di Tommaso Labate I segnali a 48 ore dal giorno del giudizio del governo Draghi: la conferenza dei capigruppo, l’enigma Berlusconi-Salvini, l’ipotesi che Conte esca dia la fiducia e poi esca dal governo. Sullo sfondo, il nodo dimissioni Non conta se lo spiraglio sia più grande o più piccolo rispetto al fine settimana passato. Conta se lo spiraglio c’è ancora oppure no. E quando mancano quarantott’ore al giorno del giudizio del governo Draghi, mentre l’assemblea dei parlamentari Cinquestelle è ancora in corso, uno spiraglio per mantenere in vita l’esecutivo e ancorare la legislatura al 2023 c’è. Lo dicono alcuni segnali inequivocabili. Il segnale in capigruppo Il primo è l’esito della conferenza dei capigruppo di Montecitorio di questa mattina, dov’è stato chiarito – anche dal presidente della Camera Roberto Fico – che il «format» della discussione parlamentare di mercoledì 20 luglio sarà quello delle «comunicazioni fiduciarie». Il presidente del Consiglio fa il suo intervento, si apre il dibattito, i parlamentari votano la fiducia per appello nominale. Durante la riunione alla Camera accade un fatto non previsto, quantomeno non in questi tempi. Matura formalmente la prima presa di posizione formale di M5S e Pd da giovedì scorso, giorno della rottura: le due forze politiche chiedono assieme di iniziare i lavori di mercoledì dalla Camera, dove l’aritmetica è più favorevole, e non dal Senato, dove si annidano le maggiori resistenze dei Cinquestelle rispetto al prosieguo dell’avventura nella maggioranza. Il capigruppo del M5S che sottoscrive l’iniziativa è il «governista» Davide Crippa, che infatti viene messo sotto accusa dai «ribelli» all’inizio dell’assemblea pentastellata. È la spia, forse definitiva, che anticipa la prossima scissione, con un ulteriore pezzo del gruppo parlamentare M5S pronto a votare la fiducia a prescindere delle indicazioni del capo politico Giuseppe Conte. È il segnale, vidimato dal Pd, che margini per far rimanere Draghi in sella al governo ce ne sono ancora. «Draghi rimarrà a Palazzo Chigi», è in queste ore la scommessa di Matteo Renzi. Secondo questo scenario, sarebbe sostenuto dalla stessa maggioranza di prima meno che dall’ala dura dei Cinquestelle, finora benedetta dalle mosse di Conte. Berlusconi e Salvini Conte, dunque, rischia di perdere la golden share. Col suo blocco verosimilmente sostituito dalla nuova scissione nei Cinquestelle, la carta più importante da lanciare sul tavolo verde della crisi la giocheranno Berlusconi e Salvini. «Sembra il remake del film del Quirinale», continuano a sussurrare i suoi all’orecchio di Giorgia Meloni, ricordando come dal pantano dell’elezione del presidente della Repubblica si uscì quando i leader di Lega e Forza Italia finirono per dire sì all’unico candidato che avevano escluso a priori nelle riunioni con Fratelli d’Italia, e cioè Sergio Mattarella. Come riassume un ministro del governo in queste ore, «Conte è stato quasi neutralizzato; ma se Salvini e Berlusconi si impuntano sul voto anticipato, per il governo Draghi è finita». Il nodo dimissioni Se Salvini e Berlusconi chiarissero che il governo è a fine corsa e le elezioni anticipate irrinunciabili, facendo un ulteriore passo in avanti rispetto alla linea fissata nel vertice di domenica 17 luglio a Villa Certosa, nella giornata di mercoledì 20 le comunicazioni di Draghi, verosimilmente, si ridurrebbero alla presa d’atto che le fondamenta su cui è stato costruito il governo di unità nazionale non ci sono più. A quel punto la palla passerebbe al capo dello Stato; che, Costituzione alla mano, ha in mano diverse opzioni, dal governo elettorale (che accompagna il Paese al voto anticipato) fino a un governo del presidente (che può fare la legge finanziaria evitando lo spettro di un’eventuale paralisi). C’è un punto da tenere in considerazione, imprescindibile. L’ha ricordato ad alcuni colleghi senatori l’ex ministro Gaetano Quagliariello: «Prima di arrivare a elezioni anticipate, il Quirinale ha sempre bisogno di verificare se non ci sono margini per un nuovo governo. Solo se è sicuro oltre ogni ragionevole dubbio, coi passaggi formali tipo le consultazioni, si procede allo scioglimento delle camere…». L’enigma Draghi E poi c’è l’uomo, Mario Draghi. Il capo del governo che perentoriamente aveva annunciato le dimissioni in consiglio dei ministri giovedì scorso, lasciando tutta la squadra di governo con la sensazione che si fosse ai titoli di coda che anticipavano la scritta finale, «the end». Tra i ministri del suo governo, a prescindere da come andrà a finire, serpeggia una consapevolezza difficile da smentire: «Il presidente del Consiglio non può rimanere insensibile al movimento che c’è dal basso, come quello dei tantissimi sindaci che hanno sottoscritto l’appello per evitare la fine del governo». Scenario Conte All’interno del Movimento Cinquestelle, prima dell’inizio dell’assemblea, inizia a farsi largo l’ipotesi di un colpo di scena. Conte che dà il via libera a votare la fiducia, evita la scissione ma prende la strada dell’appoggio esterno, quantomeno per salvare la traiettoria elettorale del «campo largo» col Pd. Che sia fantapolitica o meno, solo le prossime ore lo diranno. 18 luglio 2022 (modifica il 18 luglio 2022 | 18:03) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-18 16:12:00, I segnali a 48 ore dal giorno del giudizio del governo Draghi: la conferenza dei capigruppo, l’enigma Berlusconi-Salvini, l’ipotesi che Conte esca dia la fiducia e poi esca dal governo. Sullo sfondo, il nodo dimissioni, Tommaso Labate