Il Mereghetti, cinema infinito. Il Dizionario dei film compie trent’anni

di PAOLO BELTRAMIN

Esce il 29 novembre per Baldini+Castoldi la nuova edizione, aggiornata, estesa, sempre diversa, del repertorio del critico del «Corriere»: 35 mila schede, oltre 7 mila pagine

Il primo a dare il triste annuncio era stato lo stesso Louis Lumière: «La nostra è un’invenzione senza futuro». Dal 1895 a oggi la notizia della morte del cinema — ucciso dalle tivù commerciali, dalle serie in streaming, perfino dai film a luci rosse — è stata rilanciata tante volte, ma rimane fortemente esagerata. D’altronde non sarebbe una gran perdita, a sentire una schiera di scrittori e intellettuali tutti presi dal complesso di superiorità. Così Giovanni Verga, che pure accetta di «adattare» i suoi romanzi al nuovo mezzo, avverte: «Vi prego e vi scongiuro di non dire mai che io abbia messo le mani in questa manipolazione culinaria delle cose mie». Céline, come sua abitudine, si spinge oltre: «Il cinema, questo nuovo piccolo salariato dei nostri sogni, lo si può comprare, procurarselo per un’ora o due come una prostituta». Con tutto il rispetto per questi mostri sacri, non è dato sapere chi consigliasse loro quali film vedere.

«Il» Mereghetti, del resto, ha compiuto appena trent’anni. L’articolo determinativo è doveroso, perché il dizionario dei film firmato dal critico del «Corriere della Sera» ormai sta al cinema come «il» Rocci sta al greco antico (e come Sean Connery sta a 007, se pensiamo alle tante imitazioni…). Quando uscì la prima edizione nel 1993 — erano i tempi del governo Ciampi, del primo Oscar a Clint Eastwood e di Olympique Marsiglia-Milan — aveva 13 mila voci in un volume unico, poco più di un migliaio di pagine. Quello in libreria da oggi (pubblicato come tradizione da Baldini+Castoldi) è un cofanetto con 35 mila schede in 7.520 pagine, più altre 2.400 di indici con le filmografie di registi e attori e i titoli originali di tutte le opere citate.

In ordine cronologico si parte da L’uscita dalle fabbriche Lumière, primo film proiettato al pubblico la sera del 28 dicembre 1895 al Salon indien du Gran Café di Parigi, e si arriva fino a Esterno Notte di Marco Bellocchio. Nella prima facciata troviamo A.A.A. Massaggiatrice bella presenza offresi… di Demofilo Fidani: «Penoso incrocio di commedia di costume scollacciata (ma i nudi non sono mai integrali) e giallo post-argentiano. Per anni irreperibile, gode di una fama immeritata»; l’ultima voce è dedicata al film muto Zvenigora, la montagna incantata del maestro ucraino Aleksandr Dovženko: «Narrazione liberissima che mescola storia e leggenda», con un «ritmo palpitante e allucinatorio che deve qualcosa alle poesie di Majakovskij».

Titolo del film, voto in stelle (da una a quattro, come sanno bene i lettori del «Corriere»), cast e dati tecnici, riassunto della trama, giudizio di valore: in questi trent’anni la formula del Mereghetti è rimasta identica. Ma all’inizio degli anni Novanta il giovane critico doveva per forza basarsi sul ricordo dei film visti al cinema, anche a diversi anni di distanza, sulle poche cassette Vhs a disposizione, su monografie e ritagli di giornali. Così per ogni nuova edizione, oltre ad aggiungere i film usciti nel biennio precedente, ha deciso di riscrivere completamente centinaia di schede di opere del passato. Per il dizionario del trentennale, Mereghetti ha rivisto e rivalutato tra gli altri i capolavori di maestri come Akira Kurosawa e Martin Scorsese, Michelangelo Antonioni e Bernardo Bertolucci; ma ha approfondito anche le filmografie di grandi registi oggi misconosciuti, da Sidney Lumet a Bertrand Blier, da Mario Soldati fino al genio dell’animazione Tex Avery; e ancora molti campioni del cinema popolare, come le slapstick comedy all’italiana della coppia Bud Spencer e Terence Hill, i peplum con Maciste e i gialli con Philo Vance.

