Noi, ex giovani degli anni ‘70 e il caso rave

zona franca Mezzogiorno, 4 novembre 2022 – 09:04 di Eduardo Cicelyn Negli anni ‘70 anche il sottoscritto ha fatto il giovane. Non solo per motivi anagrafici e non da solo. All’epoca l’idea che molti di noi avevamo era di essere alternativi agli adulti nei modi di esistere e di pensare. L’occupazione del liceo Pansini nell’autunno del 1976, se sbaglio la data è per colpa dell’età sopraggiunta, me la ricordo come una festa al grido di «Sesso, droga&rock’n roll». Niente di originale, ma posso testimoniare che cercammo di essere fedeli al mandato assembleare che contestava la cosiddetta democraticità dei decreti delegati del 1974 a cui opponevamo il diritto rivoluzionario della decisione collettiva, una specie di «uno vale uno» ante litteram. Durante l’occupazione che non ricordo quanti giorni durò, prima dello sgombero forzato, si moltiplicarono i famosi seminari autogestiti su questioni eccentriche, completamente fuori tema rispetto alla ragione sbandierata della protesta. Tuttavia oggi, per quelli della mia generazione, sarebbe difficile non ammettere che restano memorabili soprattutto le serate e le nottate dedicate all’applicazione letterale dello slogan introduttivo, spruzzato sulle pareti d’ingresso dell’edificio caduto nelle nostre mani. L’odore di hashish e marijuana che si spargeva bastava a calmare gli animi inquieti, sollecitando i più a completare con solerzia assai libidinosa il trittico delle prescrizioni assembleari. La musica elettrica, abbastanza psichedelica, suonava da aggeggi poco performativi che ci riuscì di collegare al sistema di amplificazione della presidenza con metodi artigianali, oppure dalle chitarre di qualcuno che ci sapeva fare. Quei raduni in stile politico anni ‘70, illegali (si occupavano scuole e università, cioè proprietà pubbliche) a suon di musica underground e droghe di stagione, qualche volta venivano interrotti dalle forze dell’ordine, chiamate per disperazione dai presidi o dai rettori, ma le operazioni di sgombero avvenivano quasi sempre con una certa calma, un po’ bonaria e paternalista. Le cose cambiavano e s’incattivivano se si intromettevano i fascisti, provocatori per mestiere antico e, io penso, anche un po’ invidiosi dei nostri costumi alquanto permissivi. Passati gli anni buoni, da giornalista, ho visitato i centri sociali occupati a Milano e a Napoli, luoghi della mediazione culturale con il mondo della marginalità e dell’immigrazione, pieni di buona musica nuova, tipo l’hip hop, le posse, il dub. E al Leoncavallo, come posso testimoniare, anche di scritte inneggianti a pratiche sessuali esoteriche. Poi ho sentito dei rave, raduni organizzati in tutta Europa da altri giovani alternativi in altri modi illegali con gli aggiornamenti necessari (di luoghi, musica e droghe). Si dice che in alcuni casi i ragazzi che si autoconvocano ammassandosi in migliaia in posti strani, generalmente fuori mano, siano capaci di ballare per giorni interi trascinati dai ritmi incalzanti della musica elettronica e dalla chimica di droghe altrettanto artificiose. A quanto si capisce quello che accade durante un rave è grosso modo quello che si è sempre raccontato di certe feste dionisiache dell’antichità o delle danze tribali di cui hanno riferito gli antropologi più recentemente. Il comune denominatore tra tutti questi raduni e feste giovanili del passato e del presente è il carattere orgiastico, fuori controllo, diciamo scostumato e sovversivo. Si comprende dunque perché la destra oggi governante abbia in antipatia la gioventù che non fa fronte con i suoi ideali perbenisti, men che mai con i simboli perduti nei campi Hobbit di cui molti dei loro fratelli maggiori, alternativi di ripiego, neanche si ricordano. Fa però specie che non ci sia una sinistra politica o almeno intellettuale in grado di far emergere e contrastare il senso davvero grave di ciò su cui invece l’esangue gruppo dirigente del Pd sta ingaggiando una piccola e banale polemica giuridica. La questione dei rave, criminalizzati dal decreto legge del nuovo ministro, si fa fatica a ridurla a un problema di genericità della norma, che per come è stata licenziata rischierebbe di criminalizzare ogni assembramento giovanile e non. La domanda cruciale a mio modesto avviso di ex giovane ancora vagamente di sinistra è molto più radicale: benché non abbia mai partecipato a un rave e confessando di provare anche un senso di ripulsa nei confronti della musica e dei comportamenti che si manifestano in quel genere di appuntamenti, rivendico il diritto di sostenere che si tratta pur sempre di un fenomeno culturale, controculturale, subculturale, per quanto minoritario e settario non più tossico e di certo meno banale e massificante di quanto viene spacciato per divertimento sicuro nelle megadiscoteche cafonesche della grande provincia italiana? Perciò mi colpisce che un governo intero col supporto della presunta sinistra emiliana si scagli contro un evento musicale che ha aggregato a Modena circa tremila persone mentre nessuno si pone il problema di ragionare su che cosa accade ogni week end nei locali autorizzati (per modo di dire) a far ballare e sballare migliaia e migliaia di giovani. Sospetto che contro il mondo rave sia in atto una politica razzista, violenta e persecutoria? E mi chiedo se essere sospettoso dipenda dalle mie simpatie giovaniliste o se il nonfascismo governante (ho scritto “nonfascismo”, mai scriverei “neofascismo”) non abbia ereditato l’antico vizio di odiare ogni forma di vita creativa, libera e non regolamentabile, esattamente quella che noi invece dovremmo augurarci per i giovani di oggi e di domani. 