Per Cristina Mazzotti  la giustizia non arriva mai

DOMENICA 1 MAGGIO 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,
fu atroce l’eco che generò il sequestro di Cristina Mazzotti. Io avevo solo un anno ma per oltre un decennio vissi sempre sotto controllo. Una volta in famiglia ad una festa ci fu una rapina con banditi armati di fucili: il terrore dei rapimenti segnò l’Italia per parecchi anni.
Gian Paolo Conte

Che storia terribile, ma meglio tardi che mai. Cristina Mazzotti ha avuto una morte tremenda, sapere che non si è mai smesso di cercare gli esecutori materiali del sequestro, mi fa sentire fiero del nostro sistema giudiziario. Cristina merita giustizia.
Andrea Graziano

Cari lettori,
Per la generazione che era bambina negli anni 70, il rapimento e la morte di Cristina Mazzotti furono uno choc, non meno grave di quello provocato dai crimini del terrorismo nero e rosso. Cristina aveva appena diciotto anni. Fu sequestrata e detenuta in condizioni feroci, in una buca. Le furono dati tranquillanti, per farla dormire, ed eccitanti, per farle telefonare a casa in modo da indurre i genitori a pagare. Sul Corriere Luigi Ferrarella e Cesare Giuzzi hanno ricostruito la vicenda giudiziaria, che aggiunge orrore a orrore, sconcerto a sconcerto. Le inchieste avevano portato in cella i fiancheggiatori, non gli esecutori materiali del sequestro. Nel 2007 un’impronta incastrò il bandito Demetrio Latella, uscito di galera l’anno prima per altri crimini, il quale confessò e chiamò a correo i suoi (presunti) complici. Ma un magistrato valutò che il reato fosse prescritto. Cioè uno sequestra una ragazza di diciotto anni, la chiude in una buca, la uccide, incassa un miliardo dai genitori la cui vita sarà distrutta dal dolore, e per la giustizia italiana non può essere punito. Ora però il caso è stato riaperto da un avvocato, che assiste la famiglia Caccia — Bruno Caccia è l’eroico procuratore della Repubblica a Torino assassinato dalla ‘ndrangheta il 26 giugno 1983: era domenica e Caccia aveva lasciato la giornata libera alla scorta —, e ha ricordato come nel 2015 la Cassazione abbia stabilito che l’omicidio volontario è un reato imprescrittibile. Intanto dalla morte di Cristina Mazzotti sono passati quarantasette anni. Oggi Cristina ne avrebbe sessantacinque. Come lei, non sono tornati a casa Duccio Carta, 18 anni; Emanuele Riboli, 18 anni; Giovanni Stucchi, 31 anni; Paolo Giorgetti, 16 anni; Gianfranco Lovati, morto per asfissia…

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

Storia

«Noi, con i calzoni corti e il pallone sotto le coperte»

L’Italia preindustriale e preconsumistica degli ultimi anni 50 e primi anni 60 non era, poeticamente e nostalgicamente parlando, solo quella pasoliniana delle lucciole; era anche, nei miei ricordi di undici-dodicenne, quella di noi ragazzini in pantaloni corti. Li portavano tutti, sempre, anche in inverno, fino ai 12-13 anni; unica eccezione, ma non sempre, Prima Comunione e Cresima. E con gli stessi pantaloni corti con cui al mattino si andava a scuola, il pomeriggio si giocava a pallone. Era il gioco più economico e democratico: solo ogni tanto la colletta per il pallone (quello di cuoio, più caro, era ancora cucito a mano). Il tennis, quello, era per signorini, per via di racchetta, palline e soprattutto noleggio campo. Si giocava nei prati, dove quattro sassi un po’ sbilenchi, fissavano i limiti del gioco — ovvero gli immaginari pali delle porte — tra qualche ciuffo d’erba spelacchiato; e si giocava (quasi) a piedi nudi, come i ragazzi della Via Gluck di Celentano. Oppure in strada e il grido «Macchinaaa» interrompeva di un poco la partita. Pur senza conoscerne l’origine inglese, il calcio d’angolo era il corner e il fallo di mano ens. Quei pochi che non giocavano erano considerati paurosi disertori; tirare il pallone di punta una indicibile macchia. Le partite duravano fino a quando il buio ci costringeva a fare ritorno a casa, a disinfettare con acqua ossigenata e polvere di Streptosil il solito ginocchio sbucciato. La sera, poi, mi portavo il pallone sotto le coperte, a dormire con me: era l’innocente, stravagante e inconsapevole omaggio di un dodicenne alla rappresentazione ludica più bella del mondo.
Francesco Fiorista, Milano

