Lo sfogo della mamma Emma per i troppi compiti, ai docenti: Vi chiedo scusa, ma fatemi spiegare il mio stato danimo. Le famiglie hanno bisogno di un bonus doposcuola. [INTERVISTA]

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La mamma che ha inveito contro gli insegnanti per i compiti del figlio ammette il suo errore. Abbiamo raccolto in questa intervista le argomentazioni di Emma Guiducci, 39 anni, mamma palermitana di due bambini di 6 e 7 anni.

Sono quelle di una persona scossa per il clamore mediatico seguito al suo video e sinceramente dispiaciuta per il senso di offesa che ha suscitato in tanti insegnanti che non hanno gradito le parole, il tono e il contenuto del suo intervento su Tik Tok. Su questa piattaforma nei giorni scorsi la donna si era lasciata andare in frasi dalle quali ha prontamente preso le distanze perché non le sente proprie.

La reazione impulsiva era stata indotta dall’ennesimo pianto del suo bambino di fronte alla difficoltà nel fare i compiti a casa, in un momento in cui era momentaneamente nervosa per motivi personali e in cui era anche con il telefono cellulare in mano. Cosa che l’ha spinta a produrre un breve video nel quale inizialmente si intravede il bambino che piange per poi proseguire in un intervento nel quale espone in maniera poco rispettosa le sue ragioni. Il fatto, esecrabile, va dunque inquadrato e interpretato in maniera compiuta.

Fatta salva la scorrettezza di frasi che sicuramente non ripeterà più, il caso rilancia il problema dei compiti a casa, specie per i bambini della primaria che fanno il tempo pieno e che spesso anche dopo l’uscita da scuola sono chiamati a riprendere l’attività scolastica a casa. Non è il caso della signora i cui figli frequentano il tempo normale, ma la donna tiene a testimoniare che tante sue amiche che invece hanno i figli piccoli al tempo pieno, lamentano con lei il fatto che i loro bambini sono costretti durante la settimana, una volta usciti da scuola alle 16 dopo otto ore di scuola, a fare i compiti una volta tornati a casa, e al netto degli impegni del fine settimana.

Il caso della signora Guiducci è utile dunque a riaprire il dibattito sui compiti a casa, un tema antico, sul quale vale sempre la pena riflettere. Proprio ieri alcuni licei nella parte tedesca della Svizzera hanno deciso di ridurre o addirittura abolire i compiti a casa, cosa che ovviamente ha subito sollevato polemiche. E’ la stessa Emma Guiducci a porsi una domanda in questa intervista: “Se un tempo avevamo il maestro unico e oggi invece abbiamo quattro maestri – si chiede lei – sono cambiati i bambini, sono cambiati i docenti o è cambiato il metodo? C’è un sovraccarico perché i docenti hanno dei programmi più ampi? Come mai non riescono a far concludere i compiti a scuola?”

Signora Emma Guiducci, lei si è resa conto di avere sbagliato. E’ così?

“Assolutamente sì. Ho voluto più volte porgere le mie scuse e sento il dovere di continuare a porgerle per la parola utilizzata, schifo, dalla quale mi dissocio, anche perché non la penso, nonostante sia consapevole che il marcio ci sia in tutte le categorie di lavoratori”.

A chi vuole chiedere scusa?

“A tutti coloro che si sono sentiti offesi come categoria. E in primis ai maestri di mio figlio: saranno rimasti scioccati, e questo mi dispiace, perché abbiamo un bel rapporto. Ho sempre avuto modo di parlare con loro, su Classroom e di persona. Abbiamo inoltre un insegnante di matematica che ha un numero di telefono dedicato a noi genitori e ogni volta che inviamo un messaggio risponde prontamente”.

Che tipo di messaggi vi scambiate?

“Ad esempio: maestro, non riesco a spiegare a mio figlio questa operazione, oppure in merito a un esercizio sul libro, oppure per il fatto che non sia stata chiara la spiegazione. In certi casi, di fronte a una consegna, io dico una cosa, mio figlio ne dice un’altra, poi magari aveva ragione mio figlio. Quindi c’è davvero massima disponibilità”.

Vi siete dunque sentiti?

“No. C’è stato un silenzio da entrambe le parti. Da parte mia, ho porto le scuse pubbliche. Ho chiesto alla rappresentante dei genitori di invitare i maestri a guardare un programma televisivo pomeridiano dove sono stata intervistata, poiché volevo che vedessero le mie scuse in pubblico. Avevo parlato in pubblico? E dunque mi sembrava doveroso farlo davanti a tutti”.

Le scuse per quelle parole le ha esplicitate e noi crediamo alla genuinità delle medesime. E tuttavia lei con il suo gesto, sia pure avventato, ha rilanciato un problema concreto, quello dei compiti a casa, argomento molto dibattuto.

