Manfredi, serve più concretezza

Mezzogiorno, 15 maggio 2022 – 08:25 di Mario Rusciano A sette mesi dall’elezione comunale è naturale che i napoletani (e Marco Demarco nell’editoriale di venerdì scorso sul nostro giornale) s’interroghino sull’operato del sindaco Manfredi e della sua Giunta. Alcuni ritengono inutile il tentativo d’un bilancio: finora essi in pratica hanno fatto niente. Oppure, se hanno fatto qualcosa, se ne sa niente. E zero comunicazione equivale a zero realizzazione. Questa la vox populi . E siccome, si dice, il popolo ha sempre ragione, se ne può dubitare ma non ignorare. Semplice il ragionamento popolare: per valutare un’amministrazione contano «i primi cento giorni», il tempo che solitamente si dà a un nuovo governo per capirne piglio ed efficienza. Perciò ogni nuova amministrazione s’affretta a esibire un cambiamento dando subito qualche segnale forte. Invece qui di giorni ne sono passati più del doppio e nulla è cambiato. Questo è vero: finora sindaco e Giunta non hanno dato veri segnali di cambiamento. Ciononostante il giudizio popolare è frettoloso. Andrebbe meglio calibrato considerando il dato di partenza dell’attuale compagine. Ricordare almeno quanto si diceva prima dell’elezione: il futuro sindaco di Napoli dovrà essere un «Superman», perché troverà una città piena di macerie (metaforicamente) e un Comune con cassa vuota (letteralmente). In più, risorse umane poche e spaesate, specie nell’abilità tecnologica. Meravigliarsi allora è fuori luogo: rimuovere le macerie e ricostruire dalle fondamenta un edificio gigantesco richiede tempo e denaro. Mentre solo da un paio di mesi Draghi ha dato a Manfredi la prima trance del cosiddetto «patto per Napoli», essenziale condizione della ripartenza. Altro dato importante è il carattere di Manfredi: ha l’aplomb dell’accademico, è schivo e preferisce la sobrietà costruttiva dell’ingegnere all’enfasi retorica del politico professionale. Per lui a Napoli occorre anzitutto una «operazione-verità» e forse perciò si limita a costatazioni e proponimenti, magari dando l’impressione del «passante» (Demarco). Sicuramente Manfredi ha uno stile opposto a quello del predecessore. De Magistris aveva grande capacità comunicativa, fantasticando meraviglie (solitamente autoesaltanti) e cavalcando il costume anarchico dei napoletani: l’assecondava e l’incrementava, con gravi danni culturali e amministrativi. Chissà come reagirebbero oggi i napoletani se Manfredi dicesse cose mirabolanti senza averne i mezzi. Naturalmente tra due opposti atteggiamenti esistono modi intermedi d’interpretare il ruolo di sindaco d’una città metropolitana come Napoli. Comunque si può rimproverare a Manfredi di non aver subito adottato piccole misure di riordino della vita cittadina, attuabili a costo-zero. Esempi: rigore negli orari di carico e scarico delle merci per non intralciare il traffico in ore di punta. Oppure: massima vigilanza sull’occupazione (abusiva?) di suolo pubblico da parte di bar e ristoranti che moltiplicano tavolini su strade e marciapiedi impedendo il cammino dei pedoni, specie dei disabili. O ancora: vigili «volanti» contro la sosta selvaggia, in seconda e terza fila, di auto che impediscono l’agevole scorrimento del traffico (come sempre capita davanti agli chalet di Mergellina). Inoltre la revisione del turno dei taxi e la vigilanza di essi alla Ferrovia e all’Aeroporto ecc.. Sembrano cose marginali, ma non lo sono. La lotta alla Napoli «anarchica» è un buon segnale di cambiamento a vantaggio della vivibilità. Senz’altro carenti poi sono due punti importanti da sottoporre all’attenzione di Manfredi: «comunicazione» e «partecipazione». Sulla prima: proprio il suo carattere antiretorico esige una costante «comunicazione istituzionale» in forme efficaci. Insufficienti le poche battute