La Russia annuncia il ritiro da Kherson. Ma gli ucraini temono una trappola: «Avanzeremo lentamente»

di Andrea Nicastro

La mossa annunciata platealmente, sulla tv pubblica, dal ministro della Difesa Shoigu e dal generale Surovikin, dopo mesi di guerra e perdite di Mosca. Un segnale del Cremlino per i negoziati? La Nato: aspettiamo. Kiev scettica, teme una trappola

DAL NOSTRO INVIATO
MYKOLAIV I russi lasciano Kherson? Si ritirano dall’unico capoluogo che sono riusciti a conquistare? Sì, al più presto, assicura Mosca.

Forse, verifichiamo prima di crederci, riflette Kiev (qui l’intervista a Mikhailo Podolyak, braccio destro del presidente Zelensky).

Il ministero della Difesa di Mosca ha annunciato ieri il ripiegamento dalla riva destra del grande fiume Dnipro che divide l’Ucraina in due. In termini territoriali si tratta solo del 10% della provincia di Kherson con l’80% che resterebbe comunque in mano russa.

Ma su quel dieci per cento di terra c’è il capoluogo, la città più a occidente occupata dai tank di Mosca, un lembo di Ucraina che nei piani del Cremlino doveva fare da cuneo verso Odessa, in modo da chiudere a Kiev ogni accesso al Mar Nero. Ci sono state settimane, mesi, in cui lo sfondamento è sembrato possibile. Invece Mykolaiv, la cittadina dopo Kherson, ha resistito. Tra settembre e ottobre il contrattacco ucraino e, ora, la ritirata. Per il presidente Putin, rimasto in silenzio nel giorno amaro dell’annuncio, un’umiliazione.

Nelle settimane scorse Kherson era già stata svuotata di civili. L’esercito russo dovrà ora portare sulla sponda orientale soldati, blindati, tank e artiglieria che sono schierati nelle campagne a occidente della città. Secondo una valutazione Nato, circa 40mila soldati dovranno attraversare il delta del fiume i cui ponti sono, per quanto si sa, distrutti. Un ripiegamento difficile che potrebbe esporre a enormi perdite. Evgenij Prigozhin, capo dei mercenari del gruppo Wagner e, si dice, aspirante a ruoli ufficiali tra le fila dell’armata, ha elogiato la «non facile decisione» del comandante in capo generale Sergei Surovikin. Un elogio che ha il sapore di condanna: «Il ritiro è sempre complicato. È impossibile lasciare le posizioni senza voltare le spalle al nemico» ed essere quindi vulnerabili. «Avere perdite minime sarà una grandissima impresa per Surovikin». Se invece le perdite non fossero minime, il colpevole ha già nome e cognome.

Gli ucraini sono un concentrato di scetticismo. Ogni dichiarazione invita al dubbio e alla prudenza. Temono una trappola, temono di essere attirati in combattimenti nell’area urbana di Kherson in cui risulterebbero svantaggiati. Questo perché un conto è ritirare la fanteria, un altro non poter martellare il territorio con l’artiglieria. Nei giorni scorsi, fonti inverificabili parlavano di militari russi vestiti da civili pronti ad accogliere con una pioggia di fuoco gli ucraini che si fossero avventurati in città. Sulla prima linea, che è ancora a circa venti chilometri dalla periferia di Kherson, i militari di Kiev parlano di strade, campagne e primi quartieri completamente minati. Oltre a una copertura d’artiglieria che continua ad essere poderosa. «L’avanzata, quando ci sarà, sarà lenta e circospetta» assicurano. «Agiremo secondo i nostri piani, con ricognizioni e avanguardie». «Non vogliamo conquistare Kherson come i russi hanno conquistato Mariupol». «Non distruggeremo una nostra città». Il trucco del cavallo di Troia ha funzionato una volta, nessuno vuole cascarci di nuovo per l’entusiasmo di una vittoria regalata.

Sul fronte russo, la reazione dei blogger più bellicosi e favorevoli all’invasione (che poi sono anche gli unici permessi dalla censura) è stata violenta. «Stiamo seguendo la strategia di Kutuzov? — il teorico della “terra bruciata”, si domanda uno — Molliamo anche Mosca, allora?». «Le prossime ritirate saranno dalla Crimea e Sebastopoli?» insiste un altro. «Kherson è già Russia dal referendum di settembre, no? Vuol dire che stiamo cedendo territori russi?».

Difese d’ufficio sono arrivate da due falchi come il ceceno Ramzan Kadyrov e la direttrice di Russia Today Margarita Simonyan. Il primo ha parlato di «scelta difficile ma giusta. Praticamente migliaia di soldati erano accerchiati. Invece così Sorovikin va a occupare una posizione strategica più sicura e salva gli uomini». La giornalista usa la parola, un po’ spregiativa, di «mobik», i nuovi coscritti (mobilitati) che noi potremmo tradurre come marmittoni e dice: «L’alternativa al ritiro era far morire un pugno di mobik e aprire la strada verso la Crimea».

Comunque la si metta, l’annuncio di ieri è un colpo alla retorica del «va tutto secondo i piani» diffusa dal Cremlino. Le proteste delle madri e mogli dei coscritti mandati in prima linea senza addestramento, diventano sempre più difficili da nascondere. La fuga all’estero dei maschi con maggiore cultura e possibilità economiche è un fenomeno che azzoppa l’intera economia russa. Arroccarsi al di là del fiume Dnipro aiuterà a superare l’inverno, ma le ultime aperture putiniane a negoziati di pace si spiegano anche con la ritrovata consapevolezza delle difficoltà incontrate sul campo. L’umiliazione di Kherson potrebbe rivelarsi una spinta per trattare.

9 novembre 2022 (modifica il 10 novembre 2022 | 08:40)

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, 2022-11-10 07:40:00, La mossa annunciata platealmente, sulla tv pubblica, dal ministro della Difesa Shoigu e dal generale Surovikin, dopo mesi di guerra e perdite di Mosca. Un segnale del Cremlino per i negoziati? La Nato: aspettiamo. Kiev scettica, teme una trappola, Andrea Nicastro

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