L’inadeguatezza della politica

Mezzogiorno, 24 aprile 2022 – 08:46 di Mario Rusciano L’assenza d’un’autentica classe dirigente politica e burocratica è la più complicata questione italiana, l’ostacolo maggiore del sistema democratico, il cui andamento non è fisiologico. Se è innegabile la legittimità formale del Governo in carica, è altrettanto innegabile la patologia dell’attuale dialettica politica. Il Governo è sostenuto da forze conflittuali e si regge in sostanza sul prestigio del mediatore Draghi e sull’autorevolezza di Mattarella che l’ha nominato. Più che «governo d’unità nazionale» è «governo dell’emergenza»: all’inizio sanitaria, causa pandemia, poi economica. Specie quando vi s’è aggiunta la guerra. L’inadeguatezza della politica ha imposto la necessità d’affidare la guida del Paese a un tecnico gradito all’Ue. Con questa non si scherza: i finanziamenti europei del Pnrr vanno gestiti con competenza e oculata razionalità. È contraltare all’insufficienza della politica l’inefficienza delle burocrazie. Responsabili, per esempio, dei ritardi nella realizzazione d’importanti opere infrastrutturali per salvaguardare territorio e ambiente o per ricostruire le zone terremotate o per esigenze organizzative d’altro genere. Senza dire dei disservizi nella sanità, nei trasporti, nella scuola, nell’università, nella ricerca, nei beni culturali, nell’assistenza sociale ecc.. In più d’uno di questi casi l’incapacità degli apparati burocratici ha comportato la necessità, come per la politica, di ricorrere a Commissari-tecnici (per i vari terremoti o per particolari opere pubbliche; alla pandemia s’è messo addirittura un Commissario d’estrazione militare). C’è differenza tra l’Italia e altri paesi europei: forse soffrono anch’essi della mediocrità della classe politica, ma in compenso hanno una classe burocratica competente ed efficiente. È quasi naturale che, se dal piano nazionale si va al piano locale, la situazione peggiora nel Mezzogiorno, Campania in testa, dove domina l’arretratezza, vissuta dai cittadini con fatale rassegnazione. Allucinante il Rapporto Istat cui ha dedicato ampio spazio il Corriere del Mezzogiorno di venerdì scorso, col dossier di Paolo Grassi e l’editoriale del Direttore d’Errico. Ancora sorprende lo spaventoso calo demografico e la fuga di tanti giovani — ora persino subito dopo l’adolescenza — che scappano dal Sud? Qui, oltre alla vita difficile, è impossibile promettere un futuro di lavoro stabile e dignitoso alle nuove generazioni, mentre aumenta il rischio della conflittualità sociale. A cosa imputare la responsabilità di tale grave situazione — divenuta nel Mezzogiorno intollerabile — se non all’assenza di una classe dirigente politica e amministrativa degna di questo nome? Capace cioè di progettare e realizzare obiettivi d’interesse generale? Si dirà che le cause vengono da lontano, alcune antiche altre recenti. Ma senza dubbio lo si deve alla progressiva scomparsa, da almeno trent’anni, delle tradizionali «agenzie formative» per la crisi delle famiglie, della scuola, dei corpi intermedi. Resistono a malapena organizzazioni laiche e cattoliche del terzo settore. Non è un caso che per la quarta volta, dai primi anni ’90 del ‘900, sono stati chiamati al capezzale del Governo italiano tecnici estranei alla politica e provenienti dall’economia. Soprattutto dalla Banca d’Italia (Ciampi, Dini, Monti, Draghi), forse l’unica grande fucina delle competenze, specie economico-finanziarie, per fronteggiare situazioni d’emergenza. Impossibile trovare politici competenti o tecnici politicamente sensibili? Sì, è impossibile! Perché un’autentica classe dirigente politica si forma col tempo e in tutt’altro modo, cioè in partiti strutturati secondo ideali che attraggano i cittadini con proposte concrete d’azione politica ispirata all’interesse generale della collettività. Il che richiede elevate competenze assieme a un alto grado di responsabilità sociale. Quindi competenze