Ma cosa vuole davvero la grande Cina della piccola Taiwan?

SABATO 13 AGOSTO 2022

risponde Guido Santevecchi

Caro Corriere,
ma cosa vuole veramente la grande, potente e ricca Cina di Taiwan? L’isola? I suoi abitanti? Le sue industrie? Perché trova così castrante la sua indipendenza? Non è sostanzialmente infantile questo ritorno storico alla volontà di possesso? Dopo che la Russia di Vladimir Putin ha reso peggiore il mondo con l’altrettanto infantile ritenere l’Ucraina una cosa russa era quasi scontato che l’iperorgoglio cinese diventasse ancor più suscettibile sull’isoletta taiwanese. Come del resto dimostrato dalle inconsulte reazioni alla visita di Nancy Pelosi a Taipei. Visita forse anche provocatoria, sapendo con chi si avrebbe avuto a che fare, ma che ha sancito il diritto democratico di poter andare a far visita a chi si pare a questo mondo se invitato e accolto. Ma se la Cina ci tiene tanto a Taiwan che se la prenda, allora! Se il rischio è quello di un vero, nuovo e devastante conflitto mondiale. Ma sarebbe un segno di maturità lasciare però liberi i suoi abitanti e le sue industrie di trasferirsi altrove. Perché proprio i suoi abitanti e le sue industrie non sono frutto del sudore del regime comunista cinese ma di chi nei decenni scorsi comunista non è voluto mai essere…
Mario Taliani Noceto (Pr)

Caro signor Taliani,
Il suo ragionamento è lucido. Perché Pechino minaccia di usare tutti i mezzi per «riunificare» Taiwan? Perché il suo successo di sistema democratico, la sua società aperta e la sua economia robusta dimostrano che può esserci una Cina (o parte di essa) diversa da quella governata da un Partito-Stato. Un esempio destabilizzante per la superpotenza. Proprio come è stata Hong Kong prima della «normalizzazione». Ci sono due grandi finzioni dietro la crisi taiwanese. Xi Jinping e compagni sono ossessionati dal sogno che l’isola faccia parte della Repubblica popolare cinese: ma Taipei tiene da decenni libere elezioni, ha un governo, un esercito, emette passaporti per i suoi cittadini che sono riconosciuti nel mondo. E non minaccia nessuno. La seconda finzione, meglio nota come «Ambiguità strategica» è quella di Washington, quando sostiene di rispettare il principio che esiste «Una sola Cina» (quella comunista) e proclama di non trattare Taiwan come una nazione indipendente: è vero che formalmente ha solo rapporti «commerciali e culturali», ma continua a fornire armamenti sempre più sofisticati e protezione politica a Taipei. Gli Stati Uniti rifiutano anche di rivelare se in caso di attacco invierebbero i loro ragazzi a morire per fermare i cinesi. L’Ambiguità strategica serve anche a sconsigliare fughe in avanti dei governanti democratici di Taiwan. (

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Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

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GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA

Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

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VENERDI -L’AMORE

Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

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SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

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DOMENICA – LA STORIA

Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

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Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere

, 2022-08-13 05:01:00,

SABATO 13 AGOSTO 2022

risponde Guido Santevecchi

Caro Corriere,
ma cosa vuole veramente la grande, potente e ricca Cina di Taiwan? L’isola? I suoi abitanti? Le sue industrie? Perché trova così castrante la sua indipendenza? Non è sostanzialmente infantile questo ritorno storico alla volontà di possesso? Dopo che la Russia di Vladimir Putin ha reso peggiore il mondo con l’altrettanto infantile ritenere l’Ucraina una cosa russa era quasi scontato che l’iperorgoglio cinese diventasse ancor più suscettibile sull’isoletta taiwanese. Come del resto dimostrato dalle inconsulte reazioni alla visita di Nancy Pelosi a Taipei. Visita forse anche provocatoria, sapendo con chi si avrebbe avuto a che fare, ma che ha sancito il diritto democratico di poter andare a far visita a chi si pare a questo mondo se invitato e accolto. Ma se la Cina ci tiene tanto a Taiwan che se la prenda, allora! Se il rischio è quello di un vero, nuovo e devastante conflitto mondiale. Ma sarebbe un segno di maturità lasciare però liberi i suoi abitanti e le sue industrie di trasferirsi altrove. Perché proprio i suoi abitanti e le sue industrie non sono frutto del sudore del regime comunista cinese ma di chi nei decenni scorsi comunista non è voluto mai essere…
Mario Taliani Noceto (Pr)

Caro signor Taliani,
Il suo ragionamento è lucido. Perché Pechino minaccia di usare tutti i mezzi per «riunificare» Taiwan? Perché il suo successo di sistema democratico, la sua società aperta e la sua economia robusta dimostrano che può esserci una Cina (o parte di essa) diversa da quella governata da un Partito-Stato. Un esempio destabilizzante per la superpotenza. Proprio come è stata Hong Kong prima della «normalizzazione». Ci sono due grandi finzioni dietro la crisi taiwanese. Xi Jinping e compagni sono ossessionati dal sogno che l’isola faccia parte della Repubblica popolare cinese: ma Taipei tiene da decenni libere elezioni, ha un governo, un esercito, emette passaporti per i suoi cittadini che sono riconosciuti nel mondo. E non minaccia nessuno. La seconda finzione, meglio nota come «Ambiguità strategica» è quella di Washington, quando sostiene di rispettare il principio che esiste «Una sola Cina» (quella comunista) e proclama di non trattare Taiwan come una nazione indipendente: è vero che formalmente ha solo rapporti «commerciali e culturali», ma continua a fornire armamenti sempre più sofisticati e protezione politica a Taipei. Gli Stati Uniti rifiutano anche di rivelare se in caso di attacco invierebbero i loro ragazzi a morire per fermare i cinesi. L’Ambiguità strategica serve anche a sconsigliare fughe in avanti dei governanti democratici di Taiwan. (

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Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

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, Guido Santevecchi

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