La manovra arriva a Bruxelles, la barriera di Giorgetti per le «bandierine dei partiti»

di Federico FubiniIl ministro dell’Economia ipotizza nuovi sussidi sull’energia dopo marzo. «In caso ne parleremo con la Commissione europea» Di rado i ministri dell’Economia hanno il lusso di mettersi al lavoro senza trovarsi subito sottoposti alla tirannia delle emergenze e in questo Giancarlo Giorgetti vive la più vera delle continuità italiane: la schiavitù del breve termine. In questo caso il nuovo responsabile di Via XX Settembre l’ha più subita che scelta. Ha avuto pochi giorni per far tornare i conti di una legge di bilancio in cui, paradossalmente, fare lo slalom fra le bandierine piantate dei partiti non è stato neppure il più difficile dei compiti che lo aspettano. Ora però si apre una partita anche più intrattabile: le grandi crisi industriali, dal futuro della rete di Tim, alla cessione del controllo di Ita Airways, al destino della raffineria Priolo (Siracusa) oggi, fino al salvataggio degli impianti di Acciaierie per l’Italia a Taranto. Per nessuno di questi dossier c’è tempo, neanche quello di oliare gli ingranaggi di un governo per ora tutt’altro che perfetti. Dalla sua, Giorgetti conta su una certa tranquillità nel percorso della legge di bilancio. Il ministro sembra aver sviluppato un buon rapporto di lavoro con Alessandro Rivera, il direttore generale del Tesoro che assicura un prezioso canale anche con Bruxelles. I due si intendono sull’esigenza di concretezza e uno dei frutti dovrebbe essere il passaggio senza strappi della manovra all’esame della Commissione Ue (dove il test è appena arrivato). Neanche la navigazione in parlamento appare proibitiva: con l’aiuto dei tecnici, Giorgetti si è riservato un margine di risorse da varie centinaia di milioni per garantire gli obiettivi di finanza pubblica anche in caso di assalti dalla maggioranza alle Camere. Dal fisco in agricoltura agli incentivi alle imprese, i tentativi di allentare i vincoli non mancheranno. Ma il ministro parte da quello che per lui è un primo risultato: aver contenuto a un miliardo di euro il costo di quelle che considera le «bandierine dei partiti» (incluso il suo, la Lega). A maggior ragione perché alcune richieste, in particolare da Forza Italia, avevano un sapore spiccatamente sudamericano. Certo in questa fase l’intesa fra Giorgetti e la premier Giorgia Meloni è parsa funzionare meglio persino di quella fra il ministro stesso e il suo leader di partito, Matteo Salvini. Se dunque i conti oggi non turbano troppo, l’unico rischio, non piccolo e riconosciuto esplicitamente dal ministro ieri, è che i nuovi sussidi sull’energia diventino necessari anche dopo marzo: «In caso ne parleremo con la Commissione Ue», ha detto Giorgetti. Ma è per le partite industriali che, prima di allora, serviranno nervi d’acciaio e una dose di fortuna. La raffineria Isab di Priolo, controllata dal produttore russo di greggio Lukoil, è un rebus in apparenza insolubile in vista dell’embargo europeo sul petrolio di Mosca che scatta dal 5 dicembre. Ne va di quasi il 15% della raffinazione in Italia, di 1.600 posti di lavoro diretti e di diecimila con l’indotto. Anche con garanzie pubbliche, banche italiane rifiutano di riattivare le linee di credito perché l’impianto funzioni con greggio di altri Paesi: temono sanzioni da parte degli Stati Uniti e danni alla reputazione per avere a che fare con entità russe. Una cessione da parte di Lukoil risolverebbe, ma anche questa è in salita. Un recente articolo del Wall Street Journal sul ruolo di Priolo nelle forniture di carburanti negli Stati Uniti da greggio russo ha paralizzato le banche d’affari internazionali: non aiuteranno a trovare acquirenti, perché anch’esse vogliono difendere il loro buon nome. Priolo dunque si avvia verso lo stallo e l’ipotesi di una nazionalizzazione diventa concreta, prima o magari dopo un fallimento. Ma è più facile a dirsi che a farsi: restano da vedere i costi, gli strumenti e il rischio politico per lo Stato di comprare qualcosa da Lukoil (anche se il gruppo è legalmente basato in Svizzera e esente da sanzioni). Altrettanto urgente è il dossier della rete di Tim. Anche se il ministro non ama l’interventismo di Stato, capisce l’obiettivo del controllo pubblico dell’infrastruttura. Ma non vede vie facili per l’operazione, perché sia la controllata Open Fiber che Cassa depositi e prestiti non sembrano affatto veicoli ideali. Dunque il rischio di un ricorso di massa alla cassa integrazione in Tim è tutt’altro che peregrino. Meno arduo è il dossier della cessione di Ita, dove Lufthansa sembra avere un piano razionale, mentre una presenza di minoranza dello Stato o di una sua controllata non sarebbe invasiva. Quanto alla riattivazione delle acciaierie di Taranto, l’unica strada sarà convincere i proprietari di ArcelorMittal ad affittarla a terzi. Venderla è escluso, con le procure ancora al lavoro. Ma questa è l’Italia, dove a un ministro dell’Economia non si chiedere di darsi strategie: deve solo correre. 25 novembre 2022 (modifica il 25 novembre 2022 | 08:28) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-25 07:28:00, Il ministro dell’Economia ipotizza nuovi sussidi sull’energia dopo marzo. «In caso ne parleremo con la Commissione europea», Federico Fubini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version