di Eugenio Bruno
Interessante intervista al presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), Antonello Giannelli
Dall’Authority per la privacy arriva una doppia conferma per le scuole: non dovranno chiedere ulteriori consensi alle famiglie per svolgere la didattica a distanza, né condurre l’analisi di impatto sulla protezione dei dati in loro possesso.
Cosa cambia per le scuole?
Sostanzialmente niente. Il Garante dà una serie di conferme e solleva gli istituti dalla preoccupazione di dover fare l’analisi di impatto prevista dal Gdpr, che sarebbe stata invece un macigno. Si tratta di un’attività onerosa e impegnativa, richiesta per un trattamento massivo delle informazioni. Ma le scuole gestiscono i dati di mille-2mila persone, non di milioni.
Per fare didattica a distanza non do vrete chiedere alcun consenso.
Non dovremo chiedere altre autorizzazioni perché siamo a tutti gli effetti un’amministrazione pubblica e non una società privata. Esattamente come una Asl, anche una scuola si limiterà a dare l’informativa, ma già lo fa all’atto dell’iscrizione, e il genitore firmerà di averla ricevuta.
Molte scuole utilizzano per le lezioni online il registro elettronico. Ma è sufficiente?
I registri elettronici sono lo strumento ufficiale per pianificare, coordinare e rendicontare le attività, comprese quelle valutative, della scuola, anche in relazione agli esiti della didattica a distanza. Come tali, sono caratterizzati da una certa rigidità, tipica degli strumenti amministrativi, che mal si addice alla didattica che, al contrario, richiede molta flessibilità e versatilità. In alcuni registri sono presenti funzioni di condivisione del materiale, invio e restituzione di compiti e test, forum d’aula, chat di classe o one-to-one. Alcuni produttori stanno dotando i registri con funzioni di live streaming e live meeting o di integrazione con altre piattaforme. In alternativa, queste ultime due funzioni, e altre di didattica a distanza, possono essere attivate dai docenti, al di fuori del registro elettronico, attraverso altre piattaforme che, però, non hanno l’ufficialità del registro. Se si vogliono realizzare vere esperienze di didattica online, è quindi preferibile adottare una delle tante applicazioni specificatamente dedicate allo scopo, che offrono funzioni utilissime come il controllo della classe, la distribuzione di attività, compiti e risorse, la valutazione, l’incoraggiamento alla collaborazione.
Alcuni docenti hanno chiesto agli studenti di fare i compiti in classe virtuale con uno specchio alle loro spalle per evitare che copino. Non esistono metodi più tecnologici?
Si tratta di un argomento spinoso. Questo modo di vedere la didattica e, più in generale, la scuola, nega alla base il valore della valutazione autentica e della “didattica per competenze”. Alcuni compiti dovrebbero essere progettati in modo tale da essere svolti anche con il libro aperto: consultarlo per aiutarsi a risolvere un problema dovrebbe essere in sé una competenza. In secondo luogo, queste difficoltà derivano dal desiderio di replicare a distanza esattamente ciò che si fa in presenza e questo è impossibile oltre che sconsigliabile. In terzo luogo, dobbiamo intenderci su cosa debbano accertare i “compiti”: se si tratta di prove basate esclusivamente sulla trasmissione di contenuti, è evidente che (ma questo avviene anche in presenza) si favoriscono comportamenti poco corretti. La soluzione sta nel rivedere radicalmente la prassi didattica: se il docente lavora per competenze, come prevede il nostro ordinamento scolastico, e propone attività stimolanti, creative e personalizzate che possono essere svolte solo con un impegno vero e autentico dello studente, si evita di favorire comportamenti scorretti.