di ROBERTO GALAVERNI
Il poeta statunitense di orgine serba morto luned 9 gennaio. Aveva 84 anni
Non c’ dubbio che di poeti e di poesie ce ne siano per tutti i gusti. La poesia, infatti, varia in pratica quanto la vita, a cui si sforza di tenere dietro e che talvolta, invece, sembra quasi anticipare. Cos ci si pu chiedere a quale lettore siano andati incontro, facendosi spesso e volentieri amare, i versi di Charles Simic, il poeta statunitense di origine serba che mancato il 9 gennaio all’et di ottantaquattro anni (era nato infatti a Belgrado nel 1938, ed era espatriato con la propria famiglia negli Stati Uniti nel 1954).
Va detto, allora, che stato apprezzato anzitutto da chi non pensa che sia la poesia a dover salvare il mondo trasformandolo seduta stante; o che sia privilegio esclusivo della parola poetica quello di esprimere verit altrimenti inattingibili. Detto in altro modo, Simic non stato uno scrittore che ha chiesto alla poesia quello che la poesia stessa non poteva mantenere. Piuttosto, i suoi versi sembrano scritti semplicemente per accompagnare le nostre esistenze, per altro cos simili, in quello che davvero conta, alla vita dell’uomo che li ha scritti. Pi di tutto Simic un poeta esatto, puntuale, chirurgico. Parla con chiarezza e intelligenza, e dunque con intuito e capacit di penetrazione, ora di questo e ora di quello, senza la pretesa di esaurire attraverso il singolo componimento poetico tutto quanto l’universo mondo. Ci che davvero gli preme mettere a fuoco di volta in volta una singola immagine — una ragazza che cammina in un parco, un ragazzo che legge in una biblioteca, un albero, un ricordo d’infanzia, un passaggio di un libro — nel convincimento che la poesia debba anzitutto esprimere la percezione di ci che particolare e irripetibile.
Chiarezza, semplicit, intelligenza, precisione espressiva: si capir quanto sia difficile scrivere in questo modo. In fondo il rischio che questi fotogrammi risultino fini a s stessi, come se non avessero anima. Si pu dire allora che la prima qualit di Simic, diciamo pure il punto su cui ha giocato il suo onore di poeta, sia stato quello di fissare l’esistenza cosiddetta comune o ordinaria (quella di tutti, insomma, e dunque anche la nostra) in modo non banale o prevedibile. Da questo punto di vista ogni sua poesia porta con s almeno una piccola sorpresa: una dislocazione dello sguardo, un cortocircuito concettuale, un aggiramento delle proprie premesse conoscitive, un’inversione del senso consueto. La sua maestria, di conseguenza, quella del fare e ottenere il molto col poco, vale a dire attraverso un impiego piuttosto parco dei mezzi espressivi. Tra le sue armi pi efficaci si troveranno allora l’ironia, la presenza di spirito, il sense of humour, che poi nei suoi versi coincide con quel concretissimo senso dei fatti che soltanto un’indefessa osservazione della vita pu avergli consentito.
Non un caso, allora, che Simic sia stato anche un eccellente scrittore di saggi, riflessioni in prosa, soprattutto aforismi. Anzi, tante volte tra l’icasticit quasi da epigramma del suo discorso poetico in versi e l’aforisma in prosa sembra esserci pochissima differenza. Il primo tende alla constatazione sentenziosa, il secondo alla musica verbale, al punto che le due diverse possibilit espressive sembrano venirsi reciprocamente incontro. Il lettore italiano, tra l’altro, ha a disposizione parecchi suoi libri sia di poesia sia di prosa, ad opera di traduttori diversi (Damiano Abeni, Andrea Gardini, Andrea Molesini) per editori anch’essi diversi (Adelphi, Donzelli, elliot, Tlon).
Esistono due tipi di poeti: quelli che invitano il lettore a sguazzare con loro nell’autocommiserazione e quelli che si limitano a rammentargli la comune condizione umana, ha scritto in un’occasione, e non c’ dubbio che il suo nome vada ascritto al gruppo dei secondi. un motivo in pi per rendergli merito. La sua visione di uomini e donne e della loro vita, infatti, tutt’altro che lieta o facilmente positiva. Al contrario, Simic conosce bene — e nella sua opera ce ne parla molto spesso — la violenza della storia, la fragilit dell’identit personale, il sentimento, sempre latente, dell’insensatezza del tutto. un poeta lunatico, non per nulla, che mette a fuoco le cose nella distanza, nel silenzio, nell’oscurit della veglia notturna (una sua raccolta di versi, edita da Adelphi, s’intitola appunto Hotel Insonnia). Eppure c’ in lui, inossidabile, una specie di continuo credito antropologico, come una prima e ultima benevolenza. riuscito a essere un poeta della societ, o meglio della dimensione comunitaria, della vita condivisa, proprio perch, paradossalmente, ha speso tutto in difesa delle prerogative individuali, e cos della libert e della dignit, e della sacrosanta unicit anche, della persona umana. Proprio cos, come tra uno e tutti. Sentiamolo ancora dunque: A me i sistemi non sono mai stati congeniali. La mia estetica afferma che il poeta tale perch non pu essere etichettato. l’irriducibile unicit di ciascuna esistenza che merita di essere onorata e difesa.
10 gennaio 2023 (modifica il 10 gennaio 2023 | 21:38)
© RIPRODUZIONE RISERVATA