Marta Salogni: Con il mio mixer ho conquistato Bjork e i Depeche Mode

di Stefano Montefiori

I concerti al centro sociale, il liceo a Brescia, poi la scelta di Londra. Ora ingegnera del suono di star e musicisti d’avanguardia: All’inizio portavo t e caff negli studi. Nel mio lavoro le donne sono solo il 5%, anche se l’orecchio non dovrebbe avere sesso…

Vicino al parco di London Fields nel nord-est di Londra, tra nuovi cantieri, ristoranti e spazi di co-working, c’ un ex edificio industriale dove Marta Salogni ha ricavato il suo studio. Abbiamo costruito una specie di stanza nella stanza, lasciando 15 centimetri di spazio tra il muro esterno e quello interno in modo da tenere fuori i rumori. Sono riuscita a mantenere le finestre, il mio equipaggiamento pi importante. qui che la 32enne arrivata a Londra da Capriolo, paese di 7000 abitanti in provincia di Brescia, suona i suoi registratori a nastro e mixa e produce i migliori artisti d’avanguardia e non del mondo: tra loro Animal Collective, XX, Bjork, Phil Selway (Radiohead), Bon Iver, Goldfrapp, Erland Cooper, Daniel Avery, e i Depeche Mode giunti al loro quindicesimo album. Ieri sera ho ascoltato qui le versioni finali del loro nuovo disco, Memento Mori . Suonano benissimo, approvate, il disco pu andare in produzione. Uscir in primavera.

VOLEVO ISCRIVERMI A FILOSOFIA, SOGNAVO DI FARE LA DOCENTE. MA PRESTO HO CAPITO CHE I SUONI ERANO IL MIO DESTINO

Marta Salogni offre un th al latte, fa accomodare l’inviato di 7 sul divano chesterfield verde davanti a un poster di James Baldwin, accanto a qualche chitarra e basso elettrico, tra mixer, altoparlanti e mellotron. Una conversazione fino all’imbrunire su come una ragazza bresciana con la maturit classica sia riuscita a eccellere a Londra nell’arte tipicamente londinese e (finora) quasi esclusivamente maschile dell’ingegneria del suono, fino a vincere il premio di Uk producer of the year per il 2022 attribuito dalla MPG, l’associazione dei produttori musicali britannici.

Cominciamo dai registratori analogici qui davanti a noi. Perch i vecchi nastri sono importanti?
Sono complementari rispetto al digitale, che ovviamente uso molto. Il computer fantastico, rende tutto facile e preciso. Con il nastro ci vuole pi occhio e pazienza perch per fare l’editing bisogna usare rasoio e scotch, tagliare e rincollare fisicamente. Con i primi soldi messi da parte come assistente anni fa mi sono comprata una macchina Revox PR99 che ancora oggi la mia preferita.

Li usa come strumenti musicali?
S, creo loop e ritardi sui quali gli artisti con i quali collaboro possono interagire, e viceversa. Per esempio, Erland Cooper mi ha mandato dei nastri registrati alle isole Orcadi nell’estremo nord della Scozia: erano ancora umidi di terra e intemperie, li ho montati su un’asta del microfono e messi nel Revox. Riscaldandosi profumavano di terra bagnata, quell’odore dopo la pioggia che in inglese si chiama petricor. C’ un aspetto fisico, legato ai sensi, che stimola la creativit. Uso le macchine a nastro come uno strumento, per esempio, nel progetto con la batterista Valentina Magaletti, altra italiana di Londra.

Quando cominciata questa avventura?
Ero ancora al liceo, a Brescia. A 15-16 anni andavo ai concerti del centro sociale Magazzino 47, ricordo ancora l’emozione quando ho visto il mio primo mixer, uno Yamaha. Mi hanno spiegato che quell’oggetto pieno di manopole serviva per controllare e miscelare il suono degli artisti sul palco. Rimasi affascinata dalla possibilit di stare in mezzo al pubblico, interagendo per con la performance sul palco, grazie al mixer.

I concerti nei piccoli locali possono essere faticosi: l’acustica complicata, il microfono che fischia, la band alle prime armi. Come ha superato quella fase senza scoraggiarsi?
Ho avuto la fortuna di avere un maestro eccezionale, Carlo Dall’Asta, che si occupava dell’impianto audio del Magazzino 47. Con lui ho imparato che se sei bravo avrai sempre un buon suono, con qualsiasi equipaggiamento. E se il gruppo bravo, le canzoni sono buone, e il fonico e il produttore sono in gamba, avremo un gran disco anche se non registrato ad Abbey Road (qualche anno fa Marta Salogni ha poi tenuto una masterclass all’Abbey Road Institute, ndr ).

Quando arrivata a Londra?
Dopo la maturit classica. Invece di iscrivermi a filosofia o scienze politiche a Bologna e sperare di diventare poi professoressa universitaria, la mia prima idea, ho capito che nella vita dovevo continuare a lavorare con i suoni, come al Magazzino 47. Non ho avuto dubbi, quella era la strada. Unica incertezza Londra o Berlino. Ma zero tedesco, poco inglese. Quindi Londra.

