Non confondiamo lo studente plusdotato con lautismo o lADHD. Intervista alla Dottoressa Milan

Continua il nostro approfondimento sulla plusdotazione cognitiva, oggi, in particolare, parleremo di doppia eccezionalità con la Dottoressa Lara Milan, fondatrice di SEM Italy, dottore di ricerca in psicologia, neuroscienze e statistica medica, specialist in gifted and talented education.

Dottoressa Milan, è uscito il nuovo volume “Plusdotazione e talento”, edito da Erickson e rivolto alla scuola secondaria di primo grado. Ci racconta cosa l’ha spinta a realizzare questo nuovo volume?

L’obiettivo di questo libro è di fornire delle strategie didattiche che possano essere utilizzate dai docenti in classe qualora riscontrino dei determinati comportamenti a cui non sanno far fronte. Oltre ad una descrizione della realtà che si può verificare in classe, in vari momenti della giornata e nelle diverse materie curricolari e non, vengono descritte delle strategie, pronte all’uso, da utilizzare per soddisfare i bisogni educativi speciali che questi studenti manifestano ogni giorno a scuola.

Oggi con lei affrontiamo in particolare il tema della doppia eccezionalità. Quando parliamo di doppia eccezionalità riferendoci a bambini e ragazzi plusdotati, a cosa ci stiamo riferendo?

 Si tratta di studenti plusdotati che oltre ad un alto potenziale cognitivo hanno traiettorie di sviluppo atipico che sono associabili ad esempio all’autismo, all’ADHD o ai disturbi dell’apprendimento come disgrafia, discalculia, disortografia e quant’altro. Per questi bambini l’identificazione non è sempre scontata. Una delle massime esperte in twice exceptionality, la professoressa Susan Baum, con la quale ho avuto il piacere di collaborare e con la quale mi sono formata in doppia eccezionalità, ci parla del problema del masking effect, cioè del fatto che individuare questi studenti doppiamente eccezionali sia un problema determinato dalla compresenza di questi due ambiti che, apparentemente, sembrano non poter coesistere in un bambino e ciò determina anche una difficoltà nella loro individuazione. In realtà l’alto potenziale potrebbe concorrere, in qualche modo, a mascherare la presenza di un disturbo dell’apprendimento o di una fragilità, così come, alle volte, la fragilità potrebbe in qualche modo mascherare la presenza di un alto potenziale. Alle volte questi due aspetti si mascherano a vicenda per cui non abbiamo nessuna identificazione, lo studente appare, agli occhi meno allenati e formati, come uno studente nella norma.

Un aspetto importante è quindi quello di identificare la presenza di questi due aspetti nei propri alunni, ci dice come si riconoscono gli studenti doppiamente eccezionali?

 Sicuramente gli psicologi che effettuano queste valutazioni dovrebbero avere una formazione specifica nei vari disturbi, così come spesso e volentieri sono allenati a fare, ma anche un occhio attento verso la presenza di un eventuale potenziale. Ecco, questa doppia differenziazione deve essere fatta anche in ambito di valutazione, nel senso che dobbiamo avere uno sguardo attento per valorizzare l’esistenza di un eventuale potenziale nonostante ci sia uno sguardo attento verso la fragilità.

Quanto da lei riportato ci fa capire che il docente da solo non può intervenire nell’identificazione di questa specificità, ma è necessario l’intervento di personale specializzato. È corretto?

