L’astronauta italiano Umberto Guidoni, primo europeo a salire sulla Stazione spaziale internazionale, racconta la «diplomazia» nello spazio, che continuerà: l’americano Vande Hei tornerà sulla Terra con la Soyuz. E se la Russia decidesse di non «correggere» la rotta dell’Iss, la Nasa pensa alla tecnologia italiana dei moduli Cygnus
Alla fine siamo tornati al punto di partenza: «Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità». È così — come disse in una frase passata alla storia Neil Armstrong, mettendo piede sulla Luna nel ‘69 — che si misura la diplomazia all’interno della Stazione Spaziale Internazionale in questi giorni: nella Iss, separati da poche centinaia di metri, si ritrovano dall’inizio dell’invasione di Putin dell’Ucraina 4 astronauti americani (Kayla Barron, Raja Chari, Thomas Marshburn e Mark Vande Hei), un tedesco (Matthias Maurer, Esa) e due russi (Anton Shkaplerov e Pyotr Dubrov). Così è un piccolo passo quello che hanno fatto martedì 15 marzo Kayla Barron e Raja Chari per la prima passeggiata extraveicolare del 2022 durata circa sei ore e mezza. La missione all’esterno della Iss è di routine. Upgrade li chiamano, aggiornamenti. Ma è stato il segnale di una distensione.
È un piccolo passo anche quello che separa i moduli russi della Iss, gestiti dalla Roscosmos, e quelli della Nasa dove si ritrovano e vivono americani, canadesi, europei e giapponesi.
Ed è un piccolo grande passo quello che dovrà fare il 30 marzo l’astronauta americano Vande Hei che salirà sulla Soyuz con i due cosmonauti Shkaplerov (l’attuale comandante della Iss, ex colonnello delle forze russe che si è lanciato il 22 febbraio su Twitter in proclami pro-bellici) e Dubrov per tornare sulla Terra. Atterraggio previsto in Kazakistan. Non ci sono altre soluzioni: la navetta Dragon di Space X ha 4 posti: dunque uno degli occidentali deve per forza scendere con la Soyuz (sarà Vande Hei perché le navette russe e americane richiedono dei differenti tipi di tute e di adattatori per i sedili, dunque chi sale con la Soyuz deve scendere con la Soyuz, e viceversa).
Il fatto che, per ora, non siano previste modifiche del programma di rientro è un segnale positivo: la diplomazia all’interno della Iss sta funzionando. Un po’ meno all’esterno dove, Dmitry Rogozin, il capo della Roscosmos (la Nasa russa), uomo forte di Putin ed ex vice primo ministro della federazione russa dal 2011 al 2018, sabato ha detto che a causa delle sanzioni occidentali la Russia potrebbe non essere più in grado di correggere l’orbita della Iss. Risultato? La Stazione entrerebbe in rotta di collisione con l’atmosfera cadendo sulla Terra
(Rogozin ha detto testualmente su Telegram che «le 500 tonnellate della Iss potrebbe cadere in mare o sulle terre emerse», facendo notare con cinismo in un grafico che le probabilità che ciò possa accadere sulla Russia sono nulle).
Per capire bene un tema così delicato abbiamo chiesto a Umberto Guidoni, astronauta che è stato nello spazio due volte: la prima nel 1994 con la missione STS-75 volando con lo Space Shuttle Columbia. La seconda nel 2001 con l’Endeavour (che prende il nome dalla nave dell’esploratore James Cook, scoperta poco più di un mese fa), missione con la quale è diventato il primo astronauta europeo a salire proprio sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Partiamo dalle parole di Rogozin: perché i russi gestiscono l’orbita della stazione?
«Effettivamente la stazione, circa una volta al mese, va risollevata un pochino perché se si abbassa troppo a causa della gravità diventa sul serio ingovernabile. E storicamente questa correzione orbitale è un compito della parte russa della missione, dunque viene effettuata attraverso i loro moduli».
Dunque è vero che se non corretta la rotta potrebbe portare a un disastro?
«Ma non nell’immediato. Non è un problema che si presenterebbe dall’oggi al domani. La Nasa sta pensando di correggere eventualmente il problema con uno dei moduli Cygnus che, peraltro, sono in parte costruiti a Torino da Thales Alenia Space. Si tratta di un modulo, che serve sostanzialmente per il trasporto e si distrugge quando rientra impattando con l’atmosfera terrestre, ed è arrivato recentemente proprio sulla Iss (la missione è avvenuta proprio il 20 febbraio). Certo non è mai stata fatta una manovra di questo genere (la stessa Nasa, in questa pagina, spiega che comunque non potrebbe essere usata se non per lievi correzioni e non come sostituto del sistema russo, Ndr)».