mediatiche in occasione di eventi (cui non manca d’essere presente), o i monologhi settimanali modello-De Luca. In vere conferenze-stampa a palazzo San Giacomo (almeno mensili) i giornalisti potrebbero persino aiutarlo a focalizzare questioni che spesso sfuggono alla Giunta e alla traballante burocrazia comunale. Ciò peraltro è strettamente legato al problema cruciale della «partecipazione» dei cittadini alle scelte di fondo dell’amministrazione: nel campo urbanistico, del paesaggio e dell’arredo urbano, dei servizi essenziali ecc.. Sono cioè indispensabili canali stabili di reale partecipazione della cittadinanza all’operato di Palazzo San Giacomo: al di là dell’ascolto, pur utile, di ambienti accademici o di ristretti gruppi di esperti. Attualmente tali canali mancano. S’è visto a cosa sono ridotte le Municipalità: sistemare politicanti piuttosto che funzionare sul piano operativo. I partiti strutturati, quando non sono scomparsi, sono deboli. Tanto da far dubitare financo della sicura rappresentatività del Consiglio comunale: come può la coesione assembleare funzionare con gruppuscoli sparsi, che sostengono il sindaco ma non i veri bisogni dei cittadini? Infine sono poche – e poco autorevoli per farsi ascoltare – altre formazioni sociali: se non esprimono addirittura interessi corporativi, certo non interpretano l’interesse generale della collettività. In definitiva, pur con tutte le difficoltà oggettive, Manfredi deve individuare quanto prima il metodo adatto a governare una realtà complessa e frammentata come Napoli. Si sa: per natura, nemmeno tanto inconscia, i napoletani sono recalcitranti a farsi governare. Ma ciò non toglie che ora sindaco e Giunta devono mostrare un cambio di passo e comunicare in trasparenza chi e che cosa ostacola i risultati concreti della loro azione. 15 maggio 2022 | 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-15 06:26:00, Mezzogiorno, 15 maggio 2022 – 08:25 di Mario Rusciano A sette mesi dall’elezione comunale è naturale che i napoletani (e Marco Demarco nell’editoriale di venerdì scorso sul nostro giornale) s’interroghino sull’operato del sindaco Manfredi e della sua Giunta. Alcuni ritengono inutile il tentativo d’un bilancio: finora essi in pratica hanno fatto niente. Oppure, se hanno fatto qualcosa, se ne sa niente. E zero comunicazione equivale a zero realizzazione. Questa la vox populi . E siccome, si dice, il popolo ha sempre ragione, se ne può dubitare ma non ignorare. Semplice il ragionamento popolare: per valutare un’amministrazione contano «i primi cento giorni», il tempo che solitamente si dà a un nuovo governo per capirne piglio ed efficienza. Perciò ogni nuova amministrazione s’affretta a esibire un cambiamento dando subito qualche segnale forte. Invece qui di giorni ne sono passati più del doppio e nulla è cambiato. Questo è vero: finora sindaco e Giunta non hanno dato veri segnali di cambiamento. Ciononostante il giudizio popolare è frettoloso. Andrebbe meglio calibrato considerando il dato di partenza dell’attuale compagine. Ricordare almeno quanto si diceva prima dell’elezione: il futuro sindaco di Napoli dovrà essere un «Superman», perché troverà una città piena di macerie (metaforicamente) e un Comune con cassa vuota (letteralmente). In più, risorse umane poche e spaesate, specie nell’abilità tecnologica. Meravigliarsi allora è fuori luogo: rimuovere le macerie e ricostruire dalle fondamenta un edificio gigantesco richiede tempo e denaro. Mentre solo da un paio di mesi Draghi ha dato a Manfredi la prima trance del cosiddetto «patto per Napoli», essenziale condizione della ripartenza. Altro dato importante è il carattere di Manfredi: ha l’aplomb dell’accademico, è schivo e preferisce la sobrietà costruttiva dell’ingegnere all’enfasi retorica del politico professionale. Per