M5S, sondaggi impietosi, pochi seggi, auto-regole: ora agli «affossatori» resta il panico da poltrona

di Fabrizio RonconeMolti degli eletti del Movimento 5 stelle non torneranno in Parlamento, anche in conseguenza delle loro battaglie. «Questa morsa ce la siamo creata da soli» Hanno smesso di ridere.Hanno improvvisamente capito di non aver organizzato un funerale politico a Mario Draghi (perché quello — appunto — anche lontano da Palazzo Chigi era e resta comunque Mario Draghi): ma a loro stessi. Panico grillino.Terrore puro.Guarda un po’: il senatore Danilo Toninelli non sghignazza più. Com’è grigio, com’è mogio. Senatore, cos’è che canticchiava l’altro giorno a Palazzo Madama? “Eh eh… Il governo/ viene giù/ viene giùùù!”. Fanno calcoli e ragionamenti miserabili: per la maggior parte di loro sarà impossibile partecipare, o anche sperare di essere rieletti, alle elezioni che hanno provocato. Sono quasi tutti stretti in una morsa micidiale. Adesso che ci pensano, gonfi di amarezza: «Porcaccia miseria: pure la morsa ce la siamo costruita da soli». Da un lato, c’è il risultato di una loro grande battaglia: la contrazione del numero dei parlamentari (in totale, con la nuova legge, saranno 600: 400 alla Camera e 200 al Senato); e, quindi, visto che nei sondaggi il Movimento viene dato in una forbice che sta tra il 5 e il 10%, i grillini rieletti saranno da un minimo di 30 a una massimo di 60. E poi c’è la leggendaria questione del doppio mandato. Un limite che Gianroberto Casaleggio stabilì tra un Vaffa e l’altro, immaginando quello che poi si è puntualmente verificato: i suoi onorevoli sono rimasti prigionieri del potere che avevano promesso di combattere; hanno trovato soffici le poltrone e irrinunciabile lo stipendio (e ti credo); adorano i sedili in pelle delle auto blu; e poi c’è quel brivido di eccitazione, una lunga vertigine quando vedono i commessi scattare in piedi al loro passaggio, tra i velluti rossi e i lampadari sempre accesi. E adesso? Dovremo mica cercarci un lavoro fuori dal Parlamento? Santo Cielo, un po’ di dignità. Però, forse, sì. Tornate tra noi, onorevoli. Risalite nei vostri condomini. Chi ce l’ha, riprenda il vecchio mestiere. Una buona notizia per Barbara Lezzi: è ancora aperta la fabbrica che produce pezzi di ricambio per orologiai dove era impiegata prima di diventare ministro per il Mezzogiorno (e spiegarci che il Pil dell’Italia aumentava grazie all’uso smodato dei condizionatori d’aria). E la mitica Paola Taverna? Anche lei, due mandati esauriti. Il tempo vola. Sembra ieri che urlava: «A bbellooooo! Nun so’ mica ’na politica de professione, io» (traduzione: amico mio, non penserai mica che io sia una professionista della politica). Poi la scoperta delle borse Louis Vuitton, la vicepresidenza del Senato, le ospitate in tv, le forchette giuste per il pesce, sempre però curando l’immagine di grillina dura e pura con la quale, in queste ore di possibile ritorno al precariato, cerca di mettere pressione dentro al Movimento. «Aho’, famo a capisse: io me ricandido, nun ce piove» (traduzione: cerchiamo di capirci, la mia ricandidatura appare certa). Tremano, meno spavaldi, molti altri senatori che pure si sono battuti contro il governo: Airola, Castaldi, Crimi, Cioffi («Io però sono l’ultimo che ha visto in vita Casaleggio: non so, fate voi»). Teme di non farcela persino Carlo Sibilia, sottosegretario all’Interno negli ultimi tre governi (nonostante la convinzione che l’uomo non sia mai atterrato sulla Luna, e che Tito Stagno, quella notte, fece la telecronaca di una gigantesca messinscena organizzata dagli Stati Uniti). Angosciato Alfonso Bonafede, dimenticabile ministro della Giustizia, noto anche con il soprannome di Dj Fofò (perché lui alla consolle ci ha lavorato sul serio, non come Salvini, solo per un pomeriggio al Papeete Beach): Luigi Di Maio gliel’aveva detto, «Fofò, qui è finita», ma lui niente, convinto di poter contare sull’indulgenza di Conte (fu Bonafede a introdurlo nel mondo dei 5 Stelle). Macerie calcinate, osservano divertiti quelli che sono già saltati sul carrozzone di Giggino (come Carla Ruocco: «Ci siamo evoluti», e sì, certo, vabbé; o Sergio Battelli, uno che non voleva tornare a fare il commesso nel negozio di animali dove aveva lavorato per dieci anni). E lei, Buffagni? (Stefano Buffagni, consigliere regionale in Lombardia, poi sottosegretario nel Conte 1 e viceministro allo Sviluppo economico nel Conte 2). «Sono commercialista: tornerò nel mio studio. L’ipotesi di lasciare il Parlamento non mi spaventa». L’altro giorno, mentre veniva giù tutto, lei ha detto: la gente ci impala. «La politica deve dare risposte. Ho sofferto umanamente. E poi non voglio che mio figlio, un giorno, pensi che il padre aveva perso la testa per una poltrona». Telefona una fonte. Soffia: ad oggi, l’unico sicuro di essere ricandidato, con deroga al doppio mandato, è quel furbone di Roberto Fico. 23 luglio 2022 (modifica il 23 luglio 2022 | 10:05) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-23 08:05:00, Molti degli eletti del Movimento 5 stelle non torneranno in Parlamento, anche in conseguenza delle loro battaglie. «Questa morsa ce la siamo creata da soli», Fabrizio Roncone

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