Il patriarcato, gli uomini e le femministe. Così, a un certo punto, partì il dialogo

di Luisa Pronzato

Nel 2017, Luisa Pronzato, co-fondatrice de «Il Tempo delle Donne», scriveva sul tema del superamento del patriarcato: « Il primo punto è il separatismo, sul quale è necessario distinguere tra rapporti nel privato e in politica. Fu nel percorso politico che le femministe scelsero la via della non condivisione»

Il servizio che segue – ripubblicato su 7 in edicola venerdì 9 settembre – fa parte degli articoli collegati alla festa-festival del Corriere “Il Tempo delle Donne” che si conclude lunedì 12 settembre con gli appuntamenti in Università Statale a Milano (qui il link allo Speciale TDD). Dall’Archivio storico del Corriere vi proponiamo questo intervento di Luisa Pronzato (scomparsa lo scorso 8 febbraio) co-fondatrice di TDD

3 settembre 2017

Il primo punto è il separatismo, sul quale è necessario distinguere tra rapporti nel privato e in politica. Fu nel percorso politico che le femministe scelsero la via della non condivisione. «Fu una via obbligata negli Anni ‘70» dice Adriana Cavarero, filosofa e teorica in Europa del pensiero della differenza. «Era il bisogno di non parlare “neutro”, come invece la società patriarcale e maschilista faceva per cancellare l’individualità femminile. È l’epoca degli incontri solo tra donne e della scelta dell’autocoscienza come strumento». L’esplorazione di altre strade.

«Ho scoperto il femminismo e sono rimasto vivo». Nessuna ricerca di benevolenza. Anzi, fatica e gavetta: soffritti, piatti, spazzatura. Evitando autocoscienze. E 35 anni dopo è ancora possibile usare il plurale di coppia e dire «nello scambio ci abbiamo creduto». In quanti, però, ci hanno creduto come rappa la canzone di Paolo Bertella, che esordirà il 10 settembre al Tempo delle Donne?

«LA NON CONDIVISIONE FU UNA VIA OBBLIGATA NEGLI ANNI 70» DICE ADRIANA CAVARERO, FILOSOFA E TEORICA IN EUROPA DEL PENSIERO DELLA DIFFERENZA. «ERA IL BISOGNO DI NON PARLARE “NEUTRO”, COME INVECE LA SOCIETÀ PATRIARCALE E MASCHILISTA FACEVA PER CANCELLARE L’INDIVIDUALITÀ FEMMINILE»

Sono molti i «matrimoni lunghi» in cui la partner è femminista, ma sono anche molti i matrimoni saltati, le singletudini a vita di donne per nulla sante ma sole per scelte di quella che forse un tempo si chiamava «autodeterminazione». Il tema è il dialogo tra i femminismi e gli uomini. Più di cinquant’anni (e se contiamo il suffragismo possiamo dire anche quasi un secolo) in cui la cocciuta ricerca di equità ed equilibrio tra il maschile e il femminile nella società italiana ha avuto momenti di accelerazione, primo fra tutti la conquista del voto e l’entrata in Costituente delle donne, periodi di stallo silente e momenti di grandi risvegli come l’organizzazione dello sciopero delle donne dello scorso 8 marzo. Una corsa, dicevamo, in cui i femminismi hanno corso da soli, spesso anche in contraddizione tra loro, con sparuti uomini che tentavano di partecipare alla trasformazione sociale. Su tutto un malinteso di fondo, quello che le donne, meglio le femministe, odino gli uomini.