“C’è stato lo sfogo di una mamma soggetta a una pressione, a una responsabilità, a una momentanea impulsività, dovuta, mi creda, a un nervosismo dovuto a motivi personali del momento, che mi ha portato a commettere un errore. Però, al di là dell’offesa, che non ritengo tale perché davvero non era una cosa voluta e dieci minuti dopo neanche ci avrei pensato a pronunciare quelle frasi, resta il fatto che alla base si riscontra una problematica sentita. Mi sono infatti ritrovata subito dopo centinaia di messaggi privati e commenti sui social di genitori che non hanno avuto un solo episodio di sconforto, come quello che ho avuto io davanti al pianto del mio bambino, ma che vivono invece quotidianamente questi momenti oppositivi dei figli nei confronti dei compiti.

Quindi mi sono immedesimata nello sconforto di tanti, perché di fondo io sono una persona buona e altruista. Ma di fondo il problema, ripeto, era che mi sentivo nervosa per i fatti miei e il pianto del bambino per i compiti mi ha portato ad avere questo sfogo nei confronti dei maestri e a inveire nei confronti della categoria. A tutti può capitare di perdere le staffe per un fatto che poco dopo non avresti minimamente pensato di compiere. Questo vale pure in ambito sentimentale e sul piano lavorativo, ma anche tra amici e con le persone di riferimento: a chi non è mai capitato? Lungi peraltro da me invitare chi mi vede sui social a pensare che per farsi sentire occorra urlare e sbraitare come purtroppo ho fatto io in questa occasione”.

Ha anche fatto vedere il bambino che piange

“E’ stata una disattenzione ma è stato dopotutto quello – cioè il pianto – il motivo che mi ha portato a regire in quel modo. E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, se lui non avesse pianto non sarebbe successo. Inoltre esorto qui tutti a non farlo, cioè a non riprendere con la telecamera i bambini che piangono perché è una cosa da non fare. Inconsciamente volevo far capire che c’è stata una goccia che ha fatto traboccare il vaso, non volevo strumentalizzare il bambino, volevo solo farlo capire ma purtroppo l’ho fatto maldestramente ma il motivo era quello.

Vorrei tanto che ci si immedesimasse. Il problema ce l’ha chi è in casa, come me, ma vorrei che si pensasse anche e soprattutto a chi va a lavorare e torna a casa stanca e si ritrova alle 19 a dover aiutare i bambini a fare i compiti quando alle 21 vorresti essere a letto a dormire. Aggiungiamo anche lo stress accumulato dai bambini per le restrizioni indotte dalla pandemia che certo non hanno aiutato a rasserenare il clima di molte famiglie e i bambini hanno sofferto delle mancanze durante alcune fasi evolutive importanti, in cui avrebbero voluto correre, giocare nei prati, abbracciarsi, andare nel parco o al cinema.

Poi quando finalmente sono rientrati hanno dovuto anche e giustamente portare le mascherine. Mio figlio nei suoi tre anni di pandemia si è perso tante situazioni che lo avrebbero agevolato. E adesso, in un momento in cui i bambini pretendono più libertà, magari questa viene a mancare, spesso per i compiti: dopo tante ore trascorse stando seduti davanti a un banco si ritrovano a dover stare seduti ancora una volta a casa. E guardi che il problema non lo riscontrano solo i genitori dei bambini che frequentano la scuola primaria a tempo normale, ma anche i genitori che hanno figli che frequentano la primaria con il tempo pieno. Molti di loro si ritrovano a prendere il figlio alle 16 per poi ritrovarsi ancora compiti da fare a casa”

Eppure si crede che con il tempo pieno non si diano mai compiti a casa, se non quelli per il week end…

“Non è così. I bambini ce li hanno eccome i compiti da fare a casa durante la settimana anche se fanno il tempo pieno. Magari non sarà sempre così ma spesso è così: le mie amiche che hanno i bambini al tempo pieno, per dire, mi dicono che hanno tanti compiti anche dopo la scuola e che si aggiungono a quelle del fine settimana. Viene peraltro chiesto ai genitori di assisterli e di consolidare.

Ma, mi creda, ci sono delle situazioni culturali ed economiche che non consentono di consolidare i compiti. Ci possono essere delle mamme con la terza media o che fanno lavori umili, che lasciano i figli con nonni anziani, che non hanno i soldi per il doposcuola. Io non voglio dare la colpa a nessuno, né alla scuola né ai genitori. Ma mi sono tante volta posta una domanda: se un tempo avevamo il maestro unico e oggi invece abbiamo quattro maestri, sono cambiati i bambini, sono cambiati i docenti o è cambiato il metodo? C’è un sovraccarico perché i docenti hanno dei programmi più ampi? Come mai non riescono a far concludere i compiti a scuola?”

