Processo per l’omicidio di Serena Mollicone, dopo 21 anni parlano in aula i Mottola: «Non siamo stati noi»

di Fulvio Fiano

In corte d’assise a Cassino compaiono l’ex comandante della stazione dei carabinieri, la moglie e il figlio imputati del delitto della 18enne. Respinta dalla corte la richiesta di non utilizzare le vecchie dichiarazioni

dal nostro inviato a Cassino
A meno di un mese dal 21esimo anniversario del delitto, depongono per la prima volta in aula i presunti assassini di Serena Mollicone: l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce Franco Mottola, sua moglie Anna Maria e il figlio Marco si sottopongono in questa e nelle prossime due udienze all’esame del pubblico ministero. È lo sprint finale di un faticoso processo che arriverà a sentenza, è stato ufficializzato in aula, entro la prima metà di luglio.

Per primo parla il 39enne ex amico della ragazza scomparsa l’1 giugno 2001 e l’udienza si apre subito con un successo per l’accusa, dato che la corte respinge la richiesta delle difese di non utilizzare le dichiarazioni rese dai Mottola prima del 2011, quando furono formalmente indagati. Nei loro interrogatori da persone informate dei fatti hanno fornito versioni spesso discordanti e contraddittorie che i loro legali volevano tenere fuori dal processo perché a loro giudizio i tre imputati erano già sotto indagine e quindi dovevano essere affiancati da un avvocato quando sono stati ascoltati.

L’accordo in aula è che ad esaminare per primo l’imputato siano le difese e Marco Mottola risponde alle domande del suo legale, Giorgio Di Giuseppe: «Ho conosciuto Serena quando ero in terza media, da poco arrivato ad Arce, perché andavo a ripetizione di francese da suo padre Guglielmo a casa loro. Con Serena siamo stati nella stessa comitiva fino ai 16 anni, nel 1998. Cominciammo a vederla di meno quando si fidanzò fuori dal nostro paese, anche se capitava di incontrarci perché Arce è piccola. Non siamo mai stati assieme, non abbiamo flirtato. Capitava di fumare qualche spinello assieme in compagnia di altri amici ai giardinetti in piazza senza farci grossi problemi. A volte è capitato anche nell’alloggio della vecchia caserma quando a casa non c’erano i miei genitori, come capitava anche a casa di altri amici. Anche nella nuova caserma ci sono state occasioni simili ma con un gruppo più ristretto di amici. Nella nuova caserma Serena non è mai venuta a trovarmi singolarmente, me lo ricorderei visto dove siamo oggi. Era più riservata rispetto ad altre ragazze, a casa sua non sono mai andato se non per studiare francese. Non l’ho uccisa io, né nessuno dei miei familiari. Con lei non ho mai litigato né le ho mai messo le mani addosso. Ho saputo dai giornali che Guglielmo Mollicone accusava la mia famiglia ma a me non ha mai detto niente di persona. Ero sorpreso ed esterrefatto, abbiamo pensato anche di querelarlo ma poi abbiamo scelto di non infierire per il dolore che provava e perché aveva accusato anche altre persone».

Poi si entra nello specifico: «Non ricordo quando fu l’ultima volta in cui vidi Serena. Nel 2001 dissi di averla vista alla festa di Sant’Eleuterio la sera prima che scomparisse perché diedi per scontato che nella feste del paese prima o poi si incontrano tutti». L’avvocato prova a chiarire anche la contraddizione finita nel capo d’accusa relativa alla sua auto: «Non dissi che avevo una Y10 perché davo per scontato che i carabinieri la conoscessero, dato che parcheggiavo sempre nello stesso garage della caserma e feci riferimento alla Y del mio amico Marco Bevilacqua per parlare dell’auto della comitiva». La contestazione è relativa al fatto che una testimone lo vide in auto quella mattina con Serena sulla sua Y10 bianca con targa scura e numeri bianchi al bar Chioppetelle ma nella nota redatta per le ricerche dal maresciallo Mottola si fa invece riferimento a una Lancia Y, marca e modello diversi. «Non sono mai stato in quel bar. L’unica con cui ci posso essere passata è la mia fidanzata di anni dopo ma per un errore di comprensione mi è stato attribuito di esserci passato quella mattina dell’1 giugno e non è vero che al telefono e chiesi di confermare questa versione, la avvertii solo che l’avrebbero chiamata visto che l’avevo citata». Quanto alla testimone che lo riconobbe, la barista Simonetta Bianchi, Mottola assicura che il giorno in cui vennero messi a confronto le gli negò di aver mai fatto il suo nome e che anzi la donna subì pressioni in tal senso tanto da scoppiare in lacrime.

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11 maggio 2022 (modifica il 11 maggio 2022 | 14:34)

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, 2022-05-11 12:35:00, In corte d’assise a Cassino compaiono l’ex comandante della stazione dei carabinieri, la moglie e il figlio imputati del delitto della 18enne. Respinta dalla corte la richiesta di non utilizzare le vecchie dichiarazioni, Fulvio Fiano

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