AL SEPARATISMO, «L’EPOCA DEGLI INCONTRI SOLO TRA DONNE E DELLA SCELTA DELL’AUTOCOSCIENZA COME STRUMENTO», SEGUÌ L’ESPLORAZIONE DI ALTRE STRADE

In ogni caso la società italiana si è trasformata, attraverso il nuovo diritto di famiglia, e le leggi di parità, sul divorzio, sull’interruzione di gravidanza, sulle tecniche contraccettive. Vediamo più donne che lavorano, più dirigenti, più ragazze nelle università e un pensiero femminile riconosciuto e in qualche caso anche autorevole. Anche se a una posizione delle donne più determinata nella società fa da contraltare l’aumento della misoginia, a volte anche femminile, il persistere di stereotipi, spesso invisibili quanto la violenza che, ben oltre l’indignazione per i femminicidi, sottende ancora nelle relazioni tra uomini e donne. E allora che è successo? Il primo punto di riflessione è il separatismo, sul quale è necessario distinguere tra rapporti nel privato e in politica. Matrimoni, amicizie sono nate e maturate, ognuno trovando regole proprie di complicità, affetto e organizzazione casalinga.

Fu nel percorso politico che le femministe scelsero la via del non dialogo. «Fu una via obbligata del femminismo degli anni Settanta – dice Adriana Cavarero, filosofa e teorica in Europa del pensiero della differenza -. Era il bisogno di non pensare e non parlare “neutro”, come invece la società patriarcale e maschilista faceva per cancellare l’individualità femminile. È l’epoca degli incontri solo tra donne e della scelta dell’autocoscienza come strumento (le femministe continuano a chiamarla “pratica”) per scambiare idee ed esperienze. Certo, dovevamo trovare la forza di riconoscerci, parlare delle scelte politiche necessarie a superare il patriarcato, non potevamo condividere questo percorso dialogando con gli stessi uomini che, anche se oggi sembra una parola obsoleta, erano gli “oppressori” ». Per meglio interpretare quello che dice Cavarero, qualche dato storico: l’abolizione delle «clausole di nubilato» nei contratti di lavoro e la legge che vieta di licenziare le lavoratrici per «cause di matrimonio» sono del 1963, dell’anno dopo è l’abolizione del «coefficiente Serpieri», un sistema di valutazione usato in agricoltura in base al quale il lavoro svolto da una donna era il 50% di quello svolto da un uomo. Del 1968 è la legge per cui solo l’adulterio femminile non è più reato e solo nel 1981 viene abolito il «delitto d’onore».

«Oggi, lo stesso pensiero della differenza può aprirsi al dialogo con gli uomini, modulandosi a seconda degli argomenti – continua Cavarero -. Se parliamo di aborto e gravidanza, parlino le donne, se stiamo ragionando sulla crisi dei padri, è giusto che siano gli uomini a interrogarsi. Se affrontiamo i grandi temi della migrazione, del clima, dell’economia occorrono parole comuni. I femminismi oggi sono ben diversi dagli Anni ‘60 e ‘70, dobbiamo essere aperte alla dialettica, pronte a misurarci a seconda degli argomenti e marciare simbolicamente insieme. Un esempio non simbolico è la marcia americana dello scorso gennaio. L’hanno chiamata “delle donne”, ma il bisogno e la consapevolezza comune di dire no al populismo era così forte che ha scosso le coscienze di tutti: è stata la più grande e mista marcia d’America». Torniamo all’Italia. «Nonostante il separatismo politico i tentativi di dialogo non si sono mai interrotti», racconta Annarosa Buttarelli, tra le fondatrici di Diotima, comunità nata presso l’università di Verona nell’83 con l’intento di «essere donne e pensare filosoficamente» e autrice di «Sovrane» (Il Saggiatore).

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«Ce ne sono stati diversi, alcuni più riusciti, altri meno – dice -. Le interlocuzioni, e dialoghi attivi, tra il femminismo della differenza e gli uomini sono avvenuti durante le campagne referendarie del divorzio e dell’aborto, per esempio. A Bologna fu proprio il dialogo tra Luce Irigaray e il sindaco Renzo Imbeni a far nascere una stagione di ricerche sui linguaggi sessuati e di educazione nelle scuole al riconoscimento dei ruoli femminili e maschili ».
«Le giovani generazioni, maschi e femmine, sembrano aver capito meglio gli scambi con i femminismi – continua Buttarelli -. Lo abbiamo visto nelle università, anche se la disoccupazione e la corsa alla sopravvivenza spegne, appena usciti dal percorso scolastico, gli interessi e l’attivismo. E se dobbiamo segnalare un cambiamento è quello dei femminismi e dei movimenti aziendali della diversity che hanno modificato la loro rotta: il dialogo oggi si cerca non più nella trasformazione della relazione donna-uomo ma nei grandi temi». Alla fine degli Anni ‘80 la Carta delle Donne del Pci fu un’altra prova di dialogo, sostenuta da Natta e Berlinguer.