Il modulo Cygnus è collegato alla sezione “occidentale”: dunque non avremmo problemi ad intervenire anche senza l’aiuto dei russi?
«Sì, ma credo che il problema non sia tecnico. Piuttosto il problema è politico. L’accordo sul funzionamento della stazione prevede che tutte le operazioni di bordo debbano essere condivise e approvate da tutti i Paesi che fanno parte del progetto. I russi potrebbero anche porre il veto sulla correzione dell’orbita, anche se l’operazione avvenisse nella parte americana. A questo punto si metterebbe a rischio l’esistenza stessa della Iss e si potrebbe decidere di farla deorbitare».
Cioè verrebbe anticipata la fine della stazione già prevista per il 2031.
«Sì ma non credo che si arriverebbe a questo. Sarebbe, ripeto, una decisione politica, come quella presa dai russi di non lanciare più i satelliti del sistema europeo Galileo. In ogni caso sarebbe certamente un epilogo stabilito prima in sicurezza».
Come previsto si può «dirigere» la Iss nel cosiddetto cimitero delle astronavi, dove finirà nel 2031 comunque, e dove si trova anche la Mir, la prima stazione spaziale proprio dei russi.
«Sì, si tratta del luogo più lontano dalle terre emerse che esiste sulla Terra, in pieno Pacifico. Le posso dire che quando si guarda l’Oceano Pacifico dallo Spazio — come è capitato a me — si comprende quanto sia grande: l’orbita completa per fare il giro del mondo richiede 90 minuti, un terzo del tempo lo si passa sopra il Pacifico. Piuttosto il problema sarebbe stato potenzialmente più grave un anno fa…».
Perché?
«Un anno fa l’unica navicella per il trasporto degli astronauti e dei cosmonauti era la Soyuz. Oggi abbiamo la Dragon della Space X che ha già portato gli ultimi membri della missione alla Stazione spaziale. Ma sono scenari che per ora non mi sembrano all’ordine del giorno. Piuttosto sono più pessimista sul futuro della collaborazione. Con il conflitto in Ucraina e le tensioni attuali è entrata in crisi una collaborazione che ha avuto una grande importanza dalla fine della Guerra Fredda e per il superamento della stessa. Io ero a Houston negli anni Novanta e ricordo bene un aneddoto. Una volta ero in volo con un pilota americano su un jet che mi disse: “Sono stato addestrato per abbattere i Mig russi, ora dobbiamo andarci insieme nello spazio”. Questo testimonia quanto fosse difficile anche culturalmente superare quel momento. D’altra parte non sono in molti a ricordare come nacque la Iss».
Ci aiuti lei.
«Si doveva chiamare Freedom e faceva parte del famoso scudo spaziale del presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Doveva servire contro l’Urss. Quando l’Unione sovietica implose si cambiò il senso della missione, il nome della stazione e iniziò una collaborazione, sia per aiutare i russi che erano in difficoltà, sia perché onestamente avevano già in orbita la Mir, dunque avevano più esperienza».
Quale che sia l’esito della guerra cosa pensa della collaborazione? Non le sembra già così a rischio?
«Sicuro, lo abbiamo già visto con l’Europa e la missione per portare un rover su Marte ExoMars che sicuramente non ci sarà proprio perché la partnership con i russi è appena saltata. Sulla Iss i moduli russi non sono separabili da quelli americani anche se, teoricamente, si potrebbe chiudere un portellone che separa le due aree, ma che per ora è sempre rimasto aperto».
Sarebbe la prima cortina di ferro nello Spazio. Che non ci auguriamo.
15 marzo 2022 (modifica il 15 marzo 2022 | 23:38)
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, 2022-03-15 22:38:00, L’astronauta italiano Umberto Guidoni, primo europeo a salire sulla Stazione spaziale internazionale, racconta la «diplomazia» nello spazio, che continuerà: l’americano Vande Hei tornerà sulla Terra con la Soyuz. E se la Russia decidesse di non «correggere» la rotta dell’Iss, la Nasa pensa alla tecnologia italiana dei moduli Cygnus , Massimo Sideri
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