Psicologo a scuola anche per l’insegnante. Bianchi: molti docenti vittime di burn-out

Lo psicologo sia della scuola, non semplicemente dell’alunno. Così il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi alla Camera per riferire sul tema delle comunità che accolgono i minori. “Non dimentichiamo che abbiamo bisogno tutti dello psicologo – aggiunge il ministro – e che molti insegnanti sono vittima di burn-out“. Un tema affrontato anche nella diretta della Tecnica della Scuola Live con il presidente dell’ordine degli psicologi David Lazzari.
“Lo psicologo? Non pensiamo che possa sostituirsi all’insegnante, può solo essere un supporto. E qui esiste il problema fondante della formazione. Perché il docente deve poi potere domandare aiuto al tecnico specifico di cui si può disporre”.
“Dobbiamo andare verso un’articolazione funzionale dentro la scuola, per cui hai la dirigente, la responsabile dei rapporti con l’esterno, il responsabile della sicurezza, e altre funzioni legate ai percorsi educativi speciali, quindi cominciamo ad articolare le funzioni della scuola in maniera più complessa, più ricca, con persone che apportino degli specialismi in grado di agire sulla singola situazione”.
“Io vedo lo psicologo di supporto all’intera scuola. Laddove vi sia bisogno l’accompagnatore del ragazzo può essere sempre lo psicologo ma la funzione principale spetta al consiglio di classe, con il sostengo del preside, lo psicologo è una funzione di sistema che affronti anche singoli casi poi sostenuti da uno specialismo”.
“I valori fondanti del nostro intervento? Riaffermiamo la centralità della scuola pubblica nel garantire a tutti non soltanto l’Istruzione ma la capacità di partecipare attivamente alla vita della comunità”.
“Un tema legato ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze che hanno sofferto per l’affidamento – sottolinea il ministro – con fragilità che rischiano di segnarli per tutta la vita. La scuola non vuole e non deve surrogare la famiglia o la società. La scuola è la scuola, è il principio fondante per cui tutti, non uno di meno, devono fare parte di una comunità, e la scuola è la prima comunità in cui ciascuno viene inserito”.
“L’ultima analisi a noi giunta dal ministero per il lavoro e le politiche sociali segnalava 27.608 minori collocati fuori dalla famiglia, al netto dei minori stranieri non accompagnati. Di questi, circa la metà in affidamento familiare, 14mila in servizio residenziale per minorenni. Quindi quando parliamo di affidamento abbiamo situazioni diverse: soggetti che ritrovano una famiglia e soggetti che ritrovano una comunità ma che non riesce a surrogare la famiglia”.
Quando è fondamentale la presenza di un insegnante? “Quando ci accorgiamo che uno di questi bambini o ragazzi sta male: è questo il mestiere dell’insegnante, questo che rende la scuola speciale. Ecco perché la mia battaglia per la scuola in presenza, perché i ragazzi bisogna guardarli negli occhi per accorgersi se stanno male, è questo il mestiere dell’insegnante”.
“Il primo presidio è quindi formare gli insegnanti. Una delle nostre riforme principali è quella del reclutamento, parola che io odio – ribadisce ancora una volta il ministro – per il suo retaggio militar-fordista. Stiamo lavorando per una formazione iniziale dell’insegnante, non solo perché gli insegnanti siano solidi sulla disciplina e sulla didattica della disciplina ma anche perché siano solidi in queste situazioni, o davanti al bullismo o al cyberbullismo, che alle volte sono moltiplicatori di fragilità”.
“Il ruolo del preside è fondamentale, perché è lui che rappresenta la scuola e assume la funzione dello Stato. Quindi quando un docente ha riconosciuto un disagio e grazie alla figura dello psicologo si è intervenuti, poi è evidente che sarà il dirigente ad assumersi certe responsabilità. E a questo fine dobbiamo formare anche i nostri dirigenti, su questo non c’è dubbio: dobbiamo assolutamente investire di più su questi presidi”.