Inizi difficili?
Come normale. A Londra non conoscevo nessuno, e l’inglese imparato a scuola andava bene per leggere Oscar Wilde, meno per ricaricare la tessera della metro. Ma ero tranquilla, anche perch non avevo un piano B. Dovevo farcela, sapevo che ce l’avrei fatta. Ho fatto la babysitter, e un corso di nove mesi molto utile per imparare la post-produzione. Poi ho fatto il giro degli studi di registrazione portando a mano il curriculum. Se mandi e-mail nessuno ti risponde. Se ti presenti di persona, un primo contatto lo stabilisci.

Come riuscita a entrare nel primo studio di registrazione?
Sono andata allo State of The Ark dove c’ questo bellissimo banco EMI TG12345, avevo visto la foto nella rivista specializzata americana Tape Op. Mi hanno detto che non avevano lavoro da offrirmi, non potevano pagarmi. Ho risposto che avrei portato t e caff, messo a posto i microfoni, a loro non costava niente ma a me permetteva di mettere un piede in quel mondo. Poi ho lavorato ai Dean Street Studios, come assistente poi ingegnere del suono e produttrice free lance. Se nel fine settimana lo studio era libero mi permettevano di usarlo gratis. Andavo ai concerti nei locali, se la band mi piaceva dicevo “vi va di venire a registrare un pezzo?”. Era un modo per fare esperienza e mettere in pratica le cose che avevo visto fare dai produttori titolari durante la settimana. Poi qualcuna di quelle band ha avuto un contratto discografico, hanno parlato bene di me, il passaparola mi ha aiutato, finch allo studio Strongroom ho incontrato David Wrench, il mio secondo mentore dopo Carlo Dall’Asta.

Il fatto di essere una ragazza in una professione dominata dagli uomini l’ha scoraggiata?
No, anzi ho cercato di farne una forza. A Brescia ero conosciuta come “Marta la fonica” perch ero l’unica donna, sono un’eccezione ma spero presto di non esserlo pi, una questione che mi sta molto a cuore. Le donne non superano il 5% in questa professione, ma una disparit unicamente sociale, culturale e storica. Questo mestiere si fa usando l’orecchio, che non cambia a seconda del sesso.

I suoi genitori come l’hanno presa quando partita per Londra?
Si fidavano di me, ma erano preoccupati. Spero che vedendo me altre ragazze possano dire e a s stesse e ai loro genitori che si pu fare, c’ una strada che stata gi percorsa. I miei modelli femminili sono stati Daphne Oram e Delia Derbyshire alla Bbc, che purtroppo non ci sono pi, e Leslie Ann Jones degli Skywalker Studios in America. Adesso la mia famiglia ha capito di che lavoro si tratta, quando torno in Italia porto sempre i dischi con il mio nome dietro, e loro mi fanno osservazioni sempre pi pertinenti.

LA MIA CANZONE PREFERITA? ‘SE TELEFONANDO’ DI MINA. ‘LA VOCE DEL PADRONE’ DI BATTIATO UN ALBUM ECCEZIONALE

Quali sono le sue canzoni preferite?
Se telefonando cantata da Mina, con la quale sogno di collaborare. Per l’eleganza dell’arrangiamento, l’uso degli strumenti, la performance mozzafiato. Poi c’ un disco italiano bellissimo che visito quasi tutti i giorni, Prati bagnati del monte Analogo, di Raul Lovisoni e Francesco Messina, del 1979. Il Bestiario di Maria Monti, e il pi conosciuto La voce del padrone di Franco Battiato, che ha una produzione musicale eccezionale.

Com’ stato lavorare con superstar come Bjork o adesso con i Depeche Mode?
La collaborazione con gli artisti richiede empatia e attenzione, questo vale per tutti. La differenza del lavorare con personalit cos affermate, con una carriera cos solida alle spalle, che loro sanno esattamente quello che vogliono. Poi, pur cercando di sperimentare e di andare sempre avanti, io cerco di essere molto rispettosa del loro catalogo, del suono che si sono costruiti negli anni.

I Depeche Mode sono rimasti in due dopo la morte improvvisa di Andy Fletcher. Questo ha pesato nelle registrazioni?
Andy non c’era pi ma era come se fosse presente. Martin Gore e Dave Gahan lo ricordavano spesso mentre registravamo assieme al produttore James Ford, “Andy direbbe questo”, “a Andy questo non piacerebbe”, anche mentre scherzavano. L’album si chiama Memento mori, un titolo deciso gi prima della scomparsa. Sono esperienze molto intense dal punto di vista umano, non solo artistico o tecnico. Abbiamo registrato a Los Angeles, poi aggiunto qualcosa a New York, e ho mixato l’album qui, in questa stanza.

Lei passa la vita a cercare, perfezionare e registrare nuovi suoni. Non la fa star male vedere i ragazzi che ascoltano la musica usando i micro-altoparlanti del telefonino?
Cerco di restare positiva. Non voglio fare mix d’lite, metto a punto i dischi su questo impianto professionale perfettamente calibrato ma poi voglio che suonino bene anche sulle cuffiette o il telefonino. Credo nell’accesso democratico alla musica, ormai ci sono casse bluetooth da 20 euro che permettono di avere una qualit decente. Ma il progresso tecnologico render sempre pi accessibile una riproduzione sonora davvero fedele. importante, perch dietro a questa musica c’ tantissimo lavoro e tantissima passione.

26 dicembre 2022 (modifica il 26 dicembre 2022 | 09:51)

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