4 novembre 2022 | 09:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-04 08:05:00, zona franca Mezzogiorno, 4 novembre 2022 – 09:04 di Eduardo Cicelyn Negli anni ‘70 anche il sottoscritto ha fatto il giovane. Non solo per motivi anagrafici e non da solo. All’epoca l’idea che molti di noi avevamo era di essere alternativi agli adulti nei modi di esistere e di pensare. L’occupazione del liceo Pansini nell’autunno del 1976, se sbaglio la data è per colpa dell’età sopraggiunta, me la ricordo come una festa al grido di «Sesso, droga&rock’n roll». Niente di originale, ma posso testimoniare che cercammo di essere fedeli al mandato assembleare che contestava la cosiddetta democraticità dei decreti delegati del 1974 a cui opponevamo il diritto rivoluzionario della decisione collettiva, una specie di «uno vale uno» ante litteram. Durante l’occupazione che non ricordo quanti giorni durò, prima dello sgombero forzato, si moltiplicarono i famosi seminari autogestiti su questioni eccentriche, completamente fuori tema rispetto alla ragione sbandierata della protesta. Tuttavia oggi, per quelli della mia generazione, sarebbe difficile non ammettere che restano memorabili soprattutto le serate e le nottate dedicate all’applicazione letterale dello slogan introduttivo, spruzzato sulle pareti d’ingresso dell’edificio caduto nelle nostre mani. L’odore di hashish e marijuana che si spargeva bastava a calmare gli animi inquieti, sollecitando i più a completare con solerzia assai libidinosa il trittico delle prescrizioni assembleari. La musica elettrica, abbastanza psichedelica, suonava da aggeggi poco performativi che ci riuscì di collegare al sistema di amplificazione della presidenza con metodi artigianali, oppure dalle chitarre di qualcuno che ci sapeva fare. Quei raduni in stile politico anni ‘70, illegali (si occupavano scuole e università, cioè proprietà pubbliche) a suon di musica underground e droghe di stagione, qualche volta venivano interrotti dalle forze dell’ordine, chiamate per disperazione dai presidi o dai rettori, ma le operazioni di sgombero avvenivano quasi sempre con una certa calma, un po’ bonaria e paternalista. Le cose cambiavano e s’incattivivano se si intromettevano i fascisti, provocatori per mestiere antico e, io penso, anche un po’ invidiosi dei nostri costumi alquanto permissivi. Passati gli anni buoni, da giornalista, ho visitato i centri sociali occupati a Milano e a Napoli, luoghi della mediazione culturale con il mondo della marginalità e dell’immigrazione, pieni di buona musica nuova, tipo l’hip hop, le posse, il dub. E al Leoncavallo, come posso testimoniare, anche di scritte inneggianti a pratiche sessuali esoteriche. Poi ho sentito dei rave, raduni organizzati in tutta Europa da altri giovani alternativi in altri modi illegali con gli aggiornamenti necessari (di luoghi, musica e droghe). Si dice che in alcuni casi i ragazzi che si autoconvocano ammassandosi in migliaia in posti strani, generalmente fuori mano, siano capaci di ballare per giorni interi trascinati dai ritmi incalzanti della musica elettronica e dalla chimica di droghe altrettanto artificiose. A quanto si capisce quello che accade durante un rave è grosso modo quello che si è sempre raccontato di certe feste dionisiache dell’antichità o delle danze tribali di cui hanno riferito gli antropologi più recentemente. Il comune denominatore tra tutti questi raduni e feste giovanili del passato e del presente è il carattere orgiastico, fuori controllo, diciamo scostumato e sovversivo. Si comprende dunque perché la destra oggi governante abbia in antipatia la gioventù che non fa fronte con i suoi ideali perbenisti, men che mai con i simboli perduti nei campi Hobbit di cui molti dei loro fratelli maggiori, alternativi di ripiego, neanche si ricordano. Fa però specie che non ci sia una sinistra politica o almeno intellettuale in grado di far emergere e contrastare il senso davvero grave di ciò su cui invece l’esangue gruppo dirigente del Pd sta ingaggiando una piccola e banale polemica giuridica. La questione dei rave, criminalizzati dal decreto legge del nuovo ministro, si fa fatica a ridurla a un problema di genericità della norma, che per come è stata licenziata rischierebbe di criminalizzare ogni assembramento giovanile e non. La domanda cruciale a mio modesto avviso di ex giovane ancora vagamente di sinistra è molto più radicale: benché non abbia mai partecipato a un rave e confessando di provare anche un senso di ripulsa nei confronti della musica e dei comportamenti che si manifestano in quel genere di appuntamenti, rivendico il diritto di sostenere che si tratta pur sempre di un fenomeno culturale, controculturale, subculturale, per quanto minoritario e settario non più tossico e di certo meno banale e massificante di quanto viene spacciato per divertimento sicuro nelle megadiscoteche cafonesche della grande provincia italiana? Perciò mi colpisce che un governo intero col supporto della presunta sinistra emiliana si scagli contro un evento musicale che ha aggregato a Modena circa tremila persone mentre nessuno si pone il problema di ragionare su che cosa accade ogni week end nei locali autorizzati (per modo di dire) a far ballare e sballare migliaia e migliaia di giovani. Sospetto che contro il mondo rave sia in atto una politica razzista, violenta e persecutoria? E mi chiedo se essere sospettoso dipenda dalle mie simpatie giovaniliste o se il nonfascismo governante (ho scritto “nonfascismo”, mai scriverei “neofascismo”) non abbia ereditato l’antico vizio di odiare ogni forma di vita creativa, libera e non regolamentabile, esattamente quella che noi invece dovremmo augurarci per i giovani di oggi e di domani. 4 novembre 2022 | 09:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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