Pd, la rincorsa di tutti alla segreteria del partito

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Il congresso è già iniziato con un vortice di candidature alla successione di Enrico Letta. Un mischione dove per adesso scarseggiano riflessioni su identità e su come fare opposizione al nuovo governo

Poi valuteremo le decisioni che — forse, può darsi, ma non è detto — prenderà la direzione del Pd in programma questa mattina. Tutti però sappiamo che, in realtà, il congresso dei democratici è già cominciato da giorni in un frullatore di dichiarazioni spontanee dettate alle agenzie, nelle interviste sui giornali, nei talk alla tv e alla radio, nei retroscena fatti filtrare dai corridoi del Nazareno e in un clamoroso vortice di candidature alla successione di Enrico Letta, alcune vere e altre presunte, annunciate e poi smentite, credibili e improbabili, costruite in anni di lavoro nell’ombra oppure nate con botte di purissima e sfacciata ambizione personale; comunque sempre tutte dentro un drammatico (e realistico) mantra che, più o meno, fa così: se questo partito, in quindici anni di vita, ha già cambiato dieci volte segretario, perché non dovrei provarci io a diventare l’undicesimo?

Attività congressuale ufficiosa e subito aspra, piena di veleni e antichi rancori, appena velata da un dibattito sulle alleanze, con quelli che guardano alla costruzione di una nuova intesa con i 5 Stelle di Giuseppe Conte, e altri che invece lanciano occhiate al centro, alla coppia Renzi-Calenda. La sensazione netta è che, sotto sotto, quasi tutti badino invece al sodo, e quindi al potere, alla conquista del partito.

Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, ci pensa dal 2020, quando fermò — a sorpresa — l’avanzata salviniana; è sostenuto dalla corrente di Base riformista, gli ex (?) renziani guidati da Lorenzo Guerini, e — senza neppure sfilarsi i suoi meravigliosi Ray Ban — si esibisce in una strepitosa capriola: «Non apprezzo le auto-candidature. Ma se posso essere utile, mi candiderò». Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro, intuito che presto sarebbero rimasti solo posti in piedi: «Sì, certo: anche io, come tutti, sento la responsabilità di non potermi sottrarre». Dice bene: come tutti. Sentite Dario Nardella, il sindaco di Firenze: «Non partecipo alla gara delle auto-candidature… ma se c’è voglia di cambiare radicalmente il partito, io ci sono».

Rosy Bindi vorrebbe proprio chiuderlo. Gianni Cuperlo rifondarlo. Paola De Micheli sorvola: «Ho 49 anni, un curriculum fitto», e si sente invece pronta a prenderne il comando. Con un’ideona: «Potrei nominare una segreteria di tutte donne. Aggiungendo forse un maschietto, massimo due». Opportunamente, dopo aver scalpitato abbastanza, ieri, su La Stampa, Giuseppe Provenzano ha detto: «Vorrei dare un modesto contributo: non mi candido». Uno di meno.

Però crescono i retroscena. Su Repubblica: Dario Franceschini, capo di Areadem, avrebbe meditato di spingere nell’arena Enzo Amendola, ma sembra si sia messo di traverso Andrea Orlando, big della sinistra interna. Perché magari pure Orlando avrà pensato: scusate, ma io, il segretario, proprio no?

Un mischione. Dove — per adesso — scarseggiano riflessioni su identità, dignità politica, sul senso di comunità smarrito, su come fare opposizione al nuovo governo. Però fiocca un’altra possibile candidatura, quella di Elly Schlein, vice-presidente della giunta regionale Emilia Romagna: 37 anni, talento mediatico innegabile, ambientalista, molto stimata dal potente Goffredo Bettini, vicina a certe atmosfere grilline, addosso il sospetto di essere ambiziosa e radical chic.

Il Corriere della Sera e il sito Corriere.it oggi e domani escono senza le firme dei giornalisti per un’agitazione sindacale.

5 ottobre 2022 (modifica il 5 ottobre 2022 | 23:17)

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, 2022-10-05 21:20:00, Il congresso è già iniziato con un vortice di candidature alla successione di Enrico Letta. Un mischione dove per adesso scarseggiano riflessioni su identità e su come fare opposizione al nuovo governo,

Pietro Guerra

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