L’ultimo Sos dalla città-martire di Mariupol  «Qui ci sono migliaia di morti, aiutateci»

di Andrea Nicastro, inviato a Lozova (Kharkiv)

La città è lo scheletro di quello che era solo un mese fa Il sindaco: «Abbiamo contato cinquemila cadaveri». Ma la battaglia prosegue: il rapporto tra soldati russi e ucraini è di 5 a 1

La dichiarazione più incontestabile sulla tragedia di Mariupol è arrivata ieri dal ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian: «Se non faremo nulla per aiutare Mariupol, ci sarà, spero, un senso di colpa collettivo». Per i decenni a venire. Mariupol è un buco nero che ogni giorno che passa scava nella coscienza internazionale. I numeri, da soli, dovrebbero mobilitare ogni risorsa diplomatica disponibile per fermare questo massacro al rallentatore. Ventinove giorni di assedio ferreo senza ingresso di viveri, munizioni, assistenza medica. Ventisette giorni senz’acqua potabile, elettricità, riscaldamento, gas da cucina e, da ieri, anche l’ultima antenna telefonica civile che trasmetteva un’ora al giorno è fuori uso. I 450 mila abitanti erano già diventati 300 mila al momento dell’accerchiamento per poi via via diminuire: di circa 70 mila verso la parte ucraina lungo precari «corridoi umanitari» e di circa 100 mila che trovandosi i soldati di Putin fuori dalla porta hanno accettato di essere evacuati in Russia (Kiev sostiene siano stati forzati ad evacuare o che siano addirittura stati rapiti/deportati).

Le vittime

Cinquemila civili uccisi secondo le ultime stime delle autorità comunali, ma Kiev alza il dato a 10 mila. Di questi almeno 210 sono bambini. Impossibile sapere se resta cibo per i civili in città, già chi era riuscito a scappare 5 giorni fa, parlava di riserve al minimo e di persone incapaci di cucinare le patate rimaste per mancanza d’acqua. I costanti bombardamenti impediscono spesso di accendere il fuoco. Circa 300 sfollati sono rimasti sepolti dal crollo del teatro cittadino colpito da una bomba e nessuno ha potuto cercare di recuperarli. Forse 400 persone sono intrappolate sotto una scuola d’arte e un numero imprecisato di rifugi sono stati chiusi dal crollo dei palazzi soprastanti e, ancora una volta, nessuno ha potuto intervenire dato il continuo bombardamento (fonte Municipio). Decine di vittime delle esplosioni sono state sepolte in fosse comuni senza nome (fonte Ap) e svariate decine sono state lasciate insepolte nelle case, sui balconi o nei cortili (fonte sopravvissuti arrivati a Zaporizhzhia). Una percentuale vicina al 90 degli edifici è danneggiata, bruciata, pericolante, comunque inagibile, compresi tutti gli ospedali. Cento bombe d’aeroplano vengono lanciate sulla città ogni giorno nelle ultime due settimane, più missili, razzi, colpi di cannoni e di carri armati (fonte ucraina). Circa 15 mila soldati russi partecipano all’assedio (fonte intelligence britannica) e hanno un arsenale praticamente illimitato. Circa 3 mila soldati della Brigata Azov (e forse del 38° paracadutisti) sono a difesa.

L’assedio

Venerdì dichiaravano di disporre ancora di due carri armati e due blindati con cannone leggero. Raccontare con la freddezza dei numeri il dramma della città forse non fa percepire il rumore delle esplosioni, il panico, le notti insonni, il gelo, la sensazione di morte imminente che continua ad angosciare a distanza di giorni chi è riuscito ad uscire. Chi è ancora laggiù (150 mila anime) trema in questo stesso momento dato che i combattimenti sono ravvicinati e continui. Anche i militari, da una parte e dall’altra, hanno la morte a fianco. La situazione militare è evidentemente sbilanciata a favore degli assedianti e il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, fedelissimo di Putin, posta suoi video in città mentre proclama che «la vittoria è vicina». Il Pentagono gli dà ragione. I difensori però non sembrano disponibili ad arrendersi e sostengono di infliggere decine di perdite al nemico. Ieri, il Battaglione Azov ha ammesso la morte di un proprio soldato, il campione del mondo di kickboxing Maksym Kagal, 30 anni, e ha fatto filtrare una nuova dichiarazione video. Questa volta non del comandante Denis Prokopenko, ma del capitano Bohdan Krotevych, suo vice. La sensazione è che non sia stato registrato in città, ma quel che dice è comunque interessante. Il capitano sostiene che i russi colpiscano gli edifici piano dopo piano, partendo dall’alto, con i cannoni dei tank per espellere eventuali cecchini e poi entrino con le Sobr, equivalenti delle Swat americane. Poi però non solo spiega perché Azov continua a combattere, ma lancia per la prima volta un vero SOS. «Mariupol è strategica per l’intera Ucraina — dice il capitano —. Qui passa il treno per rifornire la Crimea e qui stiamo trattenendo grandi forze nemiche. Il blitz al porto di Berdiansk, dove nostri incursori hanno distrutto una grande nave da sbarco, dimostra che anche rompere l’accerchiamento di Mariupol è possibile. Non posso credere che un Paese di 40 milioni di abitanti non riesca a mettere assieme due battaglioni, 1.500 persone addestrate ed equipaggiate, per rompere il cordone russo. Chi combatte per ogni edificio, ogni strada di Mariupol dovrebbe sapere che l’Ucraina come Stato si prende cura di lui, che lo ricorda e sta preparando un piano per salvare la città».

29 marzo 2022 (modifica il 29 marzo 2022 | 00:10)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-03-28 22:36:00, La città è lo scheletro di quello che era solo un mese fa. Il sindaco: «Abbiamo contato cinquemila cadaveri». Ma la battaglia prosegue: il rapporto tra soldati russi e ucraini è di 5 a 1, Andrea Nicastro, inviato a Lozova (Kharkiv)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version