di Francesca Angeleri
Lo scrittore è al Mercato Centrale per presentare il suo libro e sedersi al tavolo di Scabin
Una vita da inviato (per questo giornale) è stata quella di Roberto Perrone. E scrive ancora tantissimo. Da narratore ha affrontato tutti i generi per approdare, infine, al giallo. Prima sono stati il calcio, l’amore, la cucina, le biografie, i libri per ragazzi. E il noir. Dopo la trilogia di Annibale Canessa, si è inventato un nuovo personaggio: Attilio Toscano. È grosso, fuma il sigaro, ama le battute — come il suo ideatore che racconta barzellette anche in piemontese —, le moto, il buon cibo, il mare. Attira donne e guai, non necessariamente in questo ordine. Abita a Scilla a 23 chilometri da Reggio Calabria. È, va da sé, un poliziotto. Lo scrittore presenta Un odore di Toscano, pubblicato da HarperCollins, martedì, 7 giugno, al Mercato Centrale con Marco Fedele alle 19.30. Seguirà una cena con l’autore al Ristorante ScabinQB (su prenotazione).
Essere stato un inviato, l’ha aiutata a scrivere romanzi?
«Ho viaggiato tanto e in ogni mio libro c’è qualcosa dei miei viaggi. Storie, aneddoti, cibo. Per esempio, in questo nuovo romanzo, ci sono due posti diversissimi in cui sono stato: Scilla in Calabria e Carmel in California».
La presentazione sarà al Mercato Centrale e il cibo pare una passione del suo nuovo eroe. Chi è Attilio Toscano e cosa gli piace mangiare?
«Toscano è un ligure vagabondo, onnivoro di vita, cibo — mangia di tutto — emozioni. È politicamente scorretto e battutaro, ma quando c’è da andare fino in fondo, non esita. Dopo Annibale Canessa, volevo un personaggio che fosse ugualmente forte ma caratterialmente diverso. Toscano si diverte ogni volta che può, è un “cazzaro”. I suoi piatti, alcuni tra quelli citati nel libro, saranno interpretati da Davide Scabin: burro e acciughe, trenette al pesto rinforzato con patate e fagiolini, stufatino di calamari con polenta. Quest’ultimo è la mia specialità».
A parte scriverli, è anche un appassionato di gialli? Ha dei riferimenti letterari in questo senso?
«Sì, amo molto il genere. Io ho cominciato con Giorgio Scerbanenco, ancora oggi insuperabile. Mi piace Sciascia, per le tinte gialle dei suoi romanzi politici. Tra gli americani amo Michael Collins, Lee Child e Don Winslow. Tra gli inglesi preferisco il Le Carrè de La Talpa. Tra gli scandinavi, Henning Mankell e il suo commissario Wallander».
Gialli e amore, gialli e sesso, donne e guai. Tutti binomi che funzionano ma un po’ «agé». Affondano nel suo immaginario?
«Io credo in alcune regole del genere. Giallo/noir e sesso, per esempio. Sono un seguace di Gerard de Villiers, straordinario autore francese, inventore della serie spionistica di Malko Linge. Sosteneva che in un romanzo di questo tipo ci devono essere assassinii, violenza, belle donne, sesso. Si può giocare come si vuole, contano la storia, la trama, il ritmo. Puoi usare tutti i cliché che vuoi, ma se la storia è buona, va bene».
Personaggi femminili?
«Ce ne sono quattro. Scrivo dal punto di vista maschile, ma ho sempre creato delle donne forti, autonome, decise. Magari fragili, ma mai deboli, quasi sempre migliori degli uomini».
Contento di tornare a Torino ?
«Con lei ho un filo rosso fin da piccolo. Al mare mia madre era diventata grande amica di una signorina che faceva da dama di compagnia a una contessa. Spesso andavamo a trovarla, abitava in una casa di ringhiera in via Galliari. Conoscevo tutta la zona, via San Pio V, via Madama Cristina, la Sinagoga. Mio nonno, impresario edile, aveva costruito la casa di Rapallo di un grande pittore torinese, Enrico Paolucci, che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare. Venivo a Torino alle sue mostre. La mia tesi di laurea fu su Mario Soldati. Infine, scrivendo di calcio, di Juve e di Olimpiadi, ero sempre qui. Ho amici e conosco i posti dove si mangia meglio».
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6 giugno 2022 (modifica il 6 giugno 2022 | 22:50)
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, 2022-06-06 21:39:00, Lo scrittore è al Mercato Centrale per presentare il suo libro e sedersi al tavolo di Scabin, Francesca Angeleri