«Costruire la società umana, la società a misura di donne e uomini era l’ambizione – come racconta Livia Turco che ne fu l’animatrice -. Si trattava dell’assunzione del pensiero e della pratica della differenza sessuale, e la parte programmatica, fatta di obiettivi concreti che ci consentiva un dialogo a tutto campo con le donne italiane. Lavoro, welfare, pace nel mondo, ambiente, riforma delle istituzioni, i problemi del Mezzogiorno… Politica a tutto campo». La Carta girò tutta l’Italia con incontri nelle città, conteneva in pratica i principi delle leggi di parità degli Anni ‘90. Ma poi, la crisi del Pci, e lo smembramento delle militanti congelò anche questa esperienza, come raccontano Letizia Paolozzi e Alberto Leiss in «C’era una volta la Carta delle donne» (Biblink ed.) che sarà presentato in questi giorni al Festival della letteratura di Mantova. Esauste è il termine che usano molte femministe di generazioni mature affrontando la domanda su dialoghi possibili.

«Come possiamo parlare di dialogo se il Pd oggi crea il Dipartimento mamme?» chiede Anna Maria Crispino, direttora di Leggendaria, rivista femminista che si propone come «vetrina dell’intelligenza femminile». «Non è questione solo di terminologie: “mamme” significa non riconoscere altro ruolo alle donne. Dal mio osservatorio posso solo dire che spero nelle nuove generazioni, e in quel femminismo 2.0 che molte 60enni ignorano». E allora guardiamoci intorno. Le t-shirt «I am feminist», snobbate in alcuni casi ma indossate anche da ragazzi possono condurre al dialogo? Le campagne ipercondivise su Facebook come quella di Anita che chiedeva «per quanto tempo dovremmo sentirci fortunate per non essere state violentate» possono aprire dialoghi nuovi? «Finché si resta ancorate al binarismo uomini e donne nessun dialogo è possibile», dice Benedetta Pintus, creatrice del portale Pasionaria.it, che aderisce alla rete di NonUnaDi Meno identificandosi nel femminismo intersezionale, vale a dire aperto ai generi. «Alle nostre discussioni partecipano anche persone che non si identificano in un genere. Parliamo al plurale, senza genere e partiamo dall’idea che pregiudizi e discriminazioni ingabbiano anche gli uomini».

L’AUTRICE

Luisa Pronzato era nata a Genova il 6 agosto 1954Diplomata al liceo scientifico, ha iniziato a lavorare subito, (anche) come guida turistica. La sua vita ha avuto una svolta quando si è dedicata a un progetto sull’inserimento di disabili psichici nel mondo del lavoro. Grande viaggiatrice, ha sempre amato il giornalismo: dopo le esperienze più varie, è stata assunta al Corriere nel 1992 . Co-fondatrice del blog la 27ora , ha coordinato il Tempo delle Donne sin dalla prima edizione. È morta l’8 febbraio di quest’anno.

12 settembre 2022 (modifica il 12 settembre 2022 | 10:14)

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, 2022-09-12 13:23:00, Nel 2017, Luisa Pronzato, co-fondatrice de «Il Tempo delle Donne», scriveva sul tema del superamento del patriarcato: « Il primo punto è il separatismo, sul quale è necessario distinguere tra rapporti nel privato e in politica. Fu nel percorso politico che le femministe scelsero la via della non condivisione» , Luisa Pronzato

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