Migranti, «Se restate a piedi, buttateli tutti a mare». I dialoghi choc tra gli scafisti

di Lara SirignanoLe intercettazioni della banda di trafficanti di uomini che lavorava tra il Nord Africa e le coste siciliane Il quartier generale era la masseria di un imprenditore nelle campagne di Niscemi, piccolo centro della provincia di Caltanissetta. L’organizzazione di trafficanti di uomini si riuniva lì. E lì scontava, agli arresti domiciliari, una condanna a sei anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina Akrem Toumi, tunisino, mente della rete criminale scoperta ieri dalla polizia, che per anni ha organizzato i viaggi di migliaia di disperati dal Nord-Africa verso le coste siciliane. «Lo sai con chi stai parlando? Io sono Akrem, il più grande trafficante tra Tunisi e l’Italia», si vantava con un amico, non sapendo di essere intercettato. Ad aiutarlo nella gestione degli affari era la fidanzata, Sarra, anche lei tunisina, finita in carcere con il suo uomo e altri dodici indagati. La masseria ospitava gli scafisti impiegati per la traversata: molti erano siciliani e alcuni avevano precedenti per mafia. E serviva da rimessa per le imbarcazioni usate per i viaggi: nelle campagne nissene venivano nascosti, prima di essere messi in acqua, i potenti motoscafi che in quattro ore collegavano le coste nordafricane a quelle siciliane. Taxi del mare che salpavano da Gela o dalle spiagge agrigentine per raggiungere la Tunisia e tornare indietro con il «carico» di migranti. «Agnelli», li chiamavano parlando tra loro i trafficanti. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Caltanissetta, è partita nel 2019 quando, all’imbocco del porto di Gela, si incagliò una barca di 10 metri con due motori da 200 cavalli. La squadra mobile di Caltanissetta scoprì che era stata rubata a Catania pochi giorni prima e che era servita per trasportare un gruppo di profughi. Anni di indagini per ricostruire decine di traversate redditizie e sicure per la banda: il boss tunisino aveva complici nelle autorità portuali del suo paese. E i motoscafi veloci riuscivano a sfuggire ai controlli della Guardia Costiera. Ogni traversata portava nelle casse della banda dai 30 ai 70mila euro. Le imbarcazioni viaggiavano strapiene. Venti, trenta persone stipate in poco spazio perché per gli scafisti gli uomini, le donne e i bambini diretti in Sicilia valevano meno delle sigarette di contrabbando caricate sui natanti per essere vendute in Italia. «Se restate a piedi, buttateli a mare», diceva uno degli indagati in siciliano. Frasi farfugliate, intercettate dalle cimici della polizia, tradotte dagli inquirenti che contestano alla banda l’aggravante «di aver esposto i profughi a pericolo di vita». Finché il carico non era pieno Akrem non dava l’ordine di salpare. «Guarda che ci sono pure quelli che per partire hanno venduto le loro terre», gli diceva uno degli scafisti. «Un ragazzo mi ha dato 2000 euro e ora sta seduto, sta aspettando — spiegava al suo capo ridendo —. Io gli ho detto che deve stare calmo. C’è chi piange, chi urla, chi ha sua madre che ha venduto la casa». «Anche se vendono il culo, devono aspettare», rispondeva il boss. Chi partiva doveva pagare dai 5 ai 7mila euro e la banda curava tutte le fasi del viaggio: dalla partenza all’ospitalità dei profughi dopo lo sbarco. A quattro tunisini era stato assegnato il compito di raccogliere il denaro prima della traversata. I soldi venivano usati per comprare nuove imbarcazioni veloci o versati su carte prepagate intestate ai capi dell’organizzazione. Che sognavano di diventare ricchi e trasferirsi in Francia. 18 novembre 2022 (modifica il 18 novembre 2022 | 08:09) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-18 07:09:00, Le intercettazioni della banda di trafficanti di uomini che lavorava tra il Nord Africa e le coste siciliane, Lara Sirignano

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