“Quando noi parliamo di affido minori parliamo di minori che vanno doverosamente ascoltati, che non vuol dire cedere a delle richieste senza assumersi delle responsabilità, ma significa disporre di una struttura che una volta segnalato il malessere, può reagire: ecco perché dobbiamo investire nella scuola, nei docenti, nei dirigenti”.
“Poi quando su un bambino o una bambina vengono riconosciuti bisogni educativi speciali poi su questo alunno va redatto un piano didattico personalizzato, e nel contempo va attivato un rapporto con le autorità di pubblica sicurezza e un rapporto con il tribunale per fare in modo che per questo bambino si riesca a garantire un percorso di benessere successivo. Ma la scuola deve prestare particolare attenzione a questi casi”.
E sulla dispersione scolastica, il ministro cita i dati: “Su una media europea del 10% di dispersione scolastica, il nostro Paese si colloca al 14% ma nelle periferie urbane del sud la dispersione sale ulteriormente. La presenza della scuola e degli enti locali in questi casi è fondamentale. Ma la scuola non va clinicizzata – avverte – la scuola è scuola. Se vanno fatti interventi sanitari bisogna che protagonisti siano altri soggetti, senza scavalcamento di una figura da parte di un’altra.
Quanto alle scuole domiciliari, il ministro: “Io mi permetto di dire: la scuola è prima di tutto comunità, la scuola è fondante per garantire ai bambini un percorso di inclusione e di inserimento. La scuola è palestra di comunità”.
Ma alle volte servono comunità strutturate.
“Io ho apprezzato molto l’esperienza di San Patrignano, che però raccoglie già uno specifico di ragazzi che hanno attraversato un preciso spettro di dramma personale e ho visto anche come si è evoluta Sanpa: lì fondamentale è stata la formazione professionale“. Un’esperienza, quella di Sanpa, che secondo Patrizio Bianchi restituisce “l’idea di educazione civica che il lavoro è dignità. Ma ho visto – chiarisce – che funziona tanto meglio quanto più queste comunità sono radicate nel territorio, il minore deve stare in un contesto comunitario e la comunità deve essere radicata in un territorio”.
La riforma dell’orientamento? “Il perno fondante di tutti i nostri percorsi per l’idea di dare a tutti non una o due ore di orientamento ma un sistemico percorso di accompagnamento, come contrasto alla dispersione scolastica”.
“Tutto il Pnrr si basa sulla condivisione degli obiettivi con le Regioni, cosa che permette di collocare la situazione dei singoli in contesti sociali che le rendano gestibili. Da qui il potenziamento del tempo pieno. Tutti devono potere avere un tempo scuola che permetta di sviluppare non solo competenze cognitive ma anche relazionali, tali che un bambino fragile si possa inserire in un contesto senza traumi”.
Quindi il ministro si dice preoccupato dallo sradicamento e la solitudine. “Sradicare un minore dal proprio contesto familiare o sociale è sempre un trauma: condivido la necessità di mantenere una straordinaria cautela. Se oltre allo sradicamento dalla famiglia aggiungiamo lo sradicamento sociale si aggiunge trauma su trauma. Andrebbe ridotto al minimo questo tipo di sradicamento totale. A questi bambini vanno garantiti percorsi personalizzati dentro la comunità scolastica”.
“Il tema dell’isolamento è drammatico – aggiunge – insisto per la presenza per questo motivo: dobbiamo evitare la sindrome della paura dell’uscire di casa, paura degli spazi aperti”.
“Io non sono sicuro che tutti gli insegnanti siano attrezzati per connettere l’autorità scolastica con quella sanitaria o giudiziaria ma queste autorità devono collaborare. Altrimenti per il ragazzo sarà un altro trauma. Non bisogna lavorare per compartimenti stagni. Anche perché noi accompagniamo persone in crescita e non puoi fare un atto una volta per tutte, devi essere in condizione di avere una equipe che ti accompagna. E in questa equipe i maestri e i professori sono fondamentali, ma non sono sicuro che oggi le università forniscano agli insegnanti gli strumenti per prestare attenzione a queste situazioni”.


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