Il «modello Napoli» non è esportabile

politeia Mezzogiorno, 4 dicembre 2022 – 08:36 Il «campo largo» non è il «campo dei miracoli» di Pinocchio. Non nasce spontaneamente di Antonio Polito «Il caso Napoli dimostra che quando si sta insieme si vince, e non lo dobbiamo dimenticare». Gaetano Manfredi non è certo l’unico a ripetere questo mantra. Tra coloro che propongono una rinnovata comunanza con i Cinquestelle è però certamente uno dei più autorevoli e da ascoltare. Intanto perché lui ha davvero vinto nelle urne, a differenza degli Orlando e dei Provenzano, e nonostante l’inconsistenza dell’avversario oppostogli un anno fa dal centrodestra, che lo ha certamente e grandemente avvantaggiato, vincere non è mai facile. E poi perché è un sindaco serio e per bene, in una città che si è spesso ahinoi innamorata di personalità al suo opposto. Inoltre, Manfredi ha reso queste sua dichiarazioni alla presentazione di un libro di Stefano Fassina («Il mestiere della sinistra»), anche lui una persona di valore e appassionata alla politica, di cui apprezzo soprattutto la coerenza nel sostenere che la sua parte, per risorgere, abbia bisogno di ripartire dal lavoro, e soprattutto dal lavoro degli ultimi, dei non sindacalizzati, dei non garantiti, dei non protetti, dei sottopagati e ipersfruttati; di quelli che insomma votano ormai a destra, visto che la sinistra si è chiusa nelle sue Ztl (e con Elly Schlein segretaria potrebbe restringersi alle aree pedonali). Proprio per il valore del sindaco Manfredi, che non è un demagogo come i tanti dirigenti del Pd che sono stati prima con Renzi, poi con Zingaretti, poi con Letta, e ora ci spiegano sussiegosi che hanno tutti sbagliato tutto perché non li hanno ascoltati, colgo l’occasione per discutere l’assioma in base al quale «uniti si vince» da lui ripreso esaltando il «modello Napoli». La prima domanda è: uniti chi? Chi ci deve essere in questo campo larghissimo, sconfinato, che va da Che Guevara a Madre Teresa, per parafrasare Jovanotti? Manfredi elenca: «Se guardiamo ai temi il Pd, il M5S, la sinistra riformista e le forze del centro, sono più le cose ci uniscono…». Ma il sindaco davvero pensa che sui temi del governo del Paese, a livello nazionale, le cose che uniscono il centro di Calenda e il M5S di Conte siano così tante? Si riferisce al sostegno all’Ucraina, al reddito di cittadinanza, all’uso del denaro pubblico? Quali sarebbero queste cose che uniscono? Aggiungo: è rivelatore un dettaglio della frase di Manfredi (così come è riportata sul Corriere del Mezzogiorno di ieri da Paolo Cuozzo): nel suo elenco infatti il Pd e la «sinistra riformista» sono già separati, come se già fosse avvenuta quella ennesima scissione nel Partito Democratico di cui tanto si parla, e che di fatto è già avvenuta nel comitato per riscrivere i valori di quello che fu il Pd delle origini, a guida Veltroni. Dunque i «riformisti» sono già fuori da quello che Lepore e Orlando propongono di ribattezzare PaDeL, e cioè Partito Democatico del Lavoro, e cioè un partito ancora più piccolo ma più fedele a Conte? E il sindaco pensa che dopo una tale scissione le probabilità di una grande unione sarebbero maggiori? Ma il «modello Napoli» prevede anche altro, come ci ricorda l’autore dell’articolo. Il gruppo che in consiglio comunale porta il nome di «Manfredi sindaco» con sei consiglieri è il partito di maggioranza relativa insieme al Pd, e presto lo supererà con l’arrivo di altri ex Cinquestelle, soprattutto «dimaiani» rimasti senza casa. Se volessimo estendere il «modello Napoli» all’Italia tutta, come Manfredi suggerisce, dovremmo dunque trovare un altro Manfredi a livello nazionale per unificare il centrosinistra. Ci sarebbero delle difficoltà: e la prima è che gli elettori non sono trasformisti come i consiglieri comunali e votano in base ad altri criteri. La seconda è che purtroppo non c’è un Manfredi d’Italia. E l’unico modo di averlo un giorno sarebbe un sistema di voto a elezione diretta a doppio turno che consenta di eleggere un sindaco d’Italia. E infatti io penso che al centrosinistra converrebbe forse anche più che alla destra di sostenere il presidenzialismo, perché sarebbe l’unica possibilità che ha di unirsi davvero in un campo largo nel ballottaggio contro l’avversario. Ma, ovviamente, il presidenzialismo è uno scandaloso «tentativo autoritario» che la sinistra combatterà con tutte le sue forze. Insomma: il «campo largo» non è il «campo dei miracoli» di Pinocchio. Non nasce spontaneamente, come se la politica non contasse, e infatti non è nato prima delle ultime elezioni nonostante il povero Letta ci abbia provato, e invece ognuno se ne è andato per i fatti suoi, compresi Fratoianni e Bonelli, gli unici due fedeli all’alleanza col Pd fino al voto, e poi subito dopo andati via una volta eletti, come del resto fece Vendola con Bersani nel 2013. Dunque, ogni volta che nel dibattito a sinistra qualcuno dice «uniti si vince», chiedetegli: uniti chi, uniti per che, e uniti con chi. Altrimenti non significa nulla. 4 dicembre 2022 | 08:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-12-04 07:36:00, Il «campo largo» non è il «campo dei miracoli» di Pinocchio. Non nasce spontaneamente,

Pietro Guerra

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