lui a Napoli occorre anzitutto una «operazione-verità» e forse perciò si limita a costatazioni e proponimenti, magari dando l’impressione del «passante» (Demarco). Sicuramente Manfredi ha uno stile opposto a quello del predecessore. De Magistris aveva grande capacità comunicativa, fantasticando meraviglie (solitamente autoesaltanti) e cavalcando il costume anarchico dei napoletani: l’assecondava e l’incrementava, con gravi danni culturali e amministrativi. Chissà come reagirebbero oggi i napoletani se Manfredi dicesse cose mirabolanti senza averne i mezzi. Naturalmente tra due opposti atteggiamenti esistono modi intermedi d’interpretare il ruolo di sindaco d’una città metropolitana come Napoli. Comunque si può rimproverare a Manfredi di non aver subito adottato piccole misure di riordino della vita cittadina, attuabili a costo-zero. Esempi: rigore negli orari di carico e scarico delle merci per non intralciare il traffico in ore di punta. Oppure: massima vigilanza sull’occupazione (abusiva?) di suolo pubblico da parte di bar e ristoranti che moltiplicano tavolini su strade e marciapiedi impedendo il cammino dei pedoni, specie dei disabili. O ancora: vigili «volanti» contro la sosta selvaggia, in seconda e terza fila, di auto che impediscono l’agevole scorrimento del traffico (come sempre capita davanti agli chalet di Mergellina). Inoltre la revisione del turno dei taxi e la vigilanza di essi alla Ferrovia e all’Aeroporto ecc.. Sembrano cose marginali, ma non lo sono. La lotta alla Napoli «anarchica» è un buon segnale di cambiamento a vantaggio della vivibilità. Senz’altro carenti poi sono due punti importanti da sottoporre all’attenzione di Manfredi: «comunicazione» e «partecipazione». Sulla prima: proprio il suo carattere antiretorico esige una costante «comunicazione istituzionale» in forme efficaci. Insufficienti le poche battute mediatiche in occasione di eventi (cui non manca d’essere presente), o i monologhi settimanali modello-De Luca. In vere conferenze-stampa a palazzo San Giacomo (almeno mensili) i giornalisti potrebbero persino aiutarlo a focalizzare questioni che spesso sfuggono alla Giunta e alla traballante burocrazia comunale. Ciò peraltro è strettamente legato al problema cruciale della «partecipazione» dei cittadini alle scelte di fondo dell’amministrazione: nel campo urbanistico, del paesaggio e dell’arredo urbano, dei servizi essenziali ecc.. Sono cioè indispensabili canali stabili di reale partecipazione della cittadinanza all’operato di Palazzo San Giacomo: al di là dell’ascolto, pur utile, di ambienti accademici o di ristretti gruppi di esperti. Attualmente tali canali mancano. S’è visto a cosa sono ridotte le Municipalità: sistemare politicanti piuttosto che funzionare sul piano operativo. I partiti strutturati, quando non sono scomparsi, sono deboli. Tanto da far dubitare financo della sicura rappresentatività del Consiglio comunale: come può la coesione assembleare funzionare con gruppuscoli sparsi, che sostengono il sindaco ma non i veri bisogni dei cittadini? Infine sono poche – e poco autorevoli per farsi ascoltare – altre formazioni sociali: se non esprimono addirittura interessi corporativi, certo non interpretano l’interesse generale della collettività. In definitiva, pur con tutte le difficoltà oggettive, Manfredi deve individuare quanto prima il metodo adatto a governare una realtà complessa e frammentata come Napoli. Si sa: per natura, nemmeno tanto inconscia, i napoletani sono recalcitranti a farsi governare. Ma ciò non toglie che ora sindaco e Giunta devono mostrare un cambio di passo e comunicare in trasparenza chi e che cosa ostacola i risultati concreti della loro azione. 15 maggio 2022 | 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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