economiche e attenzione ai valori della Costituzione frutto della Resistenza al nazifascismo e della Liberazione (da celebrare domani 25 aprile): libertà; eguaglianza; giustizia sociale; etica pubblica; pluralismo; dignità del lavoro; partecipazione democratica. Ma se al posto di partiti strutturati la scena politica è occupata da finti partiti, senza ideali o addirittura nati dall’antipolitica, come può formarsi un’autentica classe dirigente? Sta di fatto che i partiti attuali sono vuoti contenitori di gruppi autoreferenziali, aggregati da leader improvvisati e narcisisti o da oligarchie tese a drogare la democrazia per conquistare il potere (ricorrendo, se del caso, financo alla corruzione). Negli ultimi trent’anni gl’italiani, nella cosiddetta «seconda Repubblica», hanno vissuto di tante illusioni: tra destra, centro e sinistra. Dapprima l’illusione che si potesse governare l’Italia come un’azienda (Berlusconi) e con una forza nordista (la Lega) nata per spaccare il Paese. Prevale poi il M5S, né di destra né di sinistra ma antisistema, per cui «uno vale uno»: il trionfo dell’incompetenza al potere! C’è voluta un’intera legislatura per far «crescere» un po’ i cinquestelle, neanche tutti sicché molti si sono sparpagliati, privi d’identità. Adesso vuole governare FdI, un partito sovranista e antieuropeista: proprio quando i paesi europei — Italia in testa — senza l’Unione finirebbero peggio che ai margini della geopolitica. A sinistra domina la divisione delle forze, nessuna delle quali (cattolici-sociali ed ex-comunisti) ha realmente fatto i conti col passato per rifondare un comune terreno progressista. Infine cespugli e forze vaganti di difficile collocazione ideale e il partito — maggioritario? — degli astenuti. In un simile contesto, entrati ormai in campagna elettorale a solo un anno dalle elezioni, potrà mai nascere una vera classe dirigente? 24 aprile 2022 | 08:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-24 06:47:00, Mezzogiorno, 24 aprile 2022 – 08:46 di Mario Rusciano L’assenza d’un’autentica classe dirigente politica e burocratica è la più complicata questione italiana, l’ostacolo maggiore del sistema democratico, il cui andamento non è fisiologico. Se è innegabile la legittimità formale del Governo in carica, è altrettanto innegabile la patologia dell’attuale dialettica politica. Il Governo è sostenuto da forze conflittuali e si regge in sostanza sul prestigio del mediatore Draghi e sull’autorevolezza di Mattarella che l’ha nominato. Più che «governo d’unità nazionale» è «governo dell’emergenza»: all’inizio sanitaria, causa pandemia, poi economica. Specie quando vi s’è aggiunta la guerra. L’inadeguatezza della politica ha imposto la necessità d’affidare la guida del Paese a un tecnico gradito all’Ue. Con questa non si scherza: i finanziamenti europei del Pnrr vanno gestiti con competenza e oculata razionalità. È contraltare all’insufficienza della politica l’inefficienza delle burocrazie. Responsabili, per esempio, dei ritardi nella realizzazione d’importanti opere infrastrutturali per salvaguardare territorio e ambiente o per ricostruire le zone terremotate o per esigenze organizzative d’altro genere. Senza dire dei disservizi nella sanità, nei trasporti, nella scuola, nell’università, nella ricerca, nei beni culturali, nell’assistenza sociale ecc.. In più d’uno di questi casi l’incapacità degli apparati burocratici ha comportato la necessità, come per la politica, di ricorrere a Commissari-tecnici (per i vari terremoti o per particolari opere pubbliche; alla pandemia s’è messo addirittura un Commissario d’estrazione militare). C’è differenza tra l’Italia e altri paesi europei: forse soffrono anch’essi della mediocrità della classe politica, ma in compenso hanno una classe burocratica competente ed efficiente. È quasi naturale che, se dal piano nazionale si va al piano locale, la situazione peggiora nel Mezzogiorno, Campania in testa, dove domina l’arretratezza, vissuta