Marco Lavazza: «Noi torinesi non stiamo organizzando cose belle, stiamo ricostruendo la nostra immagine nel mondo»

di Christian Benna

Il vice presidente di Luigi Lavazza Spa spiega perché ospitare manifestazioni eccellenti ha un ritorno economico-sociale che va ben oltre l’aspetto turistico

«Fino a qualche anno fa portare manager e talenti in città da fuori regione o dall’estero era molto difficile. Torino era quel luogo a 140 chilometri da Milano, Fiat, Juventus e poco altro. Oggi molto è cambiato perché la città, oltre all’atmosfera bella e frizzante di questi giorni, può diventare un brand di successo, un posto dove eventi eccellenti, dall’arte allo sport al food, hanno trovato casa». Da ex runner «consumato», nel senso che «le ginocchia non sono più quelle di una volta», Marco Lavazza, vice presidente dell’omonima azienda e membro del comitato d’onore delle Atp Finals sa che le maratone si vincono passo dopo passo ma con una visione strategica che va ben oltre il traguardo. E così vanno affrontati anche gli eventi che stanno trasformando la città in un palcoscenico. «Il super ottobre-novembre di eventi che attraversa la città, cominciato con Terra Madre, Artissima e le Atp Finals, non è solo un fatto turistico-culturale ma è il frutto di un lavoro tutt’altro che scontato che arriva da lontano e che ci rimette nella mappa». Lavazza rifugge l’idea dei grandi eventi con una missione salvifica in grado di rilanciare l’economia. «Noi torinesi non stiamo organizzando cose belle, stiamo ricostruendo la nostra immagine nel mondo. Tutto questo ha un valore immenso, ecco perché Lavazza investe e sostiene molte iniziative in città».

Marco Lavazza, davvero Torino è un brand di successo?
«Eccome se lo è. Parlo per esperienza personale: “Lavazza: Torino, Italia, 1895”. Con queste quattro parole iconiche noi ci presentiamo nel mondo, a Wimbledon come al Roland Garros, e sui mercati internazionali. E lo facciamo perché ci crediamo, questa città porta con sé valori di credibilità, esperienza ed eccellenza. Non c’è marchio migliore. Ma va valorizzato di più, appunto anche grazie agli eventi a cui leghiamo la nostra immagine».

A che serve essere una città-brand riconosciuta nel mondo?
«Noi torinesi rimaniamo gli underdog per eccellenza, gli outsider che partono in sordina e poi stupiscono per qualità. Ecco stiamo ricostruendo il marchio Torino per essere sempre più attrattivi. Non è una cosa di poco conto. Significa attrarre talenti e capitale umano che è la vera posta in gioco del futuro. Grazie a questi elementi la città può crescere e intraprendere strade nuove».

Gli eventi salveranno la città?
«Dal punto di vista economico possono contribuire a generare ricchezza. Ma evidentemente non possono essere il core business di una città come Torino. Eppure una politica strategica sull’attrazione di eventi risulterà decisiva per la trasformazione del territorio. Lo vediamo in questi giorni: siamo sommersi di arte e di mostre mentre vanno a ruba i biglietti per le Atp Finals».

Torino è sempre a caccia di eventi. Non sempre ha successo.
«Bisogna puntare sulla qualità di questi eventi, sulla ripetibilità e poi investire nel filone che si è scelto. Faccio un esempio: le Olimpiadi Invernali 2006 sono state un’esperienza fantastica che ha fatto molto bene alla città. Ma poi si è investito poco negli sport invernali. Così l’evento rischia di essere un’occasione persa. Perciò sarebbe meglio concentrarsi su eventi di eccellenza per un lungo periodo come le Atp Finals o Artissima».

Torino dovrebbe candidarsi a ospitare un torneo Atp 250 e già pensare alla prossima candidatura delle Finals?
«Non bisogna mai smettere di investire e di guardare lontano. E lo stiamo facendo come città. Ricordo che qui ci sono due tra le fondazioni bancarie più importanti d’Italia e d’Europa; se, come sta accadendo per le Atp Finals, il pubblico e il privato riescono a lavorare in sinergia e nella stessa direzione, si possono fare tante belle cose».

Arte, food, cultura e sport. E poi che altro?
«Ribadisco: puntare sull’eccellenza. Su eventi che hanno grande richiamo e che si leghino alle nostre radici e al nostro modo d’essere. Non ci possiamo permettere la mediocrità».

Sul fronte del food ci sono tantissimi eventi. Forse troppi?
«Troppi direi di no. Anzi ne manca qualcuno all’appello. Mi stupisco ancora che a Torino non ci sia un museo del Vino. Bordeaux ce l’ha. E poi potremmo ospitare grandi eventi di cucina, magari di una delle guide più famose».

All’appello manca il caffè. Perché Torino patria dell’espresso non ha un grande evento sul caffè?
«In Italia ci sono più di 700 aziende di torrefazione, ognuna titolata a parlare della storia del caffè. Sicuramente dovremmo parlarci di più e organizzare eventi sulla cultura del caffè. Ribadiamo con orgoglio che l’espresso — una delle icone più riconosciute del made in Italy — è nato proprio in questa città».

Lavazza investe da 11 anni nel tennis. La vostra espansione internazionale segue i tornei del grande slam. Dal punto di vista economico a che serve investire negli eventi di Torino visto che in Italia siete già leader di mercato?
«Perché crediamo in questa città e l’investimento che abbiamo fatto con il nostro headquarter Nuvola ne è l’emblema. Per noi essere parte attiva della crescita di questa comunità è indispensabile per crescere. Questo è il senso del brand Torino, una comunità che cresce insieme».

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6 novembre 2022 (modifica il 7 novembre 2022 | 16:42)

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, 2022-11-07 14:55:00, Il vice presidente di Luigi Lavazza Spa spiega perché ospitare manifestazioni eccellenti ha un ritorno economico-sociale che va ben oltre l’aspetto turistico, Christian Benna

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