di Claudio BozzaIl fondatore del Movimento: «Serve un ricambio dei gestori del potere». Tutti i membri del governo rimarrebbero esclusi dal prossimo Parlamento, compresi i fedelissimi di Conte e del ministro degli Esteri Beppe Grillo entra, di nuovo, a gamba tesa nello scontro interno ai Cinque stelle. Mentre il braccio di ferro tra il leader Giuseppe Conte e il ministro Luigi Di Maio è all’apice, il garante (di fatto plenipotenziario) del Movimento non usa giri di parole: «No al terzo mandato». Una sponda a Conte, sì. Ma anche un macigno dopo l’ennesimo flop alle amministrative, perché sugli attuali 227 parlamentari pentastellati ben 66 stanno per completare il secondo mandato tra Palazzo Madama e Montecitorio. Uno su tre rimarrebbe quindi fuori dalle liste. Conte aveva provato a gestire il delicatissimo nodo prospettando un voto online degli iscritti, poi è però arrivato il post dell’«Elevato» sul blog, in cui c’è ben poco da interpretare. Il «dilemma» della regola del doppio mandato «può essere superato in altri modi, senza per questo privarsi di una regola la cui funzione è di prevenire il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo», scrive Beppe Grillo sul suo Blog. Fonti parlamentari «contiane» vicine al garante M5S sottolineano come quest’ultimo passaggio di Grillo sia un riferimento al «sacrificio di Di Maio per il doppio mandato. Dura la replica del capo della Farnesina: «Noi non stiamo guardando al 2050 ma è una forza politica che sta guardando indietro. Che senso ha cambiare la regola del secondo mandato? Io invito a votare gli iscritti secondo i principi fondamentali del Movimento perché questa è una forza che si sta radicalizzando all’indietro». Poi l’ulteriore affondo: «Mi sono permesso semplicemente di porre dei temi per aprire un dibattito su questioni come la Nato, la guerra in Ucraina, la transizione ecologica e ho ricevuto insulti personali come quello che ho visto sui giornali stamattina. Temo che M5s rischi di diventare la forza politica dell’odio, una forza politica che nello statuto ha il rispetto della persona». Ma non è tutto, perché il capo della Farnesina ec ex capo politico del M5S, difende anche a spada tratta Draghi: «Non diamo grande prova di maturità politica quando strumentalizziamo il presidente del Consiglio, come abbiamo fatto ieri oppure quando ci vantiamo di aver prodotto il suo viaggio a Kiev». E poi: «Il viaggio a Kiev del presidente Draghi con Scholz e Macron — aggiunge Di Maio — è frutto di una grande azione diplomatica del presidente del Consiglio che ha dato il segnale di un’Unione Europea compatta in solidarietà dell’Ucraina». Dure anche le critiche di Di Maio sulla gestione politica di Conte: «Non è chiara la nostra ricetta per il Paese e questo spiega perché nella nostra coalizione il Pd sale e noi scendiamo. Forse perché non abbiamo ben chiare le ricette per il nostro Paese». Oggi il regolamento pentastellato, specchio della strategia «anticasta» delle origini, afferma che un parlamentare non può essere eletto per più di due volte . E tanti sono i big. Il primo è appunto Di Maio. Ma ci sono anche deputati a lui vicini come Sergio Battelli (presidente della commissioni Affari europei della Camera) o la viceministra dell’Economia Laura Castelli. In cima alla lista degli esclusi ci sono anche vertici istituzionali come il presidente della Camera Roberto Fico (capo degli ortodossi, ma oggi più vicino a Conte) e la vicepresidente del Senato Paola Taverna, fedelissima dell’ex premier. Sul fronte Palazzo Chigi, oltre a Castelli, rimarrebbero esclusi anche tutti i membri M5S del governo, come Fabiana Dadone e Federico D’Incà. Si salverebbe invece Stefano Patuanelli, che potrebbe sfruttare il «mandato zero», che non conta il suo mandato da consigliere comunale. Altri grandi esclusi sarebbero Danilo Toninelli, il capogruppo alla Camera Davide Crippa (avverso a Conte), il sottosegretario Manlio Di Stefano, il probiviro del partito Riccardo Fraccaro. Ci sono anche diversi fedelissimi dell’«avvocato», come l’ex capo reggente Vito Crimi. Va aggiunto un «mediatore» come l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Ma anche, e sopratutto, Claudio Cominardi: il deputato ha fatto due mandati, non si è mai esposto mediaticamente, ma oggi è il tesoriere che gestisce tutti i soldi per le attività del Movimento. Beppe Grillo, nel suo lungo post, era partito dai massimi sistemi: «L’evoluzione, si sa, è il risultato di cambiamenti casuali nei processi riproduttivi». Per poi arrivare all’affondo: «Regole che favoriscono il ricambio dei gestori esistono, in teoria, anche nei sistemi politici democratici — scrive il fondatore M5S —. Appare sempre più opportuno estendere l’applicazione delle regole che pongono un limite alla durata dei mandati. Queste regole hanno goduto di una certa fortuna in alcuni ambiti del settore pubblico, quali i giudici della Corte Costituzionale. Ma il limite alla durata dei mandati si giustifica anche nell’esigenza di porre un limite a un potere rilevante, come per esempio quello del Presidente degli Stati Uniti». E avverte chi (il riferimento sarebbe a Di Maio) «si arrocca nel potere» affermando che «un limite alla durata dei mandati non costituisca sempre l’opzione migliore, in quanto imporrebbe di cambiare i gestori anche quando sono in gamba». 17 giugno 2022 (modifica il 17 giugno 2022 | 13:38) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-17 10:15:00, Il fondatore del Movimento: «Serve un ricambio dei gestori del potere». Tutti i membri del governo rimarrebbero esclusi dal prossimo Parlamento, compresi i fedelissimi di Conte e del ministro degli Esteri, Claudio Bozza