di Ester Palma
Francesco ha spiegato: «La crisi può ancora diventare una sfida per statisti saggi, ma bisogna passare dalle strategie di potere politico, economico e militare a un progetto di unione globale»
«La crisi ucraina avrebbe dovuto essere, ma se lo si vuole può ancora diventare, una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni. Con l’aiuto di Dio, questo è sempre possibile, ma bisogna passare dalle strategie di potere politico, economico e militare a un progetto di pace globale. No a un mondo diviso tra potenze in conflitto, sì a un mondo unito tra popoli e civiltà che si rispettano». Papa Francesco non dimentica la guerra in Ucraina e lancia, che al termine dell’Angelus domenicale, un nuovo appello per la pace. «Il mondo ha bisogno di pace, non una pace basata sull’equilibrio degli armamenti, sulla paura reciproca, non questo – ha detto – Chiedo ai capi delle nazioni delle organizzazioni internazionali di reagire alla tendenza ad accentuare le conflittualità» e la contrapposizione.
Poco prima, nell’omelia in San Pietro, per la comunità congolese a Roma, aveva detto: «Spesso pensiamo che le nostre iniziative ecclesiali non funzionino a dovere perché ci mancano strutture, soldi e mezzi: non è vero. La smentita viene da Gesù stesso. Fratelli, sorelle, non confidiamo nelle ricchezze e non temiamo le nostre povertà, materiali e umane. Più siamo liberi e semplici, piccoli e umili, più lo Spirito Santo guida la missione e ci fa protagonisti delle sue meraviglie». E ha spiegato: «Il compito di ogni cristiano nel mondo è la missione e per questo bisogna lasciare posto allo Spirito Santo». E riallacciandosi al Vangelo di oggi, ha aggiunto: «Cristo ha mandato i discepoli a due a due. Perché i cristiani non sono dei `battitori liberi´, dei predicatori che non sanno cedere la parola a un altro. È anzitutto la vita stessa dei discepoli ad annunciare il Vangelo: il loro saper stare insieme, il rispettarsi reciprocamente, il non voler dimostrare di essere più capace dell’altro, il concorde riferimento all’unico Maestro». E questo vale anche per oggi: «Si possono elaborare piani pastorali perfetti, mettere in atto progetti ben fatti, organizzarsi nei minimi dettagli; si possono convocare folle e avere tanti mezzi; ma se non c’è disponibilità alla fraternità, la missione evangelica non avanza perché non si basa sull’attivismo personale, cioè sul `fare´, ma sulla testimonianza di amore fraterno, anche attraverso le difficoltà che il vivere insieme comporta. Allora possiamo chiederci: come portiamo agli altri la buona notizia del Vangelo? Lo facciamo con spirito e stile fraterno, oppure alla maniera del mondo, con protagonismo, competitività ed efficientismo? Domandiamoci se abbiamo la capacità di collaborare, se sappiamo prendere decisioni insieme, rispettando sinceramente chi ci sta accanto e tenendo conto del suo punto di vista».
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3 luglio 2022 (modifica il 3 luglio 2022 | 21:34)
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