Ogni scheda è una scoperta, bella da leggere anche senza aver visto il film. Tantissimi gli aneddoti e i dettagli per cinefili impenitenti, come la «migrazione» del tema musicale scritto da Tiomkin per Il fiume rosso, diventato undici anni dopo canzone — e che canzone — per Un dollaro d’onore. O come la strampalata «correzione» del Silenzio, film minore di Bergman: la censura italiana approfittò del doppiaggio per cambiare il senso del film; la frase scandalo «È questione di secrezioni ed erezioni» diventa «È questione di ormoni». E nel finale, una voce di bambino dice la parola «anima», assente dalla versione originale dell’opera. «Un modo disonesto», scrive Mereghetti, «per recuperare una lettura spiritualista».

Più ancora della ricchezza di informazioni, più delle ormai temutissime «stelle», è un altro il valore che rende questo dizionario davvero unico: il patto segreto tra l’autore e noi lettori/spettatori. Potremo non essere d’accordo con alcuni dei suoi giudizi (a proposito: ma come può dare appena due stelle e mezza a Fronte del porto?), ma anche nelle sue scelte più sorprendenti, Mereghetti non scrive mai per partito preso, da partigiano di un autore o di una scuola. Ogni film è valutato soltanto per quello che è, davanti allo sguardo libero del critico. Il bidone, forse l’opera di Fellini più massacrata all’uscita (andate subito a vederlo su RaiPlay), gli è piaciuto più della Strada, film che ha fatto il giro del mondo. Mereghetti non è certo un amante di Tarantino, ma a Jackie Brown dà tre stelle e mezzo. È stato tra i primi in Italia a esaltare quel geniaccio di Adam McKay (La grande scommessa ha quattro stelle), ma poi è rimasto deluso da Don’t look up (anche se va tanto di moda).

Ogni volta che rivede un film, Mereghetti ha ancora la curiosità intellettuale (e l’entusiasmo) per rivalutarlo da capo. In peggio o in meglio. Nell’ultima edizione del dizionario perde punti The Square, la prima Palma d’Oro di Ruben Östlund (e a tanti, vedendo in sala in questi giorni Triangle of Sadness, è venuto il sospetto che l’enfant prodige svedese sia solo un bluff); nel frattempo fa il suo ingresso nella lista dei capolavori assoluti un film di Douglas Sirk: Lo specchio della vita.

Il Mereghetti è un dizionario senza definizioni assolute, ma con una certa idea di cinema. Tra un film di Godard e uno di Truffaut, meglio andare a vederli entrambi. Oggi come trent’anni fa, questo librone vuole essere soprattutto una bussola, per orientare lo spettatore tra le centinaia di titoli disponibili in sala, nei canali tv e nelle nuove piattaforme. La sua ambizione, scrive l’autore nell’introduzione, è «indicare sempre la via del cinema anche quando in molti sembrano volersi incaricare di nasconderla o cancellarla. Io continuo a credere che quella strada ci sia ancora e che molti vogliano ancora seguirla».

Già, la via del cinema. Un altro grande critico del «Corriere», Tullio Kezich — in un episodio riportato da Gian Piero Brunetta nel suo saggio Buio in sala — un giorno incontrò un esercente, che gli disse: «Il cinema è una brutta bestia… Sapete cosa penso? La fortuna del cinema è quella di essere fatto al buio: senza scherzi, sono gli innamorati che ci fanno staccare i biglietti!». Come nella Ronde di Max Ophüls, nell’oscurità della sala le coppie continuano a farsi e disfarsi in un ballo infinito.

28 novembre 2022 (modifica il 28 novembre 2022 | 21:28)

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