Guardi che i compiti a casa si davano anche 30 anni orsono

“Ma la mole dei compiti era diversa. E in più adesso mio figlio in seconda primaria ha iniziato le prove Invalsi. E anche per le prove Invalsi s’è generato tanto stress: il mio bambino ha appena imparato a leggere l’orologio e quando ho detto che aveva due minuti di tempo per una esercitazione e 45 minuti per un’altra, lui guardava l’orologio e si è fatto prendere dall’ansia”.

Lei è rimasta molto scossa dal clamore mediatico e anche dalla reazione che alcuni insegnanti hanno avuto nei suoi confronti in questi giorni. Ci ha prima confessato che se avesse avuto 20 anni e non fosse stata una donna forte, probabilmente non avrebbe retto. L’abbiamo vista piangere ed è pur ero che stiamo qui raccogliendo le sue scuse genuine, con le quali ci piacerebbe sapere che il conflitto e le incomprensioni si sono ricomposti. Però, francamente, se l’è cercata”.

“Sì, è così. Vorrei solo aggiungere che, poiché la cultura porta al dover essere aperti, mi aspettavo da questa categoria, importante per la crescita dei nostri figli, una comprensione maggiore poiché una mente eccelsa, allenata al raggiungimento di obiettivi formativi, dovrebbe porsi delle domande e andare oltre l’apparente e sia pure momentanea follia di una mamma.

Penso che sarebbe stato doveroso, da parte di chi mi ha vista, porsi delle domande su una persona che stava in quel momento esponendo un pensiero, pur in maniera disastrosa. Prima di dire che hai di fronte una cafona – e chi mi conosce sa quanto io sia una persona per bene ed educata – e pur se è oggettivamente vero che i toni usati non siano stati dei migliori e ci si è anzi allontanati dalla civiltà, da gente che studia tanto e che si forma mi aspetto un minimo di umanità e di comprensione. Se non lo capisce chi ha studiato – che ha di fronte una persona che in quel momento sta vivendo una difficoltà – chi lo deve capire?”

Che cosa risponde invece a quegli insegnanti che hanno scritto sui social che lei ha solo cercato visibilità?

“Che avrei preferito essere visibile per un video in cui faccio fare dei compiti a mio figlio. Dove magari socializziamo con le altre mamme cercando le parole con –ghe o -ghi o dove assisto i bambini mentre svolgono un esercizio in cui ho avuto bisogno di un confronto o mentre si fa un semplice balletto con i bambini e con altre mamme. E non con questa mia uscita davvero infelice e che vorrei dimenticare. Ma vorrei anche che questa esperienza servisse per trovare delle soluzioni ottimali per tutti perché non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo ultimo, che è quello di scolarizzare i nostri figli, che rappresentano il nostro futuro”

Torniamo al video. Come mai non lo ha cancellato subito dopo essersi accorta dell’errore?

“Quando ho fatto il video mi aspettavo delle risposte e delle critiche da qualche amica ma nulla di eclatante. Magari mi attendevo anche il conforto di qualche amica che mi dicesse: anche noi abbiamo il problema dei compiti. Subito dopo però mi hanno bloccato il profilo e non ci ho più fatto caso. Poi, quando lo hanno riattivato non ho più guardato e quindi non ho potuto più bloccarlo e me ne pento: lo toglierei, ma con il senno del poi diventiamo tutti bravi”.

Perdoni una domanda irriverente: ma lei ci guadagna con i video sui social?

“No. Peraltro non mi ha mai importato di guadagnarci. Mi è però capitato di raccogliere dei soldi per fare la spesa alimentare e per comprare un paio di jeans a un senzatetto di Roma che avevo conosciuto grazie a un video di un ragazzo. Ho unito le forze tra tanti contatti e insieme abbiamo raccolto 200 euro. Mi piace ricordare la felicità di quella persona quando ha poi ricevuto e apprezzato il nostro regalo”.

Un altro regalo che lei vorrebbe è che molte famiglie ricevessero un bonus doposcuola, giusto per tornare al tema della sua invettiva

“E’ un’idea venuta fuori dalle testimonianze che ho raccolto dopo questo episodio. Ho ricevuto una valanga di messaggi da parte di famiglie che hanno difficoltà a gestire anche dal punto di vista economico il sostegno didattico casalingo dei loro figli. Sarebbe bello che si creasse una sorta di bonus doposcuola in favore delle famiglie e anche in favore degli insegnanti che dovessero essere impegnati in un sovraccarico di compiti e di lavoro, oppure assumendo dei ragazzi laureati che affiancassero i maestri nella gestione dei compiti a casa. Peraltro, con i genitori i bambini si concedono il lusso del capriccio, invece con dei giovani insegnanti la cosa sarebbe più professionale. E’ vero che ci sono delle strutture private certificate che fanno doposcuola in regola, ma ce ne sono tante che invece lo fanno in nero e magari in casa”.

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