volta una domanda: d’accordo, ma per quale pace? Quella che prevede la resa dell’Ucraina all’invasore russo? Quella che, casomai, assegna definitivamente a Putin le repubbliche del Donbass e la Crimea? Boh, a leggere i comunicati di Palazzo Santa Lucia si resta annebbiati dal fumo di parole messe in fila un po’ a casaccio. Discutiamo, al contrario, di cose terribilmente serie, drammatiche, complesse che non possono essere affrontate con il grottesco cipiglio di un potestà al declino, votato unicamente a consolidare la sua traballante rendita di posizione. Anche perché, parliamoci chiaro, se esiste uno che la pace nemmeno sa dove sta di casa, costui è Vincenzo De Luca che nella violenza verbale, nell’insulto a piede libero, nel familismo e nella vendetta contro gli avversari ha forgiato il suo potere. Cosa l’ha indotto stavolta a spingersi tanto in là, forzando oltremodo la macchina di un’amministrazione ormai asservita ai suoi capricci, alimentando sotto traccia il timore di ritorsioni che da sempre incute? Affiorano due ipotesi. La prima: costruire, mediante la manifestazione, un’imponente arma di distrazione di massa che riuscisse a cancellare l’onta del massacro elettorale. La seconda: mettere in campo il nucleo originario dell’esercito con il quale avrebbe intenzione di conquistare il Pd nazionale o, nel peggiore dei casi, di trattare condizioni favorevoli per sé e per i suoi nel nuovo gruppo dirigente. Si tratta di obiettivi per certi versi anche legittimi, purché non perseguiti storcendo le funzioni istituzionali e utilizzando per fini personali il denaro pubblico. Ciò che invece appare politicamente spregevole è la strumentalizzazione di una tragedia epocale per il proprio tornaconto, l’abuso truffaldino di una ricorrenza drammatica come il centenario della marcia su Roma per inscenare un raduno propagandistico stile Orban. La libertà non sale sui bus noleggiati da un governatore con i soldi degli altri. La libertà va in piazza da sola. Quando e come vuole. La newsletter del Corriere del MezzogiornoSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 28 ottobre 2022 | 08:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,