Manovra, il filo rosso della cautela di Meloni. Ma ora serve un’idea per rafforzare welfare e imprese

di Federico FubiniLa spesa sanitaria cala in tre anni del 14,3% e il costo delle pensioni sale di 60 miliardi Se c’è un filo rosso che percorre la prima manovra di Giorgia Meloni, è nella cautela. Cautela nel fare disavanzo, nell’allentare i vincoli sulle pensioni o nel riformare il Reddito di cittadinanza. Cautela nello sventolare le bandiere identitarie dei partiti di maggioranza e cautela, rispetto alle premesse, persino nello strizzare l’occhio agli evasori senza eccedere. Ma cautela, anche, nell’esprimere qualunque visione del Paese e del governo negli anni futuri. Forse era troppo chiedere di più dopo appena un mese di lavoro, con una recessione alle porte e un’immensità di risorse immobilizzate (almeno) fino a marzo nella crisi dell’energia. Proprio in questo il governo un certo coraggio però lo dimostra, perché ridurrà gli sgravi sulla benzina. Quelle misure costano un miliardo al mese e quando furono prese un litro di benzina costava il 30% più di oggi, dunque ridurle è razionale. Ma non facile: milioni di italiani presto noteranno solo i rincari, quando si fermeranno alla stazione di benzina. Dopo aver detto di essere pronta anche a misure impopolari, Meloni è stata di parola. Non di parola (parlava di abolizione) ma realista la premier è stata sugli aspetti del reddito di cittadinanza che dall’inizio avevano in sé i semi della propria disfatta, perché rendono troppo facili le frodi. Qui il governo dovrà trovare meccanismi di collegamento dei disoccupati con il mondo del lavoro, sui quali ancora non si vedono proposte mature. Il resto sono misure così numerose da essere omeopatiche, a volte, per l’esiguità dell’impatto nel contesto di un budget limitato. Sicuramente aver messo mezzo miliardo su una carta per la spesa alimentare dei redditi bassi è più giusto ed efficace del taglio dell’Iva sul latte per tutti, come chiedeva Forza Italia. Le forme di condono più audaci di cui si era parlato sono scomparse dalle misure, anche se sull’aumento della soglia del contante a 5.000 euro vale il commento di “Marco F.”, l’artigiano di Varese che ha scritto al Corriere il 12 novembre ammettendo di essere un evasore. Racconta il signor Marco: “Vivevo con il timore di venire segnalato all’Agenzia delle Entrate. Ora che potrò spendere fino a 5.000 euro in contanti vivrò molto più tranquillamente”. Infine le pensioni. Quelle minime crescono di meno di sette euro al mese rispetto agli aumenti già programmati. Troppo piccoli per mancanza di risorse anche gli incentivi per restare al lavoro, benché l’idea del ministro Giancarlo Giorgetti sia condivisibile. Ma il dato di fondo è che si apre una nuova breccia nella Legge Fornero con l’opzione del ritiro a pieni diritti a 62 anni con 41 di contributi. La spesa sul 2023 è limitata, ma più avanti? Concedere simili finestre nei prossimi anni della legislatura finirebbe per costare una decina di miliardi e questo dovrebbe indurre tutti a guardare i numeri silenti della manovra, quelli della spesa pubblica. Già solo con il sistema Fornero (di fatto già abbandonato a favore di scappatoie un po’ più onerose) la spesa per pensioni esplode di quasi 60 miliardi in tre anni e arriva a pesare il 40% di tutta la spesa pubblica, tolta quella per interessi sul debito. Ha senso? Di certo è sostenibile nei numeri del governo – che confermano quelli del governo precedente – solo a costo di congelare, come quantità di euro, tutto il resto della spesa pubblica eccetto gli investimenti sostenuti dal Piano di ripresa. Ma l’inflazione si divorerà il valore reale di quelle linee di bilancio congelate. Così nel giro di tre anni la spesa sanitaria crolla del 14,3% in proporzione al prodotto interno lordo; la spesa per le altre prestazioni di welfare va giù del 13,5%; quella per i dipendenti pubblici giù del 13%. Sono le premesse di una crisi sociale o di forti tensioni sul debito, se non si interviene con saggezza. Per questo il governo da ora sarà chiamato a darsi una visione e a seguirla. Questo è un Paese che dal 1980 ha perso 28 punti su cento di produttività rispetto alla Francia, 47 sugli Stati Uniti e 60 sulla Germania. La produttività delle imprese (e dello Stato) è ciò che crea lavoro, reddito, gettito e riduce la povertà. Il resto sono solo palliativi: a volte necessari, altre volte solo costosi, ma alla lunga fondamentalmente inutili se l’obiettivo di tutti è invertire un declino lungo quasi mezzo secolo. 23 novembre 2022 (modifica il 23 novembre 2022 | 07:50) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-23 06:51:00, La spesa sanitaria cala in tre anni del 14,3% e il costo delle pensioni sale di 60 miliardi, Federico Fubini

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