dai cittadini con fatale rassegnazione. Allucinante il Rapporto Istat cui ha dedicato ampio spazio il Corriere del Mezzogiorno di venerdì scorso, col dossier di Paolo Grassi e l’editoriale del Direttore d’Errico. Ancora sorprende lo spaventoso calo demografico e la fuga di tanti giovani — ora persino subito dopo l’adolescenza — che scappano dal Sud? Qui, oltre alla vita difficile, è impossibile promettere un futuro di lavoro stabile e dignitoso alle nuove generazioni, mentre aumenta il rischio della conflittualità sociale. A cosa imputare la responsabilità di tale grave situazione — divenuta nel Mezzogiorno intollerabile — se non all’assenza di una classe dirigente politica e amministrativa degna di questo nome? Capace cioè di progettare e realizzare obiettivi d’interesse generale? Si dirà che le cause vengono da lontano, alcune antiche altre recenti. Ma senza dubbio lo si deve alla progressiva scomparsa, da almeno trent’anni, delle tradizionali «agenzie formative» per la crisi delle famiglie, della scuola, dei corpi intermedi. Resistono a malapena organizzazioni laiche e cattoliche del terzo settore. Non è un caso che per la quarta volta, dai primi anni ’90 del ‘900, sono stati chiamati al capezzale del Governo italiano tecnici estranei alla politica e provenienti dall’economia. Soprattutto dalla Banca d’Italia (Ciampi, Dini, Monti, Draghi), forse l’unica grande fucina delle competenze, specie economico-finanziarie, per fronteggiare situazioni d’emergenza. Impossibile trovare politici competenti o tecnici politicamente sensibili? Sì, è impossibile! Perché un’autentica classe dirigente politica si forma col tempo e in tutt’altro modo, cioè in partiti strutturati secondo ideali che attraggano i cittadini con proposte concrete d’azione politica ispirata all’interesse generale della collettività. Il che richiede elevate competenze assieme a un alto grado di responsabilità sociale. Quindi competenze economiche e attenzione ai valori della Costituzione frutto della Resistenza al nazifascismo e della Liberazione (da celebrare domani 25 aprile): libertà; eguaglianza; giustizia sociale; etica pubblica; pluralismo; dignità del lavoro; partecipazione democratica. Ma se al posto di partiti strutturati la scena politica è occupata da finti partiti, senza ideali o addirittura nati dall’antipolitica, come può formarsi un’autentica classe dirigente? Sta di fatto che i partiti attuali sono vuoti contenitori di gruppi autoreferenziali, aggregati da leader improvvisati e narcisisti o da oligarchie tese a drogare la democrazia per conquistare il potere (ricorrendo, se del caso, financo alla corruzione). Negli ultimi trent’anni gl’italiani, nella cosiddetta «seconda Repubblica», hanno vissuto di tante illusioni: tra destra, centro e sinistra. Dapprima l’illusione che si potesse governare l’Italia come un’azienda (Berlusconi) e con una forza nordista (la Lega) nata per spaccare il Paese. Prevale poi il M5S, né di destra né di sinistra ma antisistema, per cui «uno vale uno»: il trionfo dell’incompetenza al potere! C’è voluta un’intera legislatura per far «crescere» un po’ i cinquestelle, neanche tutti sicché molti si sono sparpagliati, privi d’identità. Adesso vuole governare FdI, un partito sovranista e antieuropeista: proprio quando i paesi europei — Italia in testa — senza l’Unione finirebbero peggio che ai margini della geopolitica. A sinistra domina la divisione delle forze, nessuna delle quali (cattolici-sociali ed ex-comunisti) ha realmente fatto i conti col passato per rifondare un comune terreno progressista. Infine cespugli e forze vaganti di difficile collocazione ideale e il partito — maggioritario? — degli astenuti. In un simile contesto, entrati ormai in campagna elettorale a solo un anno dalle elezioni, potrà mai nascere una vera classe dirigente? 24 aprile 2022 | 08:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Pietro Guerra

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