«In piedi scrivo male, non so se ci rivedremo». La lettera di Virginiadopo la retata al Ghetto di Roma

di Paolo Conti

I coniugi Passigli vennero arrestati il 16 ottobre 1943. Lo scritto, straziante, reso pubblico per la prima volta dal Cdec, Fondazione Centro di documentazione ebraica

Carissimi, sono realmente calma per quanto veda la situazione di tutti più tragica di quello che credono gli altri. Noi abbiamo poco da perdere… Scrivo male perché sono ritta. Ci rivedremo? Iddio solo lo sa». È il 17 ottobre 1943. Virginia Passigli nata Coen, 64 anni, ebrea fiorentina, è stata arrestata dai nazisti occupanti di Roma insieme con il marito Guido Passigli, 68 anni. Per i tempi sono due anziani già avanti con l’età. Li hanno presi durante il rastrellamento del 16 ottobre non nell’Antico Ghetto, teatro centrale della deportazione, ma in via Mecenate 79, casa del figlio Mario, sposato con Cesarina Chiara, cattolica. I due appartengono alla buona e agiata borghesia fiorentina. Sono colti. Capiscono subito e affidano a un paio di fogli strappati da chissà quale agenda le loro ultime e consapevoli volontà. Uno scritto straziante che il Cdec, Fondazione Centro di documentazione ebraica, ha reso pubblico per la prima volta con le immagini (visibili da oggi sul sito Cdec). Nessuno saprà mai chi ha raccolto e spedito la busta, unica testimonianza scritta uscita dal centro temporaneo di detenzione. Commenta Liliana Picciotto, storica della Fondazione: «Un reperto atroce. Virginia deve scrivere “ritta”, cioè in piedi, perché non può nemmeno sedersi. Un contesto tragico, inumano, già al di fuori dell’ordine naturale delle cose».

I coniugi Passigli sono a Roma appena da due giorni, reduci dalla tragedia della morte dell’altro figlio Raffaello, Lellino, scomparso il 5 settembre. Finiscono, come tutti gli ebrei rastrellati, nel Collegio militare di Palazzo Salviati in via della Lungara. In base alle disposizioni naziste, vengono liberati sia il figlio Mario che la nuora Cesarina Chiara con le figlie Giovanna e Claudia. Come spiega Liliana Picciotto, lo raccontò proprio al Cdec Arminio Wachsberger, ebreo fiumano bilingue poi sopravvissuto ad Auschwitz, che tradusse in quelle tragiche ore dal tedesco in italiano le disposizioni impartite dal capitano nazista Theodor Dannecker: gli ebrei coniugati a non ebrei andavano rilasciati così come gli ebrei figli di matrimonio misto. Altri rilasciati furono i non ebrei catturati per errore.

Dunque i Passigli riescono a scrivere e a indirizzare i fogli proprio a Cesarina Chiara. Sulla busta c’è scritto che «Guido è come sempre l’anima della comitiva, siamo già affiatati con persone simpatiche». Questo per sviare censure e controlli. In realtà nel biglietto Guido chiede lucidamente di far avere il proprio testamento all’avvocato Funaro. Pensa anche alla nuora Albana Mondolfi, vedova di Lellino: «Se si risposerà, come è facile, cosa più che giusta, che si attenga a quanto desiderava Lellino in merito alla casa e che cerchi di unirsi a una persona che dia garanzia di voler bene e interessarsi del bimbo, di dare a lei felicità e di non innamorarsi dei suoi soldi».

I due partiranno dalla stazione Tiburtina alle 19 del 18 ottobre col treno della morte, arriveranno ad Auschwitz e lì moriranno. I fogli, racconta Liliana Picciotto, furono custoditi dagli eredi e viaggiarono tra Roma, New York, Israele, poi di nuovo Roma e infine Milano al Cdec. Li affidò Guidobaldo Passigli, figlio di Lellino, scomparso nel marzo 2022 a 83 anni, ex presidente della Comunità ebraica fiorentina, co-fondatore della casa editrice Giuntina per la quale scrisse nel 2021 un libro di memorie familiari intitolato «La comitiva», citando la riga scritta da suo nonno sulla busta. Guidobaldo ebbe un fratellastro, Daniel Vogelmann, nato dal secondo matrimonio di sua madre Albana con Schulim Vogelmann, sopravvissuto alla Shoah. Guidobaldo e Daniel fondarono insieme la Giuntina. Una famiglia solida e allargata: come aveva sperato Guido Passigli.

15 ottobre 2022 (modifica il 15 ottobre 2022 | 22:39)

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, 2022-10-15 20:44:00, I coniugi Passigli vennero arrestati il 16 ottobre 1943. Lo scritto, straziante, reso pubblico per la prima volta dal Cdec, Fondazione Centro di documentazione ebraica, Paolo Conti

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