Lorenzo Barone, il cicloviaggiatore dal Sudafrica alla Russia: arrestato in Etiopia. «Ho pensato: ora è finita»

di PaoloFoschi e Alessandro Fulloni

All’ottantottesima tappa, il pedalatore umbro fermato da dei militari. «Mi hanno puntato contro i kalashnikov e ho visto frustare dei prigionieri somali». Poi grazie all’intervento di un amico è stato rilasciato. In tutto percorrerà 29.000 km

Un avventuroso e incredibile viaggio in bici per oltre 29mila chilometri, dal punto più a Sud dell’Africa (Capo Agulhas, Sudafrica) al punto più a est dell’Asia (Capo Agulhas , in Russia). Atmosfere tra Salgari e Kipling, con il taccuino di Bruce Chatwin sostituito da tablet, cellulare, videocamera e puntuali aggiornamenti sui social. Ma quel che è capitato all’ottantottesimo giorno di pedalata, difficilmente il ventiquattrenne ciclonarratore Lorenzo Barone se lo scorderà. È lui stesso a raccontare, quasi in «presa diretta», «quest’esperienza appena vissuta, la più brutta e spaventosa di tutte le mia avventure.

«Ho pensato: adesso mi rapiscono…»

Venerdì, «mentre pedalavo attraverso il villaggio di Sheibi a soli 33 km dal confine con il Sudan — è il resoconto sulla sua pagina Facebook — sono stato fermato da un militare che mi ha obbligato a seguirlo fino all’accampamento». A quel punto altri soldati «in modo arrogante mi hanno preso la bicicletta, aperto le borse e tirato fuori tutto, senza trovare ovviamente nulla: pensavo quindi fosse finita lì…». Invece no: «Siamo invece tornati indietro sulla stradina sterrata e al bivio mi hanno detto che non potevo proseguire il viaggio, dovevo andare “dal boss”». Il pensiero di Lorenzo, umbro, è stato: «collaborano con i ribelli e adesso mi rapiscono…». Poi, sempre più preoccupato, volevo chiamare Abyot, un ragazzo in frontiera del quale avevo il contatto per farmi tradurre e spiegare la situazione ma non c’è stato nulla da fare».

«Mi hanno sequestrato il telefono»

Appena il ciclista ha afferrato il telefono «me lo hanno tolto con la forza e sequestrato. Abbiamo camminato per circa un’ora sotto al sole. Quattro militari impugnavano i kalashnikov circondandomi a distanza e uno spingeva la bici. Ho pensato “ok, è finita”. Siamo però arrivati al comando della polizia dove mi hanno ridato il cellulare e fatto sedere per terra vicino una baracca». Istante dopo istante, il racconto si fa sempre più angosciante:«Alla mia destra c’erano ragazze e donne sedute, alla mia sinistra invece una cella con dei prigionieri somali ammucchiati come in un pollaio. Dopo un paio di ore ho chiesto se potevo ripartire, il poliziotto mi ha detto “no” ed io gli ho chiesto: “domani?” Lui: “non si sa, domani o dopodomani, chissà.. ora stai qui e dormi qui” indicando il materassino sulla mia bici. Mi sono seduto di nuovo e mentre il tempo passava due ragazzi nella cella hanno iniziato a litigare».

«I poliziotti giocavano con i prigionieri»

A questo punto il ciclocronista assiste a una scena terribile: «Il poliziotto li ha chiamati, sono usciti, li ha fatti mettere in ginocchio davanti a me e li ha frustati con un tubo di plastica, intanto un altro dietro di lui impugnando un AK-47 li guardava e rideva. Cominciava ad essere buio, hanno aperto la porta di un edificio e mi hanno detto di stare dentro, così è stato». Nel frattempo «stavo informando le persone che potevano fare qualcosa per tirarmi fuori, ma solo Abyot stava contattando dei comandi di polizia e uffici immigrazione per dare l’ordine di liberarmi. Voleva raggiungermi, ma l’ho fermato e gli ho detto di venire la mattina perché i poliziotti erano mezzi ubriachi e “giocavano” con i prigionieri, quindi reputavo la situazione pericolosa anche per lui». Poi il «lieto fine». Sabato mattina Abyot «è arrivato e mi ha tirato fuori di lì. Abbiamo caricato la bici su un minibus e siamo andati diretti alla frontiera superando insieme i vari posti di blocco».

Come Stanley: ecco il Nilo

«Il percorso in bicicletta sul percorso terrestre più lungo del mondo -— riprende Lorenzo — è stato interrotto per 33 km a causa della situazione che ho dovuto affrontare, ma sono davvero felice di essere vivo e libero». Il viaggio, cominciato il 20 febbraio, riprenderà: un po’ come Henry Stanley, c’è da raggiungere l’Egitto e risalire, almeno per un tratto, il Nilo. A giugno dovrebbe sbarcare in Turchia, poi attraversando la Georgia arriverà in Russia. Lì si riabbraccerà con la moglie Aygul, la ragazza che ha conosciuto durante la traversata della Siberia nel 2020, in piena pandemia Covid. Poi la tabella di narcia prevede le piste invernali sui fiumi ghiacciati in Yakutia e successivamente la Chukotka. Ci saranno temperature a -60° «ma il mio equipaggiamento — ha raccontato al via dell’impresa — è adatto. In Siberia comprerò una slitta che trascinerò con gli sci.

Già pronto a ripartire

Il «traguardo» — fissato più o meno per il febbraio 2023 — è ancora lontano. Ma Lorenzo è tempratissimo. Sempre da solo, sempre in bici — dopo «l’esordio» in Portogallo appena diciottenne — è stato a Capo Nord, poi l’Islanda, il deserto del Sahara, India e Himalaya. E ancora Giappone e Corea del Sud. Ora l’impresa «più dura»: con chilometraggio che rappresenta sei volte la lunghezza media di un Giro e di un Tour ma in condizioni.è chiaro, completamente differenti. Sia come sia, «l’arresto» non ha frenato Lorenzo: che è già pronto per la tappa numero 89.

16 maggio 2022 (modifica il 16 maggio 2022 | 11:40)

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, 2022-05-16 12:26:00, All’ottantottesima tappa, il pedalatore umbro fermato da dei militari. «Mi hanno puntato contro i kalashnikov e ho visto frustare dei prigionieri somali». Poi grazie all’intervento di un amico è stato rilasciato. In tutto percorrerà 29.000 km, PaoloFoschi e Alessandro Fulloni

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