Alla lunga la difficile vita professionale del docente sfocia spesso in crisi interiori e forme di depressione: ne è convinto il medico Vittorio Lodolo D’Oria, tra i massimi esperti di burnout tra la categoria degli insegnanti. In un articolo pubblicato su Lab Parlamento, il medico ha voluto commentare il suicidio del docente che si è lanciato dal terzo piano della scuola per geometri di Licata.
“Una vita spezzata deve per forza avere una spiegazione, non può cadere nell’oblio che tutto ingoia”, scrive Lodolo D’Oria commentando il suicidio “dell’uomo, quarantasettenne, affetto da depressione, appena assegnato alla biblioteca dopo il demansionamento decretato in Collegio Medico di Verifica (CMV), (forse) ai ferri corti col proprio dirigente scolastico”.
Il fenomeno, sostiene, non è solo italiano: “Francia (2005) e Regno Unito (2009) hanno constatato che, tra tutte le categorie professionali, il rischio suicidario più alto risiede proprio tra gli insegnanti. L’Italia al contrario non ha mai prodotto dati nazionali in merito”.
“I pochi studi scientifici pubblicati in Italia ci raccontano che l’usura psicofisica degli insegnanti è così alta da: a) superare di gran lunga quella delle altre professioni (La Medicina del Lavoro N. 5/04); b) essere presente in tutti i Paesi a prescindere dal sistema scolastico adottato; c) essere identica in tutti gli ordini dalla scuola dell’infanzia alla superiore di II grado; d) abbattere la pur cospicua differenza tra i generi circa l’esposizione alla patologia ansioso-depressiva (che fisiologicamente, per gli ormoni della fertilità pone le donne a un rischio più che doppio rispetto agli uomini)”.
Per quel che riguarda l’insegnante di Licata, “la decisione di porre fine alla propria vita sembra essere stata assunta dal docente non appena decretato il suo demansionamento in CMV con l’assegnazione alla biblioteca. Tuttavia, l’Accertamento Medico d’Ufficio (AMU) è stato richiesto dal dirigente al solo scopo di tutelare la salute del lavoratore”, quindi “ci troviamo di fronte a una corretta decisione del DS che si è rivelata drammatica proprio per la mancata formazione”.
Secondo Lodolo D’Oria “la professione dell’insegnante ha una peculiarità unica rispetto a tutte le altre: la tipologia del rapporto con l’utenza. Non esiste infatti altra professione in cui il rapporto con l’utenza, e per giunta la medesima utenza, avvenga in maniera così insistita, reiterata e protratta per tutti i giorni, più ore al giorno, 5 giorni alla settimana, 9 mesi all’anno, per cicli di 3/5 anni”.
Ed “in questa particolarissima tipologia di rapporto, per di più, l’insegnante invecchia, mentre lo studente (col rinnovarsi dei cicli di studio) ringiovanisce: un ‘effetto Dorian Gray’ capovolto”.
Il punto, sostiene il medico, è che “da parte delle Istituzioni italiane, purtroppo, non c’è ancora nessun riconoscimento ufficiale della situazione di profondo disagio psicofisico, né delle malattie professionali. Ne discende la contestuale mancanza di un piano di prevenzione nonostante il DL 81/08”.
Con l’aggravante che “di fronte a questa realtà di totale ignoranza in materia di malattie professionali sono state altresì attuate quattro riforme previdenziali “al buio” (Amato, Dini, Maroni, Monti/Fornero) nel giro di 20 anni (1992-2012) passando da un estremo all’altro (abolizione delle baby-pensioni e quiescenza a 67 anni)”.
Si suggerisce pertanto di seguito una ricetta semplice, e a basso costo, a base di: ricerca clinica, formazione personale (docenti e DS), prevenzione nel Documento di Valutazione del Rischio e supporto Ds.
Solo così facendo, conclude il medico esporto di stress da lavoro a scuola, “potremo dare un senso alla morte, anzi al sacrificio, dei tanti ‘professori di Licata’ che si spengono inutilmente nel silenzio generale. Che questo non resti l’ennesimo ‘milite ignoto’ della scuola”, conclude Lodolo D’Oria.
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