INVIATECI LE VOSTRE LETTERE

Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

Invia il CV

MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

Invia l’offerta

GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA

Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

Segnala il caso

VENERDI -L’AMORE

Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

Racconta la storia

SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

Invia la lettera

DOMENICA – LA STORIA

Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

Invia il racconto

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Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere

, 2022-04-30 22:07:00,

DOMENICA 1 MAGGIO 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,
fu atroce l’eco che generò il sequestro di Cristina Mazzotti. Io avevo solo un anno ma per oltre un decennio vissi sempre sotto controllo. Una volta in famiglia ad una festa ci fu una rapina con banditi armati di fucili: il terrore dei rapimenti segnò l’Italia per parecchi anni.
Gian Paolo Conte

Che storia terribile, ma meglio tardi che mai. Cristina Mazzotti ha avuto una morte tremenda, sapere che non si è mai smesso di cercare gli esecutori materiali del sequestro, mi fa sentire fiero del nostro sistema giudiziario. Cristina merita giustizia.
Andrea Graziano

Cari lettori,
Per la generazione che era bambina negli anni 70, il rapimento e la morte di Cristina Mazzotti furono uno choc, non meno grave di quello provocato dai crimini del terrorismo nero e rosso. Cristina aveva appena diciotto anni. Fu sequestrata e detenuta in condizioni feroci, in una buca. Le furono dati tranquillanti, per farla dormire, ed eccitanti, per farle telefonare a casa in modo da indurre i genitori a pagare. Sul Corriere Luigi Ferrarella e Cesare Giuzzi hanno ricostruito la vicenda giudiziaria, che aggiunge orrore a orrore, sconcerto a sconcerto. Le inchieste avevano portato in cella i fiancheggiatori, non gli esecutori materiali del sequestro. Nel 2007 un’impronta incastrò il bandito Demetrio Latella, uscito di galera l’anno prima per altri crimini, il quale confessò e chiamò a correo i suoi (presunti) complici. Ma un magistrato valutò che il reato fosse prescritto. Cioè uno sequestra una ragazza di diciotto anni, la chiude in una buca, la uccide, incassa un miliardo dai genitori la cui vita sarà distrutta dal dolore, e per la giustizia italiana non può essere punito. Ora però il caso è stato riaperto da un avvocato, che assiste la famiglia Caccia — Bruno Caccia è l’eroico procuratore della Repubblica a Torino assassinato dalla ‘ndrangheta il 26 giugno 1983: era domenica e Caccia aveva lasciato la giornata libera alla scorta —, e ha ricordato come nel 2015 la Cassazione abbia stabilito che l’omicidio volontario è un reato imprescrittibile. Intanto dalla morte di Cristina Mazzotti sono passati quarantasette anni. Oggi Cristina ne avrebbe sessantacinque. Come lei, non sono tornati a casa Duccio Carta, 18 anni; Emanuele Riboli, 18 anni; Giovanni Stucchi, 31 anni; Paolo Giorgetti, 16 anni; Gianfranco Lovati, morto per asfissia…

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«Noi, con i calzoni corti e il pallone sotto le coperte»

L’Italia preindustriale e preconsumistica degli ultimi anni 50 e primi anni 60 non era, poeticamente e nostalgicamente parlando, solo quella pasoliniana delle lucciole; era anche, nei miei ricordi di undici-dodicenne, quella di noi ragazzini in pantaloni corti. Li portavano tutti, sempre, anche in inverno, fino ai 12-13 anni; unica eccezione, ma non sempre, Prima Comunione e Cresima. E con gli stessi pantaloni corti con cui al mattino si andava a scuola, il pomeriggio si giocava a pallone. Era il gioco più economico e democratico: solo ogni tanto la colletta per il pallone (quello di cuoio, più caro, era ancora cucito a mano). Il tennis, quello, era per signorini, per via di racchetta, palline e soprattutto noleggio campo. Si giocava nei prati, dove quattro sassi un po’ sbilenchi, fissavano i limiti del gioco — ovvero gli immaginari pali delle porte — tra qualche ciuffo d’erba spelacchiato; e si giocava (quasi) a piedi nudi, come i ragazzi della Via Gluck di Celentano. Oppure in strada e il grido «Macchinaaa» interrompeva di un poco la partita. Pur senza conoscerne l’origine inglese, il calcio d’angolo era il corner e il fallo di mano ens. Quei pochi che non giocavano erano considerati paurosi disertori; tirare il pallone di punta una indicibile macchia. Le partite duravano fino a quando il buio ci costringeva a fare ritorno a casa, a disinfettare con acqua ossigenata e polvere di Streptosil il solito ginocchio sbucciato. La sera, poi, mi portavo il pallone sotto le coperte, a dormire con me: era l’innocente, stravagante e inconsapevole omaggio di un dodicenne alla rappresentazione ludica più bella del mondo.
Francesco Fiorista, Milano

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Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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