Nel contesto internazionale ci sono delle figure professionali appositamente formate per rispondere ai bisogni educativi speciali degli studenti plusdotati e doppiamente eccezionali. Così come noi siamo abituati a ricorrere al prezioso aiuto dell’insegnante di sostegno per supportare i bambini più fragili nelle loro difficoltà, altrettanto dovremmo prevedere, nella scuola italiana, un insegnante di potenziamento, che in teoria esiste già, o comunque un insegnante di arricchimento che vada a stimolare i bisogni educativi avanzati sia degli studenti plusdotati e, a maggior ragione, degli studenti doppiamente eccezionali che da un lato hanno ovviamente necessità di essere supportati nelle loro fragilità, ma questo lo facciamo già molto bene, e la novità sarebbe nel riuscire ad ottenere per loro un curriculum doppiamente differenziato che vada contemporaneamente a stimolare i loro bisogni cognitivi elevati. Questa doppia differenziazione, che viene citata ancora una volta da Susan Baum, è possibile quando si hanno competenze in questi due ambiti, quello della giftedness e quello ovviamente delle diverse forme di disabilità o delle diverse forme di fragilità di cui gli studenti doppiamente eccezionali sono portatori. Ciò che la letteratura scientifica ci insegna in merito alla doppia eccezionalità è che cambiando il focus del nostro agire educativo, concentrandoci sulle aree di forza, gli interessi e le potenzialità degli studenti doppiamente eccezionali, questo investimento non porta a far scomparire la fragilità, ma l’enpowerment, l’attenzione, delle loro abilità ci porta in qualche modo a compensare le loro fragilità. Questo non solo comporta maggiori successi scolastici, a cui le famiglie ambiscono, ma anche alla concorrenza di una creazione di una visione di sé incentrata su quello che lo studente doppiamente eccezionale è bravo a fare, è talentuoso e potenzialmente lo porta ad eccellere in un ambito particolare, piuttosto che continuare a focalizzarci sul rimedio di ciò che non sa fare.

Affrontare la doppia eccezionalità in ambito educativo è molto complesso, parliamo di comorbilità e i due aspetti non posso essere scissi nell’azione educativa da adottare. Quali sono i suggerimenti che si sente di dare per individuare la metodologia educativa più appropriata?  

 In questo caso la mia formazione come specialista in doppia eccezionalità, conseguita recentemente in America, mi permette di offrire una serie infinita di strumenti e strategie che hanno dimostrato la loro validità scientifica nel corso degli anni. In particolar modo la pedagogia dello sviluppo del talento e del potenziale, così come è stata promulgata da Renzulli e Reis nel modello di arricchimento scolastico e adottato nelle scuole che operano a supporto degli studenti doppiamente eccezionali, ha dimostrato da un lato di saper accogliere le loro fragilità e dall’altro di saper stimolare il loro alto potenziale cognitivo. Oggi non si parla più frequentemente di doppia eccezionalità o di multi eccezionalità nel contesto internazionale, si parla piuttosto di valorizzazione del talento e del potenziale di ciascuno con un occhio attento alla valorizzazione delle neurodiversità. D’altra parte anche la plusdotazione è di per sé una eccezionalità e come tale non possiamo più limitarci a pensare a tutte le etichette che dovremmo dare ai nostri studenti, ma piuttosto cominciare a valorizzare la neurodiversità di cui ognuno di noi è portatore.

Chiudiamo con un’ultima domanda. Lei nel suo precedente libro parla della necessità di un cambio di paradigma, in particolare propone un apprendimento basato sui punti di forza, focalizzato sul talento. Ci spiega di cosa si tratta?

Sicuramente è un tipo di progettazione didattica che richiede molte competenze, dovremmo mettere insieme le nostre competenze che in modo proattivo aiutano gli studenti più fragili e le sfide a cui noi docenti o i professionisti sono chiamati quando ci dobbiamo impegnare nella progettazione di attività di apprendimento che siano cognitivamente stimolanti per gli studenti plusdotati. Abbiamo una cassetta degli attrezzi molto ampia, ci sono strumenti che ho tradotto e che verranno importati a partire da settembre nel contesto italiano, che ci permettono proprio di partire dalla profilazione di questi studenti doppiamente eccezionali, andando ad individuare tra tutte le strategie che la letteratura scientifica sulla doppia eccezionalità ha prodotto fino ad oggi, quegli strumenti che da un lato riescono a coinvolgere gli studenti doppiamente eccezionali in attività di apprendimento entusiasmanti, quindi ingaggianti, e al contempo di farci carico di supportare le loro fragilità. Sono strumenti operativi che possono essere utilizzati in classe naturalmente con una dovuta formazione.

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